L’affare Twitter
E anche questa è andata… più o meno così: il Financial Times, come altre importanti testate, ha comunicato la chiusura dell’affare Twitter, per la modica cifra di 44 miliardi di dollari, attinti da prestiti bancari e finanze disponibili nelle tasche del magnate. È lui, Mr. Elon.
E il Times sottotitola il pezzo riconoscendo nell’operazione finanziaria dell’uomo più ricco del mondo (si può dire?) un deal che ha a che fare con la democrazia, dunque con la libera espressione. Quasi anticipando le parole dette (e riportate nel pezzo) dello stesso Elon:
Announcing the deal, Musk said: «Free speech is the bedrock of a functioning democracy», and described the social media platform as «the digital town square where matters vital to the future of humanity are debated».
La scelta di mettere a tema un pezzo del Financial Times qui, nell’ambito della rubrica Intendiamoci, non vuole essere una ennesima possibilità di fare endorsement di una delle operazioni finanziarie più chiacchierate in questo secondo trimestre.
Piuttosto, dato che dobbiamo intenderci sul senso che un’operazione come questa può avere, sull’orientamento finanziario che essa stessa tende a evidenziare.
E allora andiamo qualche giorno indietro, e leggiamo un’altra notizia, sempre sull’operatività in Borsa (una Borsa un po’ più grande e capiente direi) dello stesso Musk.
A riguardo del quale, lo scorso 23 aprile sul web appariva un’immagine emblematica (ve la riporto perché fa un certo effetto) collegata a un pezzo su Punto Informatico che annunciava provocatoriamente la possibilità di un altro importante acquisto in programma per il magnate…
Si chiama Netflix
Almeno sinora. In una veste che Mr. Musk ha descritto come… inguardabile. Forse accusando, per questo, la nota azienda di streaming di serie televisive, una dopo l’altra, che ci hanno tenuto incollati – almeno dall’epoca del Covid – a guardare episodi su episodi, di non essere in grado, proprio nella sua veste attuale, di tenersi gli utenti. O meglio, di mettere l’azienda nelle condizioni di una vera crescita anno dopo anno.
Ma a noi cosa interessa tutto questo?
In un mondo alla ricerca di dove sia meglio posizionarsi per guadagnare da qui ai prossimi anni, lo strano, che poi strano non è poi così tanto, caso di Netflix può insegnare qualcosa.
E, come spesso capita, a partire da un tweet che recita così: Il virus della mente sveglia sta rendendo Netflix inguardabile. Quasi senza dirlo, eppure già manifestandolo a chiare lettere, si tratta di una chiara allusione al vero uso della piattaforma che sarebbe diventata “sua”, ovvero all’incorporamento dello stesso Twitter, che di lì a qualche giorno sarebbe diventato di sua proprietà .
Proprio in quel tweet, che parlava di un’altra azienda, già si esprimeva il pensiero tutt’altro che liberaldemocratico, pur travestito da manifesto una volta effettuato l’acquisto.
Qui non mi interessano le solite battute-tipo che sono solite caratterizzare momenti di caduta importanti per un’azienda, tali per cui, ovviamente, se un colosso dello streaming televisivo perde un terzo del suo valore diventerebbe un’occasione di acquisto e quindi suggerirebbe di comprare, comprare subito. Questo appartiene all’ovvietà dei meccanismi della finanza, anche se oggi non si fa più con la stessa disinvoltura.
Sto dicendo, invece, che il caso Netflix, a partire da un commento espresso dall’allora imprenditore Elon Musk alias CEO di Tesla, può rappresentare una domanda, se non una provocazione e/o sollecitazione a pensare diversamente su dove posizionare i propri capitali.
Quasi fosse un’allusione alla nascita di una finanza dominante, che sarà inevitabilmente sempre più caratterizzata, pur rimanendo sullo sfondo, ben più pacato e non rinnegato, i noti temi sostenibili, i cosiddetti buoni temi, da (potremmo dire) posizioni di forza in costruzione.
