Per essere equa nelle mie considerazioni, visto che l’articolo di settimana scorsa riportava un confronto avente come punto di partenza il candidato Dem Joe Biden, questa settimana mi dedico al Tycoon per portarvi a cambiare il vostro approccio al momentum…. ma soprattutto per ampliare il vostro sguardo. Mi piacerebbe infatti che leggeste l’articolo tutto d’un fiato senza pregiudizio (senza dire..lo so..lo so..sì ok..) e arrivaste alla fine con l’idea di una provocazione a una visione più ampia di cosa possano voler dire le prossime elezioni americane, proprio partendo da…. una colazione da Trump.
Vi riporto alcuni articoli che vi chiedo di considerare proprio nella sequenza in cui ve li propongo, dal 3 settembre indietro sino al 25 agosto (data di pubblicazione del primo che vi riporto in fondo).
Primo dato. Dall’articolo del 3 settembre de Il Sole24Ore leggiamo: «Dalla seconda guerra mondiale per le prima volta l’America avrà un debito superiore al 100% del Pil». Se si parlasse dell’Italia saremmo alla ripetizione di una never ending story che stenta ad interessare qualcuno (c’è forse preoccupazione per lo spread ultimamente?), qui invece sembra importante. Sottolineo sembra. Perché? Perché di fatto nessuno parla in modo “impegnato” di Covid, di crisi economica, vero! Si va dietro ad un fiume mediatico piuttosto borsistico. E’ sprint per le Borse (vedi altro articolo sempre del 3 settembre) e il traino è l’aspettativa “speculativa” esortata dal candidato repubblicano che il vaccino ci sarà e verrà distribuito: a sostegno sembra che il Tycoon si sia portato dalla sua parte perfino Anthony Fauci, il virologo super intransigente.
Qual è la trasformazione in atto? Dimenticatevi la realtà (Covid, Crisi economica, crollo della manifattura, disoccupazione, crisi sociale), e guardate al Decalogo di Trump (vedi articolo di Milano Finanza del 29 agosto). Quello che è forse nuovo nella campagna promozionale di Trump (la chiamo così..) è che qui non c’è solo una serie di slogan ma la previsione di “regole” che verranno introdotte (o meglio che fanno parte di un piano in costruzione da quattro anni, forse non ancora perfetto ma in divenire, vedi ultimo articolo sulla pagella assegnata al lavoro di Trump!) e cambieranno ancora una volta l’universo economico e finanziario. Ordine, rilocalizzazione delle attività con vantaggi fiscali per le aziende, tagli per i premi assicurativi, abbattimento dei costi dei farmaci.
Cosa vi viene in mente? Impegno? No, pensateci bene. Qui si tratta di uno stile militare, e infatti il vero slogan è quello più evocativo: “Combatto per voi!”. Se dovessimo misurare la possibilità che il candidato in carica venga rieletto valutando la pagella dei suoi risultati in questi quattro anni (vedi articolo finale) saremmo più cauti. Ma qui la considerazione, ripeto, non è sui dati reali («nessuno parla più del Covid», «Nessuno parla più della crisi economica» cit. il Sole24Ore del 3 settembre, quando i numeri finanziari volano…), ma sull’efficacia che certe misure promosse possono suscitare in un momento di caos, di destabilizzazione, di mancanza di visione. Il terreno è fertilissimo. E non importa se a questo terreno di disordine ha contribuito l’amministrazione Trump con i suoi tagli fiscali per anni, con l’aumento del deficit, con la mala gestio dell’epidemia in casa (6 milioni di casi!). Quello che importa è che FUNZIONI nelle menti degli elettori. E le regole di Trump funzionano. Anche se fanno paura.
Ora cosa vuol dire tutto questo per l’investitore? Perché per noi investitori al fondo è così importante prevedere chi vincerà? La risposta è ovvia: perché devo capire cosa fare sul portafoglio (risposta un po’ riduttiva se si pensa alle vere conseguenze a livello globale di una politica così imperativa, ma sappiamo che quando parliamo di investimenti siamo tutti un po’ cinici). Se ripensate a questi mesi di fatto non dovreste fare nulla. Perché di fatto sembra che non sia accaduto nulla. I record sono tornati, l’equity brilla… la Borsa è in sprint. Insomma come se la Borsa seguisse un suo corso. Se ci pensate, è cambiato tutto e non tornerà come prima dell’epidemia, sarà diverso, credo anche migliore, ma mai come prima. Invece la Borsa è tornata indietro.
