Sono arrivata a leggere, nel mucchio di notizie e messaggi che circolano sui media, una frase che suona come una profezia: «Fine guerra mai».
Assomiglia a una percezione che si è profondamente insinuata nella mente degli investitori ma, in generale e innanzitutto, delle persone tutte.
Che il Covid, la malattia scoppiata nel lontano (ora possiamo dirlo, finalmente: lo avvertiamo un po’ più lontano) 2020, in fondo sia diventata una dimensione della nostra vita di qui in poi, e che non si possa più concepire la vita stessa senza una possibile nuova contaminazione in una qualche variante, identificata con una delle lettere dell’alfabeto greco ancora non utilizzata.
Il che si tradurrebbe davvero in una nuova era, o meglio, in un non più possibile (scusate la sintassi pesante ma è voluta) ritorno alla normalità.
Una normalità che, dal 24 febbraio di questo che sembrava essere un nuovo anno (ma che poi si è rivelato esserlo solo a livello di calendario), addirittura ha indossato un’ulteriore forma, quella di un conflitto non caratterizzato da fasi ben definite con un orientamento alla possibile soluzione, bensì identificato in una dimensione di non-finitezza, di indeterminatezza, al punto da potersi quasi intercettare, il conflitto appunto, come l’altra faccia della nuova “era fine mai” cui ci dovremmo sempre più abituare.
Mi colpiscono, nella loro coerenza, tre articoli usciti sulla stampa in questi ultimi giorni, apparentemente su tematiche differenti e invece, almeno penso io, strettamente convergenti.
14 aprile. Esce sul Financial Times un pezzo sulla strategia “zero Covid” che sta portando la Cina alla fame, nonché al blocco dell’economia: i dati usciti sul primo trimestre di un’economia che sarebbe ancora rampante, come sempre riguardano il passato, e il passato appartiene ancora al rimbalzo dalla pandemia e non al sistema che la Cina sta sempre più definendo al suo interno.
15 aprile. Sul web si legge che Google non sponsorizzerà più contenuti che in qualche modo c’entrino con la guerra, e che bloccherà, ovvero non accetterà, programmi Google Ads per promuovere siti che pubblicano contenuti del genere.
Sempre del 15 aprile, una notizia che forse è passata inosservata e che invece merita attenzione. American Express sta per lanciare un servizio per le imprese: traccerà le emissioni di Co2 attraverso l’analisi degli acquisti dei dipendenti. Come dire, un vero e proprio caveat a non fare il pieno alla macchina di gasolio con la carta aziendale, pena la possibilità che l’azienda lo scopra e “punisca” il colpevole per averla fatta scendere negli indici di sostenibilità.
Mi verrebbe di non tralasciare anche quanto si è scritto sull’eventualità che in Francia possa vincere madame Le Pen. Ma lo farei solo per rafforzare quello che a me sembra un messaggio che si sta sempre più delineando, ovvero che il mondo del passato, basato su un’economia che funziona solo in regime di libertà, stia per volgere al suo epilogo.
Una trasformazione che vorrebbe sempre più limiti, vuoi nella forma del non poter fare quel che si vuole per un altro inasprimento della pandemia (chiamasi blando o totale lockdown), vuoi purtroppo nella forma di un conflitto che ha reso evidenti limiti prima non noti ai più, ma oggi irruentemente chiari in una stringente dipendenza a livello energetico da un Paese che di liberale non ha davvero nulla.
Questo fenomeno infatti non è più solo appartenente ai paesi non liberali, come la Cina, esempio di assenza di democrazia dove l’azzeramento dell’economia (per non dire dell’umanità, come è chiaro nella situazione drammatica di persone ridotte alla fame a causa dell’isolamento imposto) come prezzo non spaventa il regime al suo interno.
Non lo è perché anche aziende appartenenti a una logica di libertà, ovvero nate in un contesto liberale e democratico, vedi le due nominate American Express e Google negli articoli riportati sopra, dimostrano con le loro risoluzioni messe in atto, per non dire divieti, di adottare un comportamento molto allusivo di questa stessa mentalità.
Che si traduce nella minore se non nella totale assenza di libertà. Nella quale comunque una sorta di economia si vorrebbe far funzionare lo stesso…
E allora, in un contesto così, come può la finanza non essere contaminata da questa nuova dimensione di fine-guerra-mai e fine-malattia-mai, che ha portato a estreme risoluzioni e a una minore possibilità di rivedere l’economia in una vera espressione di libertà?
Viene da pensare che gli accenni a una finanza sempre più speculativa, in rincorsa del guadagno, espressi addirittura in un interesse per l’industria delle armi, possano essere sempre di più non già un classico orientamento di breve, come si vorrebbe e come si sarebbe da sempre abituati a pensare, e come è sempre stato a ogni irrompere di eventi straordinari.
No, sembrerebbe che si stia proprio configurando una nuova trama di eventi, all’interno della quale non vi sarebbe più il ben noto trend normale, dettato da fasi di regime degli investimenti, interrotte da drastiche cadute (i cosiddetti cigni neri) che accenderebbero speculazioni momentanee destinate a terminare al ritorno della normalità finanziaria, determinata da notizie su tassi e distribuzione di utili.
Investimenti o speculazione?
No, in questa nuova trama si starebbero facendo spazio dimensioni che di sostenibile hanno ben poco, ma che pure stanno prendendo terreno, tradotte in un Paese come la Cina, come la Russia, in un esagerato rialzo di prezzi delle materie prime, e in un inconcepibile inasprimento di vincoli (vedi la formula “zero Covid”), tutti eventi che non sarebbero più da guardare come lontani da noi (quel “noi democratici occidentali” lontani dagli estremismi di qualsivoglia natura).
In un contesto così anche gli investimenti e la finanza non potrebbero che tendere a identificarsi sempre di più in una mera speculazione, un tentativo di fare soldi a scapito di situazioni. Anzi, approfittando delle situazioni.
Una finanza che in tale veste sembrerebbe non seguire più l’economia reale, sempre più bloccata e impantanata in eventi che non sembrano avere fine, come pandemia e guerra, ma orientarsi là dove sembrerebbe battere di più il cuore, o meglio, esserci più impatto, più rumore, traducendosi in prezzi che possono volare alto e fare la differenza nei portafogli, nel breve.
Una versione contrarian presente
Una finanza che in tale veste tenderebbe a essere riconosciuta nell’occasione del momento, nel costo/opportunità fortunato, anche se causato da eventi drammatici: non può passare inosservata la versione contrarian dei gestori che suggeriscono di non disinvestire asset russi, ipotizzando cosiddette sorprese.
Quasi mettendo sotto gli occhi degli investitori una nuova forma dell’economia, se possiamo chiamarla così, dettata dalle notizie forti e governate da quelli che sembrerebbero essere gli orientamenti e gli atti di forza.
La mia non è una visione.
Mi fermo alla lettura di quello che sto vedendo, che dei principi della sostenibilità ha solo un vago ricordo.
Saremo noi consulenti a doverne fare memoria con i nostri clienti. Impedendo che si veda solo qui la finanza e non invece nella sua sempre valida, anche se più sofferente, forma liberale di un tempo, che non dobbiamo mai ammettere sia definitivamente passato.
Anche se certi fatti che si leggono ultimamente porterebbero a pensare il contrario.
Intendiamoci allora, e facciamolo seriamente.
Alla prossima!