O meglio in via di definizione. È così Netflix, un mezzo di comunicazione televisivo (va bene come definizione?), poi Twitter, mezzo di comunicazione social (va bene?), di cui da qualche tempo pure si parlava in avvicinamento sospetto al palazzo di Musk.
Netflix, che nel forse più brutto giorno di Borsa mai attraversato dalla regina americana delle serie, sarebbe in procinto di costringerci a ridosso di davvero poco tempo, a ri-parlare di Elon. E quindi di avere la chance, come la effigierebbe lo stesso Musk, di diventare una nuova stella.
In fondo tutto questo fa parte del mondo della finanza di questi tempi, sempre di più attualizzata dai fatti.
Non è una novità che un’azienda acquisti importanza, o la riacquisti, se entra nell’interesse di un personaggio molto nominato. Come dire: pur avendo perso terreno nel numero di abbonati, se viene apprezzata e guardata da Elon, in qualche modo continuerà a valere.
Il punto, qui, è perché, e quindi dove porta tutto questo nel nuovo orizzonte finanziario, o meglio dell’investimento, mettendo totalmente tra parentesi e sempre più sullo sfondo altri temi un po’ differenti nel loro orientamento, non a caso detti sostenibili.
Perché a un Elon Musk il politically correct proprio non interessa
E Netflix, oggi, lo rappresenta. Nella mente del geniale imprenditore il sillogismo è fatto. Tutte le aziende politically correct sono inguardabili. Netflix è un’azienda che fa comunicazione politically correct. Ergo Netflix è inguardabile. Oggi. Oggi che perde 200mila abbonati.
E la conseguenza è ipotizzata. Se una azienda perde business, che è ciò che importa a chi vi investe, alla fine, nella sua veste inguardabile, il merito del suo rilancio sarà di colui che le darà vita nuova, o meglio comunicazione nuova. Merito della sua nuova acquisizione di valore. Dove è finito l’aspetto apparentemente democratico dell’operazione fatta nell’acquisizione di Twitter? Forse solo il Financial Times ha provato a vederlo.
Nel caso di Netflix, ancora solo annunciato come possibilità , si parla proprio del contrario. Perché finanza e democrazia c’entrano poco qui. Piuttosto è evidente un orientamento finanziario. E quindi un quasi suggerimento di Borsa.
Non me ne vogliano i miei clienti quando cerco di farli riflettere sul fatto che non si possa più solo ragionare di dati sugli utili che vorrebbero scontare l’aumento di inflazione, e quindi dissuaderebbero dall’investire sugli asset azionari.
Quel che pare qui vedersi è proprio che in questo mondo così complesso, fatto di colpi di scena, non sia solo importante investire in azioni, e non solo su materie prime ed energia (di cui in modo anche obsoleto ormai si sente parlare), ma anche su quelle che – ahimè – sembrano giorno dopo giorno identificarsi come vere e proprie posizioni di forza che andrebbero sempre più rafforzandosi in ragione di una dinamica fatta di aggregazione di aziende, ciascuna con un’utilità squisitamente attuale, nella quale prevale la condivisione, se non la comunicazione di una persona.
Che oggi porta il nome di Elon Musk. Magari domani il nome di Trump? Chiamiamola finanza dominante o social, ma chiamiamola.
Almeno intercettiamola, perché esiste. E… seguiamola.
Sto facendo qui endorsement di Elon Musk? Non proprio, ma lo guardo come un fenomeno della finanza appunto (non lui attenzione come persona, anche se la sua genialità è poco discutibile).
Perché il nostro lavoro è quello di guardare e considerare tutto il mercato.
Soprattutto se alla fine (e anche all’inizio) l’investitore chiede di guadagnare. Sempre. Sopportando sempre meno i colpi di scena fatti magari da una apparente perdita di… abbonati.
Alla prossima!