E allora, tanto rumore per nulla? No. Ne abbiamo già parlato le scorse settimane, accennando ai settori che andranno sempre più valorizzati, e ne parleremo ancora. Ma soprattutto forse dovremmo imparare a parlare di come pianificare il patrimonio, piuttosto che pensare a singoli riassetti di portafoglio spinti da momenti che di fatto si azzerano come se nulla fosse. Alcuni clienti hanno finalmente iniziato a comprendere che il messaggio vero è sulla gestione di tutto il capitale umano. Se una rivoluzione è in corso, un nuovo assetto degli equilibri che riguarderà un nuovo establishment americano che si rifletterà a livello globale, io cosa devo fare per essere pronto? Perché se guardate bene, la trasformazione in corso in America, il piano che sta portando avanti Trump, non ancora ultimato dopo quattro anni, ora più esplicito nella chiarezza della determinazione esecutiva con cui si sta palesando, non è forse evocativo di cambiamenti già in atto anche in Italia? E qui senza ancora vedere un Tycoon che possa prendere le redini del discorso, ma già evidentemente coerente nella sua espressione di destabilizzazione e mancanza di ordine.
Non andiamo avanti nei paragoni. Quello che emerge è che il passo non è solo quello di guardare un portafoglio (e come ho già detto, ora come sempre occorre stravolgere?) ma guardare il TUTTO, che sta CAMBIANDO, e prendere decisioni che riguardino la situazione più ampia della propria dimensione patrimoniale. Guardare finalmente alla totalità del capitale umano, cominciando a pensare ai figli, alle proprietà, tenendo conto della trasformazione in corso e domandarsi: visto quello che sta cambiando e che cambierà, è adeguato il mio modo di approcciare il patrimonio o forse sono abituato troppo a vedere solo i dettagli? Nelle prossime settimane vi riporterò un test da fare per capire se stiamo veramente considerando il cambiamento in questa prospettiva, e sarà interessante capire se il punto di vista sia così radicale o si soffermi sui dettagli… di un caffè da Trump.
A presto
DA IL SOLE 24 ORE 3 settembre 2020
Per risalire nei sondaggi Donald Trump abbraccia le teorie cospirazioniste e si propone come difensore dell’ordine e della legge.……Nessuno parla più del Covid che ha superato i 6 milioni di casi, gli oltre mille morti al giorno e il numero totale che presto arriverà a 200mila.……..Nessuno parla della crisi economica. Il debito pubblico federale supererà il Pil americano per la prima volta dalla Seconda Guerra nell’anno fiscale che termina il 30 settembre…….Pesano gli anni dell’amministrazione Trump, con il maxi-taglio alle imposte societarie dal 35% al 21% che ha ridotto le entrate fiscali e portato il deficit federale a livelli record. Ma pesano soprattutto i piani di salvataggio dell’economia dal Covid
Si legge …Decisiva, come accennato, anche la speculazione sui tempi del vaccino. Negli Usa, e non solo, sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di un’autorizzazione emergenziale prima della chiusura ufficiale dei test. Se è vero che l’amministrazione Trump ha, con ogni evidenza, un chiaro interesse elettorale in questa partita, le ultime dichiarazioni del virologo Anthony Fauci, non certo imputabile di partigianeria politica alla luce dei noti screzi con il presidente Usa, hanno dato una sorta di bollino di affidabilità scientifica a tale ipotesi. «Se i risultati della sperimentazione dovessero risultare inequivocabilmente positivi – ha dichiarato il virologo membro della task force Usa contro il Covid – la Food and drug administration ha il potere, ma anche il dovere, di interrompere i test e organizzare al più presto una campagna vaccinale su milioni di persone».
da MILANO FINANZA 29 agosto 2020
LA CORSA ALLA CASA BIANCAIl decalogo di Donald
Trump cerca la riconferma con un obiettivo: ribaltare definitivamente le politiche americane degli ultimi 40 anni Allora viva le piccole imprese, largo al Made in Usa e addio alla Cina
Donald Trump
È un Donald Trump che va sempre a mille, quello che si ripresenta. Ma c’è una differenza sostanziale rispetto alla volta passata: mentre nella campagna elettorale per il primo mandato le sue proposte dirompenti erano state accolte con sarcasmo, se non ridicolizzate, ora fanno letteralmente terrore: perché è sempre nel second term che i presidenti chiudono le partite di lunga lena. D’altra parte, se negli Usa c’è una competizione elettorale che ancora una volta trascende nei toni e nei mezzi, se c’è uno scontro violento non solo sul piano politico, è perché Trump mette in discussione le idee dominanti, quelle su cui si fonda la legittimazione delle politiche in atto: quelle che da almeno quattro decenni sono state fabbricate dal potere economico al pari di qualsiasi altro prodotto industriale o finanziario.
