BTP
Facilmente i clienti con cui parlo quotidianamente, se dovessero mai avere pochi minuti per attardarsi nella lettura di questa mia breve riflessione, finirebbero per rassegnarsi a una semplice considerazione.
Che suona così: «Tanto lei Pinturo non può capirmi, è inutile. Siamo di due generazioni diverse».
Senza esagerare, aggiungo qui io, visto che anche la mia età galoppa, dopo tutto.
La verità è che oggi potrei essere io a sbilanciarmi negli stessi termini con i clienti: «Tanto lei non può capirmi…!». E, ora sì, mai come ora, adducendo come motivazione, fondata, assolutamente fondata, che i tempi sarebbero davvero cambiati e che proprio per questo non si possano, o meglio (sempre meglio suggerire che dettare ai clienti), non si dovrebbero fare più le stesse considerazioni.
Quali considerazioni non si dovrebbero più fare sui famosi titoli di stato italiano? Di impatto si risponderebbe, come da sempre si tende a fare nei salotti della consulenza (con una sorta di retorica finanziaria che ahimè ormai serve a poco, specie con la nuova serie di clienti, che hanno assolutamente capito come va il mercato e cosa succede ogni volta), che i titoli di stato italiani (parliamo di quelli) sarebbero da non considerare come asset da inserire nel portafoglio, in quanto condannati alla volatilità dovuta al rincaro dei tassi iniziata da poco e destinata a perdurare almeno sino all’agognato ritorno a livelli di inflazione intorno al 2%.
Il ricatto della scadenza certa
Peccato che queste considerazioni lascino il tempo che trovano e il tempo, se non lo spazio, ormai stentino a trovarlo per essere prese sul serio.
Perché i clienti sono prontissimi a rispondere ai consulenti finanziari quando l’obiezione si imponga come un’obiezione di coscienza, mirata a orientarsi verso altre forme di investimento più remunerative per loro stessi (i clienti…o i consulenti?), con quali altre forme di rischio non è qui a tema.
La risposta dei clienti, infatti, a tali tentativi di veicolare l’investimento diciamo “altrove” è sempre la stessa. «A me interessa riavere il capitale a scadenza, piuttosto guadagnando poco, e soprattutto avere una scadenza certa».
E qui arriviamo alle vere considerazioni, quelle che si dovrebbero fare sui titoli di stato italiani, i cosiddetti BTP. Magari senza andare troppo su supporti tecnici che di questi giorni si sentono riportare all’attenzione, scritti sui media on line e non.
Mi riferisco alla risonanza data al cambiamento che, a seguito della caduta del governo, sarebbe stato introdotto su questi titoli (si, proprio su questi che per i clienti sembrano non cambiare mai, essere sempre immutabili e “con rischio zero”, così un cliente tra i tanti mi ha detto in questi giorni), riguardo alla restituzione del capitale. Davvero? Eh sì, davvero.
Perché si dà il caso, e non è un caso, visto quel lontano 2013 a partire da cui questo cambiamento sarebbe stato messo sul tavolo, a ridosso della crisi del debito sovrano, che questi benedetti titoli, proprio in ragione di importanti riforme intervenute per garantire una certa stabilità al sistema (sto semplificando, ma mi riferisco al MES) a partire dal 2022 e per lunghezze superiori ai 12 mesi avrebbero al loro interno certe clausole chiamate CACs, clausole che andrebbero lette con attenzione.
Perché proprio queste renderebbero non più così inattaccabili, proprio sull’aspetto per gli investitori più sensibile (restituzione del capitale alla scadenza), i soprannominati BTP.
Tuttavia non è mia intenzione insistere qui su questi aspetti tecnici, che pure andrebbero riconsiderati con attenzione, e peraltro parlano da soli. Perché quando l’investitore è convinto di una sua conoscenza, se non convinzione, che nasce in questo caso da una tradizione, che si sintetizza in una definizione di cosa significhi il BTP, ossia investimento garantito, c’è poco da fare.
Perché sospendere il value?
La domanda Cosa penso del BTP penso invece vada declinata in un semplice ragionamento, che ho rilanciato ultimamente ai miei clienti quando mi sono ritrovata di fronte a pesanti obiezioni da parte loro sulla possibilità di investire in azionario di valore, ossia di qualità, ossia su aziende con bilanci solidi, se non dotate di enorme liquidità. A questo punto focalizzandoli su un aspetto di attenzione.
Come è possibile che ci ritroviamo a mettere in sospensione l’investimento, graduale, misurato, in azionario di valore, che comprende aziende i cui bilanci mostrano una sostenibilità e una capacità di investimento e di visione sul futuro, che è l’azionario cui dovremmo guardare sempre più oggi (al 24 luglio si evidenziava una performance dello S&P 500 americano del 5% nel mese e del 2,5% nella settimana, forse va capito che aziende comprenda questo indice, insieme ad altri…)?
Come è possibile questo sospetto, e nello stesso tempo, nello stesso preciso istante in cui evidenziamo questa sospensione di giudizio ci lasciamo andare (perché questo succede) alla decisione istintiva di comprare BTP, anche oggi, oltre i 12 mesi senza dubbio alcuno?
Che differenza c’è, che piano diverso di valutazione si attua tra la sospensione nel primo caso e la decisione istantanea nel secondo? Il punto è qui.
Che la differenza non si vede affatto, dove la si dovrebbe vedere. Tra bilanci solidi e un bilancio che solido non è assolutamente.
Tra produzione di valore e continui tentativi di farlo. Si sceglie di non investire in azionario di valore, perché non si conoscono tutte le aziende sottostanti di un determinato strumento, e poi perché se anche si conoscessero l’azionario sarebbe a rischio, punto. Invece, si pensa che il BTP stia proprio dall’altra parte, dalla parte dei titoli obbligazionari che da sempre fanno la differenza nel portafoglio portando meno volatilità, traduco rischio.
Beh, possiamo dire che anche su questo, forse, quest’anno (almeno sino a qui) abbia fatto la differenza, evidenziando quanto possa scendere nei prezzi l’obbligazionario, non più così tanto meno dell’azionario. Ma questo ancora potrebbe non essere sufficiente, come abbiamo detto.
Perché alla fine ciò che conta per l’investitore nello scegliere il BTP è da sempre la ben nota garanzia del capitale. E anche qui penso di aver detto abbastanza.
Per capire che forse bisognerebbe davvero, questa sì, metterla in sospensione di giudizio, esattamente o forse più di quanto potrebbero meritare le azioni di valore, quelle che oggi dovrebbero essere o continuare a essere, comprate, a piccole dosi. Con metodo. Come sempre.
Forse è meglio non rispondere a certe domande. Potrebbero fare davvero la differenza.
Alla prossima!