Ho fatto molta resistenza ma alla fine ho ceduto.
Sto parlando dell’esperienza (la definisco così, perché leggere un libro è fare esperienza) fatta leggendo il testo di Enrico Florentino “Zero Errori”.
Non me ne voglia Enrico, ma il titolo è un affronto all’intelligenza che, se utilizzata nel suo senso più congruo di prendere coscienza della realtà (mi piace pensare che sia questo il suo significato), consiglia sempre all’uomo della strada (e il consulente finanziario in fondo lo è molto, almeno in linea di principio) di tenere basso il profilo o, come si dice in gergo, di tenere la testa bassa. Ammettendo che l’errore non possa che essere parte inscindibile di qualsiasi professione, se non anche esperienza del vivere umano.
Figuriamoci se a tema mettiamo la professione del consulente finanziario! Pertanto, presentarsi con questo titolo può creare distanza, un po’ come i manifesti di politici non meglio identificati in questa sede (dove, ricordiamoci sempre, che non si parla di politica o di religione, regola aurea…) che si presentano come un vero e proprio affronto al raziocinio, mettendo a tema della propria campagna elettorale l’azzeramento del peccato originale, se non dello sbaglio.
Tuttavia, così facendo e così pensando – lo ammetto, ed ecco il mio “errore” – si commette l’ulteriore sbaglio che, Enrico Florentino permettendo, colloco in fondo alla sua declinazione che identifica ben otto errori da non commettere, con la premessa che dovrebbe essere anteposto a tutti gli altri, last but not least: la presunzione di sapere chi si è.
In effetti, accettare di passare attraverso gli errori che si commettono nella nostra professione, come usare un gergo e non spiegare, saltare i passaggi che semplificano (io non li voglio riassumere, proprio a conferma dell’importanza della lettura di questo saggio) rappresenta un vero percorso di auto-coscienza, di ripresa in mano del sé. Che non annulla assolutamente l’umanità del consulente, piuttosto la riconosce e ne fa il vero focus di attenzione.
Insomma, io non volevo leggere questo testo, lo confesso, presumendo di partire dalla premessa corretta che avrei rivolto direttamente al suo autore in questi termini: eh no, Enrico, sei tu che sbagli se ammetti che “zero errori” rappresenti il consulente finanziario. Se così fosse parleremmo di robot e non di persone! Perché tutti sbagliano e continuano a sbagliare. Ma questo non è, vi assicuro, il messaggio che si ricava dal testo.
L’ho colto in particolare a pagina 105, dove Florentino scrive: «Il cliente non si ricorda ciò che gli dici, bensì come lo fai sentire». Ecco qui lo stravolgimento della mia errata supposizione, che aveva creato in me una distanza incolmabile da un testo che, invece, finisce per essere un vero e proprio viatico alla professione del consulente finanziario. Perché non si arriva affatto a ipotizzare che il consulente non debba sbagliare, piuttosto che debba innanzitutto “far accadere” umanamente qualcosa di importante al suo cliente: farlo sentire bene.
E questo prima di ogni altro aspetto, che tutto ha meno che la caratteristica del puro fenomeno psicologico (che, garantito, il cliente avvertirebbe in un attimo, reagendo di conseguenza), è da mettere al centro di qualsiasi riflessione prioritaria sulla scelta di una professione come questa, se non anche da focalizzare per tutti coloro che già l’abbiano intrapresa da anni o decenni. È infatti proprio questa la priorità, far sentire bene il cliente, constatabile ogni giorno, oltre qualsiasi competenza tecnica che si ostenti (anche a ragion veduta) di avere. E questo non vuol dire, attenzione, che non siano necessarie le conoscenze. Mai potrei dirlo.
Piuttosto sottoscrivo il messaggio che Florentino insistentemente scrive sempre a pagina 105: «Ti invito a fare di tutto per raggiungere una maggiore personalizzazione e una minore automazione. Con “automazione”, intendo “anteporre sempre la finanza al tema del come fare sentire il cliente”». Come dire, aggiungo io declinando quello che mi sono permessa di identificare come nono (o primo) errore per un consulente finanziario: pensare che il cosa sia più importante del chi. Che la via maestra sia privilegiare sempre il cosa si sa rispetto al mostrare chi si è. Pensare che fare il consulente finanziario sia l’espressione di una competenza tecnica (che non permette di esprime pienamente il proprio spessore umano), e non innanzitutto di una persona che ha fatto esperienza di una corrispondenza profonda con i bisogni dei suoi clienti, imparando davvero a far accadere loro qualcosa di unico.
A pagina 89 Enrico Florentino cita il celebre marketer americano Seth Godin: «La gente non compra beni e servizi, compra relazioni, storie e magie». E qui smettiamola immediatamente, perché so che lo state pensando, di supporre che si stia parlando di incantare i clienti o addirittura di mettere in atto giochetti di parole. È una traduzione di un vero e proprio modello di servizio.
Cito ancora l’autore a pagina 106: «Calare completamente il proprio metodo in un accordo o una promessa che tu fai ai tuoi clienti, che non ti misureranno sulla base delle performance, ma valutando il modo in cui li assisti». E ancora, quando spiega come si crea una vera e propria differenza, che identifica chi è il consulente finanziario che ha incontrato un determinato cliente: «Tale differenza non può basarsi sui mercati che salgono e scendono, mentre tu puoi incidere moltissimo sul modo con cui lavorerai per e con i tuoi clienti».
A chiunque non si riconoscesse in questa necessaria differenza del chi si è rispetto al cosa si sa chiederei di ripensare alla casistica ben nota dei clienti che ci giudicano per quello che facciamo e per quello che non accade secondo le loro previsioni: sono proprio quelli che ancora non hanno capito chi siamo veramente per loro, chi possiamo essere, o meglio come possiamo farli sentire.
Ma qui la domanda è: abbiamo davvero fatto tutto il possibile, o meglio, abbiamo avuto il tempo giusto per farglielo vedere? Ecco qui la sfida del consulente finanziario, la più bella che io conosca. Florentino parla di costruire una credibilità con pazienza e spiega che non è un tema di chiusura di contratti, dove si salta la relazione (sacrosanto!). Nel riportare il commento che è stato fatto a un suo studente: «Caspita! Ma tu non molli mai! Sei un martello!», ribatte: «Per non mollare devi aver una visione».
Alla fine, avere una visione sembra qualcosa di stravagante per un consulente finanziario che crede di dover, appunto, fare il suo mestiere; l’affascinante percorso offerto da Florentino scardina i preconcetti e rimette a posto il quadro, facendo quasi dell’avere una visione, dell’essere un chi prima che un chi sa fare cosa, la differenza fondamentale cui prestare attenzione per essere riconosciuto dal cliente come il “suo consulente finanziario”, “suo”, non sostituibile con un altro. Una mia cliente a Natale mi ha scritto: «Come posso procedere senza l’angelo Pinturo?». È tutto vero, e io non credevo a quello che stavo leggendo, ma le sono stata riconoscente.
Grata della lettura, che mi aiuta sempre, e di questo lavoro che adoro.
Alla prossima!