Ci vorrebbe Carlo Marx, che così la pensava in ordine alla capacità proteiforme di creare le idee dominanti nella società da parte della classe che detiene il potere economico, per descrivere il conflitto in corso in America, visto che ai suoi tempi la considerava come «l’esempio più perfetto di Stato moderno». Riteneva infatti che l’indipendenza dello Stato moderno «non si trova più che in quei Paesi dove gli ordini [feudali] non si sono ancora sviluppati in classi, dove gli ordini, eliminati nei paesi più progrediti, esercitano ancora una funzione ed esiste una mescolanza per cui nessuna parte della popolazione può arrivare a dominare le altre». Se, dunque, quattro anni fa Trump era riuscito a essere eletto presidente, e se ora corre per un secondo mandato con un programma elettorale che sconfessa radicalmente tutto ciò che per decenni è stato ritenuto politically correct, è ben per questo: perché in America c’è ancora una vitalità caotica, un’irrequietezza sociale e umana irrefrenabile che è riuscita a mettere in scacco l’establishment, dal potere politico del Congresso con i Rappresentanti che siedono per decenni garantendo le lobby a quello finanziario di Wall Street, da quello militare del Pentagono alla ragnatela del Deep State che si annida nelle Agenzie federali. Ce n’è per tutti, nel programma elettorale di Trump, ormai il nemico giurato per i Democratici che pronosticano una catastrofe democratica nel caso di una sua rielezione. L’incipit è battagliero: «Combatto per Voi!»: dieci macroaree e 50 punti che fanno letteralmente a pezzi il modello di crescita che l’America ha adottato a partire dagli anni 80: a favore dei servizi e della New Economy ma a danno della manifattura, con una delocalizzazione produttiva esasperata che ha arricchito le multinazionali senza bandiera.
Il lavoro è al primo punto: la ripresa deve essere fulminea, per creare 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi dieci mesi. Essendone stati distrutti una ventina di milioni tra fine inverno e inizio estate, non è un obiettivo implausibile, considerando che un anno fa il tasso ufficiale di disoccupazione era di poco superiore al 3,5% e che è schizzato a oltre il 17% nel pieno della crisi. Il modello è quello vocazionale italiano: 1 milione di nuove piccole imprese. Sono cinque gli strumenti previsti per raggiungere questi obiettivi: tagli alle tasse per aumentare gli stipendi; accordi commerciali equi (fair trade e non solo free trade) per mantenere i posti di lavoro in America; crediti fiscali per i prodotti Made in Usa; espansione delle Opportunity Zones; ulteriore deregolamentazione del settore energetico per conseguire la piena indipendenza dall’estero. La dipendenza dalla Cina va ridotta: è una netta marcia indietro rispetto alla strategia adottata a partire dal 2000. Bisogna riportare a casa un milione di posti di lavoro, fornendo crediti fiscali alle imprese che fanno reshoring, elevandoli al 100% delle spese sostenute per le imprese che operano nel settore farmaceutico e della robotica. Le imprese che fanno outsourcing in Cina non potranno beneficiare di contratti federali. Per quanto riguarda l’emergenza sanitaria, si prosegue senza remore contro la Cina, ritenuta responsabile per aver permesso al Covid-19 di circolare per il mondo. L’obiettivo americano è di sviluppare il vaccino entro la fine di quest’anno e di tornare alla normalità nel 2021. Si farà in modo da produrre negli Usa tutte le medicine e i dispositivi di protezione individuale occorrenti, preparandosi al meglio per fronteggiare future emergenze.
La sanità è da sempre un nervo scoperto. Avendo tolto l’obbligo di assicurarsi, occorre comunque provvedere per ridurre gli oneri che gravano sui cittadini americani: non solo si promette di tagliare il prezzo dei farmaci, questione su cui anche i democratici in passato convenivano, ma anche di abbassare i premi delle assicurazioni, schizzati in alto a seguito dell’Obamacare in quanto avrebbe imposto maggiori rischi alle compagnie. Deve anche cessare la pratica delle fatture «a sorpresa», quelle che addebitano cifre a tre e anche a quattro zeri che obbligano il paziente a ricorrere a prestiti bancari per saldarle. Il Big Pharma e le assicurazioni sanitarie non la prenderanno bene: vedremo a consuntivo quanti fondi avranno destinato per sostenere la campagna elettorale di Trump. Si strappa anche nel settore dell’educazione, che già oggi drena risorse federali assai consistenti ma con risultati non commendevoli: sarà garantita la libertà di scelta per gli alunni, tra scuole pubbliche e private. In Italia ci si provò con il buono scuola, ma alla fine prevalsero le levate di scudi in favore della scuola pubblica nei confronti di quelle organizzate da istituzioni religiose. Il principio da cui si partiva era giusto: lo Stato deve finanziare il bisogno, non la struttura pubblica che lo soddisfa: ma il potere burocratico e contrattuale delle strutture si sono dimostrati immensi. Curiosamente, si prevede di insegnare nelle scuole l’«eccezionalismo americano»: vista la fase di declino, potrebbe valere quanto si dice dell’araldica nobiliare, che divenne disciplina di studio solo quando l’Evo era ormai tramontato. Il capitolo più succoso è intitolato Prosciugare la palude, un proclama anti-casta che sembra copiato dai manifesti politici italiani di questi ultimi anni. Piacerebbe assai ai populisti de noantri, ora ben inchiavardati nelle un tempo vilipese poltrone, la prima proposta: imporre limiti di mandato ai parlamentari, alcuni dei quali sono dei veri e propri satrapi, irremovibili per la vastità delle ragnatele di affari e di interessi che hanno creato negli anni. Alle destre libertarie italiane, quelle che rappresentano i piccoli imprenditori, gli artigiani e i commercianti, piacerebbe la prospettiva di porre fine al «bullismo esercitato contro i cittadini e le piccole imprese americane»: è sempre il solito Stato, forte con i deboli e debole con i forti.
