È del 27 maggio un articolo di WallStreet Italia dal titolo ormai quasi ridondante: Risparmio, gli italiani preferiscono ancora il “fai da te”.
Cito all’interno dell’articolo l’affermazione da cui mi piace partire:
Il 52% dichiara di scegliere il “fai da te” nella gestione dei risparmi, ma di fondo manca una conoscenza adeguata e una sana consulenza ed educazione finanziaria.
Diciamo che lo sappiamo. Lo leggiamo da tempo immemorabile. Quasi non fosse più così necessario parlarne.
E questo “fai da te” si esprime sempre di più nelle scelte in totale autonomia del sempre indagato speciale (anche da me!) trading online.
Ora, vi è mai capitato di entrare in un negozio per chiedere di quel prodotto presente ovunque, nella varietà straordinaria con cui si comunicano i suggerimenti pubblicitari, dalla cartellonistica obsoleta al pop-up che si apre ripetutamente online, magari perché – sprovveduti – non vi eravate accorti di avere accettato tutti i cookie aprendo le porte a tutto il fantastico mondo del prodotto fatto a posta per voi, esito di una osservazione di «dove-sei-cosa-fai-con-chi-sei-dove-mangi»?
Sono certa che se leggete tutto d’un fiato quasi avvertite angoscia in questa mia osservazione, ma al tempo stesso ricordate l’emozione che vi suscita quel prodotto particolare quando nel vederlo esclamate dentro di voi: «Ecco, è proprio quello che stavo aspettando». E da lì… parte la caccia al negozio o al sito che quel prodotto lo vende veramente. Per poterlo avere.
Viviamo in un’era in cui tutto è disponibile sempre, ovunque e in qualsiasi momento, e voglio che pensiate a questo panorama, di pronta visione e disponibilità di qualsivoglia offerta. Dove insomma è veramente improbabile che avvenga l’esperienza sconfortante di non trovare quello che si stava cercando, avendolo visto pubblicizzato ovunque.
Ebbene, proprio questa esperienza di disappunto rischia di accadere o meglio sta già avendo i suoi prodromi più evidenti entrando nel “negozio della consulenza evoluta” – lasciatemi coniare questa espressione in questa sede. Da parte di chi? Proprio da parte dell’investitore (e badate bene, non sto parlando solo di giovanotti).
Da parte di questo particolare tipo di cliente che, cercando quello che si trova oramai scritto anche sui muri (ieri ero in giro per Milano ed era anche su una pubblicità per strada!) senza trovarlo nel suo consulente, cioè nel negozio offerto dal suo consulente, reagisce dedicandosi sempre di più al sopra citato e non più così ingiustificabile “fai da te”. Con i rischi, quelli davvero identificabili come danni e non come opportunità, che ne conseguono nella gran parte dei casi.
Riprendo qui un’interessante intervista di Morningstar del 28 maggio:
Black: Quindi, Dan Kemp, il mondo sta impazzendo per le criptovalute. Cosa c’è dietro tutto questo interesse?
Kemp: Beh, molte cose. Come ben sappiamo, non puoi più avere una conversazione nel mondo degli investimenti senza che si finisca sulle criptovalute abbastanza rapidamente.
Verissimo. Davvero, qualcosa di veramente stravolgente è successo nel mondo della Consulenza, al punto che non si può fare a meno di parlarne presto o tardi: le criptovalute.
E qual è, come sempre, il driver massivo di questa attrazione? Continua l’intervista:
Quello che è successo da allora, ovviamente, è il fatto che c’è gente che apparentemente ha fatto fortuna con le criptovalute. E, naturalmente, ciò crea “momentum”, poiché sempre più persone vengono trascinate nella convinzione di una ricchezza molto veloce e molto facile da ottenere. E così si questo “momentum” continua a crescere, assieme all’interesse per l’asset class.
Non è la prima volta che evidenzio il film mentale che sottende l’approccio dell’investitore, a maggior ragione post Covid (una nuova era dell’investitore un po’ impropria, ma rende l’idea): il tempo è breve, le cose più imprevedibili possono accadere e fermare tutto, e quindi voglio vivere adesso quello che posso al massimo. Tradotto: caro consulente, se mi fai vedere una asset class mi devi convincere della sua efficienza nell’accelerare il risultato.
