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C’era una volta l’America

Quando si parla di economia si guarda sempre là, agli Stati Uniti, nel bene e nel male. Eppure qualcuno inizia a mettere in dubbio il ruolo guida di questo Paese, anche nei mercati. Ma è proprio così?

Luglio 13, 2022
america joe biden
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Ci si è messa anche la (possibile) crisi di governo, in Italia

Cosa mancava? Forse questa, tra le eventualità che potevano affacciarsi sul mercato a destare ulteriore preoccupazione e a destabilizzare l’investitore (da sempre affezionato a certi titoli…).

Ne ho contattato uno in particolare, che mi ha colpito: imprevedibilmente (un po’ come la sopraggiunta quasi-crisi, che non poteva prevedersi perché a rigor di logica nel caos internazionale di solito si resta uniti invece che dividersi, ma la logica non è di questo mondo – almeno di quello italiano), ripeto, imprevedibilmente mi ha detto: «Ma no, cosa ci vediamo a fare? Con perdite di patrimonio di questo genere (un dettaglio: il cliente in questione perde meno del 10% e oggi forse può dirsi fortunato o magari gestito, non lasciato al suo destino) non ha senso, tanto è tutto così nella situazione attuale. Lo vedremo tra qualche anno!».

Come avesse detto: a che serve parlarsi? Ed è qui che, invece, mi sono come sempre riproposta per offrirgli una visione (non una previsione) e magari fargli vedere che nel suo portafoglio le cose… vanno avanti, nonostante e dentro tutto quello che lui dice andare «così». Nella situazione attuale.

Quello che non deve accadere è proprio questo. Che si pensi che sia inutile parlarne, chiarire, far vedere, spiegare. Esattamente come non dovrebbe accadere dalle nostre parti: che si smetta di parlare, di dialogare e di capire i punti di vista. Paragone o accostamento stravagante? Non direi, per quanto sembri piuttosto forte collegare un fatto così apparentemente particolare come quello del mio cliente a uno di portata enormemente più grande, come una possibile crisi di governo. Eppure, l’aspetto che le accomuna è l’imprevedibilità che caratterizza tutta questa situazione… Al punto che si arriva anche a, tenetevi forte, a paragonare gli Stati Uniti nientemeno che a un paese emergente.

La domanda del Financial Times

È del Financial Times l’articolo uscito in questi giorni dove si legge anche questo. Il titolo parla da solo: Is the US starting to resemble an emerging market?

È vero, lo mette in formula di domanda, ci mancherebbe. Ma l’insinuazione declinata e spiegata lungo tutto il pezzo è una autentica messa in dubbio, una vera e propria dissertazione che finisce per passare in consulenza, azzardo mio, che l’America non si possa più ritenere l’America di una volta, quella a cui l’investitore poteva guardare per avere un vero obiettivo di investimento.

Una volta sì che l’America dava certe sicurezze… al punto che la giornalista stessa riconosce di avere, ai tempi di Trump, sconfessato i colleghi che predicevano che gli USA si sarebbero divisi in una serie di Stati separati. Eppure, lei stessa parte da lì, da quella sua esitazione, per addentrarsi invece quasi in una storia (leggetela) di progressiva decadenza se non crisi politica, che non sarebbe neppure partita ai tempi di Trump, ma troverebbe le sue radici nella ben nota crisi finanza del 2008. Proprio da quella crisi, le decisioni di repubblicani e di democratici, su entrambi i fronti, avrebbero perseguito un autentico processo di erosione della fiducia nelle istituzioni americane.

Quella fiducia che nell’attualità, in un contesto già molto complesso a livello internazionale, sarebbe arrivata ai suoi minimi. Si sarebbe quindi, soprattutto ultimamente, entrati in un momento in cui tutte le norme, il sistema di regolamentazione americano sotto il profilo del business non meno che dell’ambiente e degli investimenti, sarebbe oggetto di una profonda rinegoziazione, dipendente, qui è il punto, dal singolo Stato, e non più dunque da una capacità politica ben identificata, la presidenza. E proprio questo livello di crisi profondamente politica scaglierebbe l’America in mezzo agli altri ben noti paesi emergenti, noti per essere proprio e innanzitutto sotto il profilo del rischio politico, emergenti.

C’è da dire che la finanza non aiuta. Se un Musk dal ieri al domani può fare e disfare un deal che mette in crisi se non atterra il valore di un’azienda, se altre note aziende racchiuse nella sigla FAANG quest’anno non solo hanno tradito le aspettative degli investitori, ma li hanno gettati in un ininterrotto sconforto, se tutto questo sta accadendo, forse si potrebbe arrivare a pensare che le vecchie verità acquisite non contino più nulla. Al punto che l’America possa essere equiparata a una nuova terra da scoprire.

Gli Stati Uniti e il portafoglio

Peccato che è qui che occorre fermarsi e usare la testa. Esattamente come penso che bisogni usarla, non cedendo alla scelta (che poi scelta non è) di clienti che preferirebbero non parlare e non ascoltare per capire meglio come stiano andando le cose nel loro portafoglio, semplicemente assecondando la loro accettazione (a malincuore) che la situazione sia tutta così.

Piuttosto, serve usare la testa per mettere di nuovo a fuoco, davvero, la situazione, tornando agli Stati Uniti che qui ho volutamente messo a tema dopo aver letto l’articolo che vi ho citato, cercando di comprendere perché questo Paese possa e debba essere mantenuto – se non acquistato o mediato nei singoli titoli – nel portafoglio. Di fronte a un cliente che dichiara di non volere parlare o ascoltare dicendo che il mercato finanziario è tutto pericoloso, chi può dire che non abbia ragione? Ma forse occorre portarlo a guardare che l’America merita. Ieri inacquistabile, per i livelli record raggiunti dagli indici. Oggi ben più che acquistabile, a partire da un Nasdaq che ha perso lo smalto ma non i fondamentali di aziende da cui non smetto di dire che dipende il futuro sostenibile. Di tutti.

Dove sta l’equilibrio tra l’investitore che ieri non la acquistava perché troppo cara, e oggi non la compra perché tanto «scenderà ancora»? L’equilibrio non c’è, soprattutto perché si continua a investire utilizzando come metodo le notizie, quello che scrivono i giornali o, meglio, mi scusi la categoria, certi giornalisti.  Perché si leggono solo le notizie o meglio le evoluzioni del pensiero che nascono da illazioni imprevedibili. Come quella della nostra giornalista del Financial Times. Se il suo pezzo lo avesse letto uno dei miei clienti… non esito a pensare che mi avrebbe chiamato chiedendomi di vendere tutto quello che ha a che fare con l’America, perché tanto questo Paese sta per non esserci più. Perché è «tutto così» in questa situazione…

Attenzione alle vere notizie

Io invece continuo a credere che, fortunatamente, guardiamo ancora là; che la svolta è possibile e che gli stessi tassi, sì quei mal nominati rialzi dei tassi (che comunque ci vogliono!, ricordiamocelo sempre) possano fermarsi, se l’americano medio smetterà di fare acquisti perché ha perso il lavoro, facendo scendere il ruggito dell’inflazione.

Sono queste le notizie che vale la pena di seguire, che possono ancora guidare le scelte di investimento. Non già quelle che notizie non sono, perché vorrebbero solo raccontare come era, una volta, l’America.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

Wealth Planner

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