L’alzo zero prosegue con due altre iniziative dirompenti: maggiore trasparenza nell’uso dei fondi di Washington e prosciugamento della palude globalista, attaccando le organizzazioni internazionali che danneggiano i cittadini americani. Come se non bastasse, si prevede di finanziare in modo consistente la polizia, nel puro stile tradizionale Law and Order: le pene per chi assale le forze dell’ordine saranno rese più pesanti; verranno considerati come atti di terrorismo le sparatorie dalle auto; verranno perseguiti in giudizio i gruppi estremisti Antifa e infine sarà eliminata la possibilità di essere messi in libertà su cauzione per una serie di reati gravi. Gli incriminati rimarranno in carcere preventivo fino alla conclusione del processo: qui, il giustizialismo dell’Italia ha fatto da battistrada. La fibrillazione dei democratici, non solo americani, raggiunge l’apice di fronte alla proposta di impedire agli immigrati illegali di beneficiare di ogni forma di welfare, dall’assistenza sanitaria all’istruzione, richiedendo a tutti i nuovi migranti di sostenersi autonomamente: niente di strano, visto che questa ultima è una condizione già prevista per i cittadini europei che si spostano da un Paese all’altro dell’Unione. Dove si proclama la tolleranza zero, è con la deportazione obbligatoria per gli stranieri membri di gang criminali, lo smantellamento delle reti di traffico di esseri umani, la espugnazione delle città-santuario, dove la malavita si è rinserrata e la polizia non mette piede. Parole dure, di verità, queste ultime, assai simili a quelle che furono pronunciate solo poco più di un anno fa dal ministro francese dell’Interno Gerard Collomb nel dimettersi dall’incarico: ci sono aree della Francia che vanno riconquistate dalla Repubblica.
Sulla politica estera, il Programma di Trump si chiude con un filotto: «Porre fine alle guerre senza fine», riportare le truppe americane a casa, obbligare i Paesi alleati a pagare per la difesa di cui beneficiano e che finora è stata messa a carico del contribuente americano, lanciare una Space Force. Sembrano tornati i tempi dello Scudo spaziale di Ronald Reagan, con l’immensa differenza che costui lasciava chiudere le imprese americane e con il presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, che alzava i tassi di interesse per stroncare l’inflazione. Quarant’anni esatti di demolizione produttiva, di impoverimento della classe media, di globalizzazione, di America che cresce fuori dagli Usa. Ora tutto si ribalta, in perfetto stile trumpiano: l’America è questa. (riproduzione riservata)
da START MAGAZINE del 25 agosto 2020
MONDO
Trump ha realizzato il programma economico promesso 4 anni fa? La pagella di Axios

La performance di Donald Trump sarà in primo piano in questi giorni di Convention Repubblicana. Axios ha analizzato se e quanto il programma di politica economica annunciato 4 anni fa da Trump è stato attuato.
Gli americani votano con il portafoglio, si sa: per la scelta dell’uomo da mandare (o far rimanere) alla Casa Bianca, gli americani guardano più ai programmi economici realizzati dal presidente in carica o da quelli promessi dallo sfidante,
Ebbene, la performance economica di Donald Trump sarà in primo piano in questi giorni di Convention Repubblicana, con il presidente e il partito pronti a rivendicare le promesse mantenute e i successi acquisiti in questi quattro anni di governo, proprio come lo saranno il giorno in cui gli americani infileranno la scheda nell’urna il prossimo 3 novembre.
Trump ha mantenuto le promesse fatte 4 anni fa? A questa domanda hanno cercato di rispondere Dan Primack e Courtenay Brown di Axios che hanno stilato una sorta di pagella passandole in rassegna, una per una, con i relativi risultati.
- Far crescere l’economia del 4% l’anno: fallito.
L’economia Usa è cresciuta di una media del 2,5% durante i primi tre anni della presidenza, toccando il 3% nel 2018 ma ridiscendendo al 2,2% nel 2019.
- Ridurrre il debito nazionale e cancellarlo interamente entro otto anni: fallito.
Il debito era a quota 19,57 trilioni alla fine del 2016, ma è cresciuto ogni anno da allora, e adesso veleggia intorno ai 27 trilioni, senza che si scorga alcun trend di riduzione,.
- Rinegoziare gli accordi commerciali: Fatto.
- Diminuire il deficit commerciale: il deficit si è ampliato ogni anno della presidenza secondo i dati dell’U.S. Census Bureau
- Mettere dazi alle importazioni dalla Cina e bloccare la pratica del furto dei segreti commerciali americani: fatto a metà.
Dopo due anni e mezzo di braccio di ferro, dazi e negoziati commerciali a intermittenza, l’amministrazione Trump ha firmato con la Cina la fase uno di un accordo commerciale a gennaio di quest’anno che risolve solo parzialmente questi problemi, non sembra funzionare alla grande e non lascia intravedere l’opportunità di raggiungere a breve la fase 2 (lo stesso Trump recentemente ha definito “improbabile” questa possibilità).