Del resto, continua la mente dell’investitore, questo è realmente possibile che accada, e il 2020 ne ha dato la prova con performance mai viste in 6 mesi dopo la tragedia. E allora tu, consulente, cosa riesci a darmi per fare lo stesso ora?
La domanda di qualcosa che faccia accadere quanto è impossibile nel mondo degli investimenti tradizionali è sempre più insistente in sede di appuntamento. E punta sempre lì, sul tema che il consulente si guarda bene dal raccomandare. Perché in fondo, per bloccare quell’insano istinto di buttarsi in un asset di cui si conosce ancora troppo poco, basta ricordare quelle occasioni in cui in passato si sono verificate grandi salite di prezzo attorno a un asset che poi si tramutavano nel più drammatico dei fallimenti (come la recentemente molto nominata bolla dei tulipani).
Peccato che il mondo delle criptovalute sia sempre di più una provocazione della realtà finanziaria, che anche là dove scrive finanza alternativa non comprende ancora quello che di alternativo dimostra di più. E peccato che proprio questa nuova realtà non possa essere più evitata, in quella che tradizionalmente è la consulenza in ragione di una adeguatezza dell’investimento.
E qui quello che potremmo identificare come il nuovissimo investimento alternativo trova il suo blocco all’entrata, rinvenibile in quella esasperazione di risultato con cui in un giorno può guadagnare come perdere, in percentuali che hanno tutto meno che la possibilità di essere incluse nell’ormai insufficiente VaR.
In fondo è questa una delle più grandi sollecitazioni per l’investitore a fare da sè, che nasce soprattutto nel confronto con coloro che hanno fatto la loro fortuna magari essendo tutto meno che esperti, e ciononostante diventati addirittura milionari. Quasi fosse la prova, questa ahimè sì, che per investire o meglio guadagnare non sia necessaria la conoscenza, piuttosto cogliere il momentum.
E proprio questa apparentemente valida prova penso sia una, se non la nuova sfida per il consulente finanziario che, oggi, deve essere disposto a diventare lui per primo alternativo, proprio in quanto disponibile ad accettare che esista davvero questo mercato al punto da farne materia di un nuovo confronto con l’investitore, invece che una censura alla sua domanda di accedervi.
Non posso non evidenziare che proprio a questo eventuale approccio che il consulente di nuova generazione, alternativo, dimostrasse quale sua evoluzione, rimane una fondamentale obiezione ben radicata nella forma stessa dell’offerta in consulenza. Perché essa nasce ancora in alternativa all’iniziativa del cliente nella quale vengono, anche giustamente, relegate (diciamo così!) tutte le scelte espresse dal cliente e di cui il consulente si occupa per lo più nella fase di esecuzione e solo parzialmente di valutazione.
Lasciando fuori il campo dell’adeguatezza di certi strumenti. Così anche questo nuovo mondo di mercato, così disarmante per i suoi esiti eppure così accattivante, rischia di rimanere separato dalla più vera consulenza, lasciando a intendere al cliente che se anche vi sia disponibilità a parlarne non vi sarà mai completa comprensione di essi in una vera proposta di consulenza.
Ma allora perché non si dovrebbe comprendere il sempre più evidente movimento di investitori verso il fai da te?
Perché, e questo dovrebbe interrogarci tutti, non avvertire come un rischio di perdita di valore di mercato per noi consulenti, l’avvento di alternative di intermediazione finanziaria, se non l’avvento di una sorta di “regolamentazione” delle affascinantissime monete virtuali da parte di Apple (che magari ha un significato più universale del caso Tesla)?
Preoccupazione per la perdita di quote di patrimoni sul nostro mercato attuale? Dai tradizionali titolari di questi patrimoni forse no. Ma non penso si possa evitare di pensare alla generazione che verrà, che sarà erede di quegli stessi patrimoni domani e – qui è il punto – è già oggi espertissima magari non di finanza, ma di digital transformation certamente sì. E anche delle fantomatiche cripto.
Alla prossima!