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Bond, una serpe in portafoglio

Sembra incredibile, eppure oggi le obbligazioni, l'asset più amato dall'investitore medio, sono diventate un vero e proprio veleno. E se farlo capire ai clienti è difficile, ancora più difficile è spiegare il perché

Novembre 26, 2021
Bond
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

 

 

Più o meno così, andando alla celebre scena del film che ci ricorda l’eroe John Rambo, e soprattutto la nota frase del capitano-mentore colonnello Trautman, ho detto a un investitore in appuntamento:

«Il punto oggi non è cosa lei possa fare con i bond, ma cosa i bond possono fare a lei»

Ovviamente alludevo in modo esplicito al suo patrimonio. O meglio, più chiaramente, agli effetti che questa da sempre amatissima asset class sarebbe in grado di produrre sul valore del patrimonio dei clienti, con i tempi che corrono e che correranno ancora di più (concedetemi l’espressione).

Lo spiegava bene Milano Finanza in un articolo del 20 ottobre scorso, riprendendo l’espressione di un navigato gestore inglese che definiva, di questi tempi, le obbligazioni legate al credito e ultimamente anche gli high yield, in una parola i bond tradizionali, addirittura «un veleno». Al punto che, citando le sue parole, «non fare nulla equivarrebbe a mettere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi, sperando che le cose si mettano a posto da sole».

Pensando alla gravità (nel senso del peso) delle parole di costui, la mia dichiarazione assolutistica davanti al cliente circa il mondo dei bond oggi, anche se evocativa del celebre eroe che tutti ricordiamo, suona quasi mite e delicata.

E proprio in quell’appuntamento, davvero interessante per gli approfondimenti che mi ha costretta a fare, avrei potuto concludere, o meglio incalzare il mio cliente, con un’affermazione classica del tipo: «Chiaro no?». Ma qui vi sarebbe stata davvero la fine del nostro dialogo.

Perché in realtà, che lo si voglia ammettere o no da parte di chi fa il mio lavoro, per l’investitore oggi non è per nulla chiaro o scontato che i bond come asset non siano più una opportunità del momento. O meglio, che siano in qualche modo da sottostimare (ora ci capiamo su cosa intendo con questa caustica dichiarazione) come opportunità rispetto ad altre classi di investimento (e qui non mi soffermo sulla declinazione di queste alternative).

Allora la domanda che non possiamo evitare con il cliente non può che essere lei, unica e inimitabile: «Perché?».

Bellissima, splendida, più o meno esplicitamente espressa dall’investitore, quella che spesso non vorremmo sentirci porre noi consulenti, ma che dovremmo essere sempre disposti perfino a sollecitare per primi, proprio per il compito più importante cui siamo chiamati nella consulenza finanziaria: fare chiarezza. Perché in fondo, nella consulenza è quasi solo a quella domanda che occorre rispondere, su tutti i fronti.

Quando invece, senza farcene troppo una colpa, perché umanamente capita anche nella vita di tutti i giorni che sia più facile fare surfing sulla profondità delle cose e lasciar correre, nella nostra “normal activity” si tende a procedere con le cosiddette deviazioni, se non censure, di questa fondamentale domanda. E allora viriamo con destrezza sui favolosi grafici di andamenti di strumenti alternativi a quello che aveva in mente il cliente (in questo caso il da non prendere bond), gli amatissimi track record, sperando siano in grado di distrarre l’attenzione dell’investitore migrandolo (è questo l’effetto) su altro.

Ma di questi tempi, se è vero che non dimentichiamo il fantomatico passaggio tipico sul rialzo dei tassi, come a puntare l’attenzione sul perché più immediatamente sembrerebbe corretta la scelta diversa dal bond, di fatto finiamo per procedere così, per cavarcela: non rispondiamo alla domanda «perché non si debbano più acquistare le obbligazioni», piuttosto atterriamo al più presto sulla più semplice strategia della deviazione su temi d’effetto, ossia su altre soluzioni e prodotti che possano dimostrare, attraverso gli amatissimi track record, performance sufficientemente appaganti e illuminanti del passato. Per colpire nel segno. Per impressionare l’investitore. E sferrare il colpo definitivo che lo porti a cedere e a dire: «Va bene, rinuncio alle obbligazioni e scelgo queste meraviglie che lei mi sta mostrando». Quasi un “effetto WOW”.

Peccato che, come ben sappiamo ma ben poco ricordiamo in appuntamento,  i rendimenti passati non siano garanzia di quelli futuri.

O meglio, noi consulenti lo sappiamo perfettamente, ci mancherebbe, tuttavia in quel difficile momento, che ultimamente capita di vivere spesso con il cliente, in cui lui insiste a volere bond-sempre-bond, troviamo una forma di quiete nello spostare la sua mente su altro invece che stare, rimanere sulla sua domanda del perché. Pur sapendo perfettamente, appunto, che non sarà quella la distrazione corretta per il nostro cliente, racchiusa nella storia passata di prodotti che elargiamo come smaglianti alternative di successo, proprio perché è scritto nel nostro dna di consulenti che la storia del passato non possa dire la verità per costruire il portafoglio oggi.

Un momento. A meno di utilizzare il passato per capire meglio proprio il presente dell’investimento.

Illuminante è in tal senso l’articolo pubblicato da Il Sole24ore il 18 novembre (Rally dell’inflazione ecco le trappole per i risparmiatori) che ricorda cosa succedeva negli anni ’90, nientemeno che trent’anni fa. Anni che oggi tornano alla mente come confronto riguardo un’inflazione esplosa ai nostri giorni, proprio come a quei tempi andati. Andati sì, soprattutto perché, questo è il punto, i tassi erano ben diversi.

Ed ecco che proprio in questo caso il passato serve a  mostrare come i bond, in quella circostanza, potessero fare davvero la differenza, rappresentando, allora sì, la grande risposta/opportunità per reagire all’inflazione. Proprio quei bond considerati per antonomasia dai clienti, i bond governativi. Diversamente dall’oggi, caratterizzato da tassi azzerati nei due emisferi di riferimento, America ed Europa.

Qui i bond davvero non fanno, o non danno più, per meglio dire, la differenza, quella differenza di margine (spread?) capace di soddisfare l’investitore. Allora quella differenza rimaneva positiva, oggi invece rimane negativa. Negativa.

Questo è il vero passato da utilizzare con il cliente che, quasi viziato nella sua “mentalità bondiana”, vorrebbe sempre avere soldi veri (con potere d’acquisto sempre identico) sul conto e bond pronti all’uso per stare tranquillo. Questa immagine torna, dovrebbe tornare. E dovrebbe tornare anche per noi consulenti l’evidenza che ricordare al cliente il track record ora descritto – il passato dei tassi rispetto all’inflazione in quegli anni – possa almeno provare a essere una strada, non so se esaustiva ma senz’altro ragionevole, per non distrarlo dal guardare il vero punto di attenzione, ma anzi per portarlo a farne il punto di partenza per qualsiasi riflessione di investimento sui bond. I suoi amatissimi bond.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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Dipende… Quante volte gli investitori sentono qu Dipende… Quante volte gli investitori sentono questa parola dal loro consulente. Ma restringerne la portata al solo aspetto economico sarebbe riduttivo.
Perché in realtà, quando l’investitore entra in consulenza chiede una visione, o meglio, una prospettiva più grande, che faccia comprendere interamente il fattore finanziario.
 
Si può forse negare che, soprattutto in questo tempo, occorre uno sguardo alto, molto alto per dare risposte? 
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Sfidiamolo. Senza ridurre il punto di vista da cui guardare tutto, e da cui il resto… dipende.
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