- Riportare in patria I lavori da operaio persi a causa della delocalizzazione: riuscito solo parzialmente
I numeri di posti di lavoro nel settore manifatturiero sono cresciuti di circa mezzo milione, passando da 12,36 a 12,87 milioni, Ma al gennaio 2020 c’erano meno americani impiegati in fabbrica di quando Trump è entrato in carica.
- Rivitalizzare l’industria: riuscito a metà.
Il principale indice manifatturiero – Institute for Supply Management (ISM) manufacturing index – si è effettivamente innalzato quando Trump è entrato in carica e ha toccato il suo massimo storico nel 2018. Ma da allora l’indice si è contratto per la prima volta dal gennaio 2016 e ora gravita ad un livello simile rispetto a quello del 2009.
- Riportare i minatori e i lavoratori dell’acciaio al lavoro: riuscito a metà.
Se il numero dei lavoratori nel settore del ferro e dell’acciaio è aumentato del 10,3% tra il maggio 2016 e l maggio 2019, il numero di minatori è cresciuto di sole 200 unità tra dicembre 2016 e lo stesso mese del 2019, salvo precipitare per migliaia di unità in occasione della pandemia.
- Le aziende come Apple torneranno a produrre in America: fallito
- Massiccio taglio delle tasse senza gravare sul deficit: riuscito a metà.
I tagli delle tasse trumpiani sono stati i più incisivi degli ultimi 30 anni. Ma non si sono ripagati affatto da soli, come pretendeva la propaganda trumpiana, perché il deficit è aumentato costantemente raggiungendo il record proprio in questi mesi.
- Tagliare le tasse alle imprese del 15%; la tassa è passata dal 35 al 21%.
- Escludere dalle tasse le spese per la cura dei figli: fallito. Il decreto fiscale del 2017 ha effettivamente esteso il tax credit per queste spese, ma non nella misura necessaria.
- Attirare miliardi di dollari dall’estero: fallito. Gli investimenti esteri sono calati e hanno toccato l’anno scorso il livello più basso degli ultimi dieci anni.
- Eliminare regolamenti “ammazzalavoro”: riuscito a metà. L’amministrazione ha portato a termine 243 azioni di deregulation nei suoi primi due anni, ma sono state definite economicamente insignificanti. Inoltre molti di questi provvedimenti sono finiti in tribunale, dove la Casa Bianca ha perso nel 80% dei casi.
Dimensione carattere
Washington
Il presidente della gente. Un leader che farà tornare l’ordine e la sicurezza dopo mesi di proteste per le ingiustizie razziali. E farà ripartire l’economia dell’America devastata dalla pandemia. Le mani sul petto, lo sfondo delle bandiere a stelle e strisce e i fuochi di artificio a illuminare la Casa Bianca nella notte di Washington, il presidente Donald Trump ha concluso con il suo discorso di accettazione della candidatura la quattro giorni di convention repubblicana. In tono minore, virtuale per larga parte, come quella dei democratici la settimana prima per colpa della pandemia. Ha parlato dal rinnovato giardino delle Rose nel South Lawn della Casa Bianca, versione golf resort, in un intervento nel quale si è a lungo soffermato sui risultati economici raggiunti dalla sua presidenza, i record di Wall Street, la disoccupazione sui minimi da cinquant’anni. Tutto vero. Fino a febbraio quando il coronavirus ha cambiato completamente le carte sul tavolo. Con ormai quasi 200mila morti, 6 milioni di casi accertati e milioni di disoccupati in eredità. A poco più di due mesi dal voto, Trump è ancora in ritardo nei sondaggi, pur se il suo gradimento nella media nazionale è salito di oltre un punto in questi giorni di convention stile reality show. Studiata alla perfezione dai suoi producer televisivi per colpire la pancia dell’America. Lo zoccolo duro dei tanti americani che sostengono il più improbabile presidente della storia americana, «un outsider alla Casa Bianca», come lui stesso ama ripetere. Che forse proprio per questo, per le sue tante contraddizioni, piace. Piace al 60% degli americani che non ha un passaporto in corso di validità. Quell’America profonda mai uscita dai confini patri, per cui il mondo finisce poco oltre la propria contea. Piace soprattutto ai bianchi Trump, spaventati dal crescente multiculturalismo della società americana, dalle proteste dei movimenti Black Lives Matter e Defund The Police, e dalla prospettiva demografica che li ridurrà a minoranza entro il 2040.
Trump ha cercato di modificare la percezione sulla gestione della emergenza sanitaria e di dare un’immagine diversa della sua leadership, dipingendo se stesso come il migliore commander in chief per traghettare la prima potenza mondiale verso la ripresa economica. «Nella nostra lotta contro il virus abbiamo lanciato la più grande mobilizzazione di risorse dalla Seconda Guerra mondiale. Con il mio piano di aiuti ho salvato più di 50 milioni di posti di lavoro», in riferimento ai 660 miliardi di fondi alle Pmi contenuti nel più ampio pacchetto da 2.200 miliardi di aiuti federali del Cares Act. Gli economisti stimano che i posti salvati siano molti meno, in un range compreso tra 1 e 14 milioni. Da inizio anno una Pmi su sei ha chiuso a causa del coronavirus che è tutt’altro che sotto controllo. Ma le discrepanze sulle cifre ai sostenitori di Trump non importano più di tanto. Il loro condottiero li difenderà sempre e comunque «dall’avanzata del socialismo e dalla sinistra radicale» che si nasconde dietro la coppia dei candidati democratici centristi Biden-Harris. Poche ore prima il vice presidente Mike Pence da Fort McHenry, luogo patriottico dove i coloni americani vinsero una delle battaglie sugli inglesi, ha lanciato la palla al suo presidente con un discorso tutto incentrato sull’Ordine e la Sicurezza. «Le violenze devono finire. Non sarete mai sicuri con uno come Biden». Trump ha ribadito la sua fiducia nella polizia, nelle ore in cui sono riprese le manifestazioni. «I fondi alla polizia con me non saranno mai tagliati», ha detto. La sicurezza degli americani e il rilancio dell’economia sono la sua priorità, ha assicurato tra gli applausi dei presenti nel Giardino delle Rose quasi tutti rigorosamente senza mascherina.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riccardo Barlaam
IL DISCORSO«Legge e ordine», la campagna di Trump dalla Casa BiancaLa sicurezza è uno dei temi chiave dell’ intervento alla ConventionLa sera prima il vice Pence aveva preparato il terreno: linea dura contro il crimineRiccardo Barlaam
Washington
Il presidente della gente. Un leader che farà tornare l’ordine e la sicurezza dopo mesi di proteste per le ingiustizie razziali. E farà ripartire l’economia dell’America devastata dalla pandemia. Le mani sul petto, lo sfondo delle bandiere a stelle e strisce e i fuochi di artificio a illuminare la Casa Bianca nella notte di Washington, il presidente Donald Trump ha concluso con il suo discorso di accettazione della candidatura la quattro giorni di convention repubblicana. In tono minore, virtuale per larga parte, come quella dei democratici la settimana prima per colpa della pandemia. Ha parlato dal rinnovato giardino delle Rose nel South Lawn della Casa Bianca, versione golf resort, in un intervento nel quale si è a lungo soffermato sui risultati economici raggiunti dalla sua presidenza, i record di Wall Street, la disoccupazione sui minimi da cinquant’anni. Tutto vero. Fino a febbraio quando il coronavirus ha cambiato completamente le carte sul tavolo. Con ormai quasi 200mila morti, 6 milioni di casi accertati e milioni di disoccupati in eredità. A poco più di due mesi dal voto, Trump è ancora in ritardo nei sondaggi, pur se il suo gradimento nella media nazionale è salito di oltre un punto in questi giorni di convention stile reality show. Studiata alla perfezione dai suoi producer televisivi per colpire la pancia dell’America. Lo zoccolo duro dei tanti americani che sostengono il più improbabile presidente della storia americana, «un outsider alla Casa Bianca», come lui stesso ama ripetere. Che forse proprio per questo, per le sue tante contraddizioni, piace. Piace al 60% degli americani che non ha un passaporto in corso di validità. Quell’America profonda mai uscita dai confini patri, per cui il mondo finisce poco oltre la propria contea. Piace soprattutto ai bianchi Trump, spaventati dal crescente multiculturalismo della società americana, dalle proteste dei movimenti Black Lives Matter e Defund The Police, e dalla prospettiva demografica che li ridurrà a minoranza entro il 2040.
Trump ha cercato di modificare la percezione sulla gestione della emergenza sanitaria e di dare un’immagine diversa della sua leadership, dipingendo se stesso come il migliore commander in chief per traghettare la prima potenza mondiale verso la ripresa economica. «Nella nostra lotta contro il virus abbiamo lanciato la più grande mobilizzazione di risorse dalla Seconda Guerra mondiale. Con il mio piano di aiuti ho salvato più di 50 milioni di posti di lavoro», in riferimento ai 660 miliardi di fondi alle Pmi contenuti nel più ampio pacchetto da 2.200 miliardi di aiuti federali del Cares Act. Gli economisti stimano che i posti salvati siano molti meno, in un range compreso tra 1 e 14 milioni. Da inizio anno una Pmi su sei ha chiuso a causa del coronavirus che è tutt’altro che sotto controllo. Ma le discrepanze sulle cifre ai sostenitori di Trump non importano più di tanto. Il loro condottiero li difenderà sempre e comunque «dall’avanzata del socialismo e dalla sinistra radicale» che si nasconde dietro la coppia dei candidati democratici centristi Biden-Harris. Poche ore prima il vice presidente Mike Pence da Fort McHenry, luogo patriottico dove i coloni americani vinsero una delle battaglie sugli inglesi, ha lanciato la palla al suo presidente con un discorso tutto incentrato sull’Ordine e la Sicurezza. «Le violenze devono finire. Non sarete mai sicuri con uno come Biden». Trump ha ribadito la sua fiducia nella polizia, nelle ore in cui sono riprese le manifestazioni. «I fondi alla polizia con me non saranno mai tagliati», ha detto. La sicurezza degli americani e il rilancio dell’economia sono la sua priorità, ha assicurato tra gli applausi dei presenti nel Giardino delle Rose quasi tutti rigorosamente senza mascherina.
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Riccardo Barlaam
da Milano Finanza 29 agosto
la corsa alla casa bianca
Il decalogo di Donald
Trump cerca la riconferma con un obiettivo:ribaltare definitivamente le politiche americane degli ultimi 40 anniAllora viva le piccole imprese, largo al Made in Usa e addio alla CinaÈ un Donald Trump che va sempre a mille, quello che si ripresenta. Ma c’è una differenza sostanziale rispetto alla volta passata: mentre nella campagna elettorale per il primo mandato le sue proposte dirompenti erano state accolte con sarcasmo, se non ridicolizzate, ora fanno letteralmente terrore: perché è sempre nel second term che i presidenti chiudono le partite di lunga lena. D’altra parte, se negli Usa c’è una competizione elettorale che ancora una volta trascende nei toni e nei mezzi, se c’è uno scontro violento non solo sul piano politico, è perché Trump mette in discussione le idee dominanti, quelle su cui si fonda la legittimazione delle politiche in atto: quelle che da almeno quattro decenni sono state fabbricate dal potere economico al pari di qualsiasi altro prodotto industriale o finanziario.
Ci vorrebbe Carlo Marx, che così la pensava in ordine alla capacità proteiforme di creare le idee dominanti nella società da parte della classe che detiene il potere economico, per descrivere il conflitto in corso in America, visto che ai suoi tempi la considerava come «l’esempio più perfetto di Stato moderno». Riteneva infatti che l’indipendenza dello Stato moderno «non si trova più che in quei Paesi dove gli ordini [feudali] non si sono ancora sviluppati in classi, dove gli ordini, eliminati nei paesi più progrediti, esercitano ancora una funzione ed esiste una mescolanza per cui nessuna parte della popolazione può arrivare a dominare le altre». Se, dunque, quattro anni fa Trump era riuscito a essere eletto presidente, e se ora corre per un secondo mandato con un programma elettorale che sconfessa radicalmente tutto ciò che per decenni è stato ritenuto politically correct, è ben per questo: perché in America c’è ancora una vitalità caotica, un’irrequietezza sociale e umana irrefrenabile che è riuscita a mettere in scacco l’establishment, dal potere politico del Congresso con i Rappresentanti che siedono per decenni garantendo le lobby a quello finanziario di Wall Street, da quello militare del Pentagono alla ragnatela del Deep State che si annida nelle Agenzie federali. Ce n’è per tutti, nel programma elettorale di Trump, ormai il nemico giurato per i Democratici che pronosticano una catastrofe democratica nel caso di una sua rielezione. L’incipit è battagliero: «Combatto per Voi!»: dieci macroaree e 50 punti che fanno letteralmente a pezzi il modello di crescita che l’America ha adottato a partire dagli anni 80: a favore dei servizi e della New Economy ma a danno della manifattura, con una delocalizzazione produttiva esasperata che ha arricchito le multinazionali senza bandiera.
Il lavoro è al primo punto: la ripresa deve essere fulminea, per creare 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi dieci mesi. Essendone stati distrutti una ventina di milioni tra fine inverno e inizio estate, non è un obiettivo implausibile, considerando che un anno fa il tasso ufficiale di disoccupazione era di poco superiore al 3,5% e che è schizzato a oltre il 17% nel pieno della crisi. Il modello è quello vocazionale italiano: 1 milione di nuove piccole imprese. Sono cinque gli strumenti previsti per raggiungere questi obiettivi: tagli alle tasse per aumentare gli stipendi; accordi commerciali equi (fair trade e non solo free trade) per mantenere i posti di lavoro in America; crediti fiscali per i prodotti Made in Usa; espansione delle Opportunity Zones; ulteriore deregolamentazione del settore energetico per conseguire la piena indipendenza dall’estero. La dipendenza dalla Cina va ridotta: è una netta marcia indietro rispetto alla strategia adottata a partire dal 2000. Bisogna riportare a casa un milione di posti di lavoro, fornendo crediti fiscali alle imprese che fanno reshoring, elevandoli al 100% delle spese sostenute per le imprese che operano nel settore farmaceutico e della robotica. Le imprese che fanno outsourcing in Cina non potranno beneficiare di contratti federali. Per quanto riguarda l’emergenza sanitaria, si prosegue senza remore contro la Cina, ritenuta responsabile per aver permesso al Covid-19 di circolare per il mondo. L’obiettivo americano è di sviluppare il vaccino entro la fine di quest’anno e di tornare alla normalità nel 2021. Si farà in modo da produrre negli Usa tutte le medicine e i dispositivi di protezione individuale occorrenti, preparandosi al meglio per fronteggiare future emergenze.
La sanità è da sempre un nervo scoperto. Avendo tolto l’obbligo di assicurarsi, occorre comunque provvedere per ridurre gli oneri che gravano sui cittadini americani: non solo si promette di tagliare il prezzo dei farmaci, questione su cui anche i democratici in passato convenivano, ma anche di abbassare i premi delle assicurazioni, schizzati in alto a seguito dell’Obamacare in quanto avrebbe imposto maggiori rischi alle compagnie. Deve anche cessare la pratica delle fatture «a sorpresa», quelle che addebitano cifre a tre e anche a quattro zeri che obbligano il paziente a ricorrere a prestiti bancari per saldarle. Il Big Pharma e le assicurazioni sanitarie non la prenderanno bene: vedremo a consuntivo quanti fondi avranno destinato per sostenere la campagna elettorale di Trump. Si strappa anche nel settore dell’educazione, che già oggi drena risorse federali assai consistenti ma con risultati non commendevoli: sarà garantita la libertà di scelta per gli alunni, tra scuole pubbliche e private. In Italia ci si provò con il buono scuola, ma alla fine prevalsero le levate di scudi in favore della scuola pubblica nei confronti di quelle organizzate da istituzioni religiose. Il principio da cui si partiva era giusto: lo Stato deve finanziare il bisogno, non la struttura pubblica che lo soddisfa: ma il potere burocratico e contrattuale delle strutture si sono dimostrati immensi. Curiosamente, si prevede di insegnare nelle scuole l’«eccezionalismo americano»: vista la fase di declino, potrebbe valere quanto si dice dell’araldica nobiliare, che divenne disciplina di studio solo quando l’Evo era ormai tramontato. Il capitolo più succoso è intitolato Prosciugare la palude, un proclama anti-casta che sembra copiato dai manifesti politici italiani di questi ultimi anni. Piacerebbe assai ai populisti de noantri, ora ben inchiavardati nelle un tempo vilipese poltrone, la prima proposta: imporre limiti di mandato ai parlamentari, alcuni dei quali sono dei veri e propri satrapi, irremovibili per la vastità delle ragnatele di affari e di interessi che hanno creato negli anni. Alle destre libertarie italiane, quelle che rappresentano i piccoli imprenditori, gli artigiani e i commercianti, piacerebbe la prospettiva di porre fine al «bullismo esercitato contro i cittadini e le piccole imprese americane»: è sempre il solito Stato, forte con i deboli e debole con i forti.
L’alzo zero prosegue con due altre iniziative dirompenti: maggiore trasparenza nell’uso dei fondi di Washington e prosciugamento della palude globalista, attaccando le organizzazioni internazionali che danneggiano i cittadini americani. Come se non bastasse, si prevede di finanziare in modo consistente la polizia, nel puro stile tradizionale Law and Order: le pene per chi assale le forze dell’ordine saranno rese più pesanti; verranno considerati come atti di terrorismo le sparatorie dalle auto; verranno perseguiti in giudizio i gruppi estremisti Antifa e infine sarà eliminata la possibilità di essere messi in libertà su cauzione per una serie di reati gravi. Gli incriminati rimarranno in carcere preventivo fino alla conclusione del processo: qui, il giustizialismo dell’Italia ha fatto da battistrada. La fibrillazione dei democratici, non solo americani, raggiunge l’apice di fronte alla proposta di impedire agli immigrati illegali di beneficiare di ogni forma di welfare, dall’assistenza sanitaria all’istruzione, richiedendo a tutti i nuovi migranti di sostenersi autonomamente: niente di strano, visto che questa ultima è una condizione già prevista per i cittadini europei che si spostano da un Paese all’altro dell’Unione. Dove si proclama la tolleranza zero, è con la deportazione obbligatoria per gli stranieri membri di gang criminali, lo smantellamento delle reti di traffico di esseri umani, la espugnazione delle città-santuario, dove la malavita si è rinserrata e la polizia non mette piede. Parole dure, di verità, queste ultime, assai simili a quelle che furono pronunciate solo poco più di un anno fa dal ministro francese dell’Interno Gerard Collomb nel dimettersi dall’incarico: ci sono aree della Francia che vanno riconquistate dalla Repubblica.
Sulla politica estera, il Programma di Trump si chiude con un filotto: «Porre fine alle guerre senza fine», riportare le truppe americane a casa, obbligare i Paesi alleati a pagare per la difesa di cui beneficiano e che finora è stata messa a carico del contribuente americano, lanciare una Space Force. Sembrano tornati i tempi dello Scudo spaziale di Ronald Reagan, con l’immensa differenza che costui lasciava chiudere le imprese americane e con il presidente della Federal Reserve, Paul Volcker, che alzava i tassi di interesse per stroncare l’inflazione. Quarant’anni esatti di demolizione produttiva, di impoverimento della classe media, di globalizzazione, di America che cresce fuori dagli Usa. Ora tutto si ribalta, in perfetto stile trumpiano: l’America è questa. (riproduzione riservata)