Leggo da Il Post.it Economia del 1° Aprile:
La quotazione in borsa di Deliveroo è stata un disastro
La famosa azienda di consegne è andata molto male alla borsa di Londra, e ci sono preoccupazioni per tutto il settore
Ancora, Finanzaonline.it del 31 Marzo:
Deliveroo crolla a -30%, flop IPO con investitori in rivolta per trattamento dei rider.
C’è di che confondersi. Davvero. Ma come?
Se è da un anno che si parla, di continuo, quasi scadendo nella retorica, che i trend innescati con la pandemia rappresentano la vision, il future dell’avanguardia economica, della nuova realtà cui ci stiamo avvicinando con un grado sempre maggiore di approssimazione.
E se da un anno, abbondante, leggiamo che occorre scrollarsi di dosso le “vecchie” abitudini, compresa la semplicità e bellezza della condivisione di un pasto da seduti, perché ormai la prenotazione di una cena è diventata retrò, lasciando il posto a chi mangia in piedi.
Pasto consegnato. Anticipato e preparato da una telefonata. E portato da un rider che, se puntuale, riuscirà a farlo coincidere, anche se non su una tavola apparecchiata, con l’ora canonica, almeno quella sì, dei pasti. Insomma, nonostante si sia consolidata l’idea che la consegna e non la prenotazione al ristorante sia la prassi per colazioni (?) pranzi e cene, nonostante la realtà economica sia invasa da questa certezza, la Finanza la sconfessa e la mette in crisi.
Strano? Un po’ sì. Se si pensa che la Finanza funge da anticipatore, fino a creare vere e proprie bolle (la parola che piace tanto a lettori e investitori, quando vogliono rimanere sulle loro posizioni risk-off per non dire action-off, togliendosi qualsiasi pensiero di provare a investire) nella capitalizzazione quasi smisurata dei titoli che rappresentano il futuro della realtà economica.
Al punto che il solo comprare quei titoli disegna per l’investitore le fantomatiche situazioni del futuro, e gliele rende “già vissute” quasi lui stesso fosse in grado, mettendoci i propri averi, di partecipare oggi del successo sicuro del domani. Riposto in quei titoli.
Ma questo meccanismo virtuoso non è infallibile. Che la Finanza possa diventare il volano anticipatore del futuro, lo si arriva a comprendere facilmente. Ma laddove un’azione scende vertiginosamente, sconfessata dalla realtà, quando accade – e lo si vede ripetutamente con la pubblicazione dei dati di bilancio – tanto rumore per nulla. Quante aziende promettenti sono state poi messe al bando dai numeri reali…
Qui però parliamo di un caso diverso.
Parliamo di una realtà vincente, non solo promettente, funzionante, e soprattutto, diventata addirittura indispensabile. La consegna a domicilio. E vi parla una persona che un anno fa guardava con sospetto le consegne per tutte le allergie alimentari di cui soffre, mentre oggi utilizza abitualmente questo servizio e in assenza di esso non saprebbe come mangiare, almeno a pranzo.
E invece la IPO di Deliveroo è stata un disastro.
L’apparizione in Borsa che avrebbe dovuto premiarla o addirittura confermarne il successo, già sopraggiunto nei fatti, è stata un fallimento.
Perché forse quello che è capitato, e che solo un anno fa faceva notizia di tanto in tanto, è che si è guardato più da vicino la realtà. O meglio, di cosa è fatta la realtà delle aziende delivery.
Di successo perché richieste, ma – qui è la parola veramente protagonista della nuova visione – oggi più che mai, sostenibili?
Leggiamo dall’articolo di Finanzaonline.it citato sopra:
Sul settore pesa la pressione dei principali investitori e sindacati sui diritti dei lavoratori. Alcuni tra i grandi gestori patrimoniali del Regno Unito hanno dichiarato la scorsa settimana che non avrebbero partecipato all’IPO perché il trattamento dei rider da parte della società non è in linea con le pratiche di investimento responsabile.
Intanto, settimana prossima è prevista una protesta da parte dei rider per fare pressione per migliorare la retribuzione e le condizioni di lavoro.
Se ne erano già lette di cose come questa. Lo sappiamo bene.
Ma si dà il caso che i criteri con cui si decide, in Borsa, se premiare una realtà aziendale, siano nell’ultimo anno diventati più stringenti per tutti, comprese aziende arcinote, che forse non avrebbero bisogno di parlarne, eppure hanno “alzato la polvere” , anticipando un livello di attenzione da cui la sfortunata Deliveroo non poteva che rimanere travolta, data la sostanziale sussistenza del suo business proprio sulla negazione del rispetto di quei “benedetti criteri”.
Parliamo niente meno che di Tiffany, sì proprio Tiffany in un articolo su Wall Street Italia del 12 Marzo:
Non è un caso dunque che la Maison sia la prima al mondo a compiere un ulteriore passo avanti nella tracciabilità dei suoi, ormai leggendari, diamanti, svelandone non solo il luogo di provenienza ma anche tutte le successive fasi di lavorazione, dall’approvvigionamento al momento in cui ciascun diamante viene abbinato alla sua montatura ideale.
Una scelta dettata dall’impegno etico del brand, volto a garantire che ogni fase della creazione dei gioielli contribuisca non solo all’eccellenza del prodotto finale, ma anche al benessere del pianeta e delle persone.
Questo perché i clienti meritano di sapere che un diamante Tiffany rispetta gli standard più elevati non solo per quanto riguarda la qualità, ma anche la responsabilità ambientale e sociale e la tracciabilità dei diamanti è il modo migliore per garantirle entrambe.
Parliamo di un vero e proprio processo di controllo nonché di segnalazione di incongruenze (i nuovi whistleblower!) che coinvolgerebbero gli stessi consulenti di investimenti e gestori di fondi nell’applicazione delle strategie sostenibili (si veda Bluerating del 15 marzo).
Non ci stupisce quindi che Milano Finanza evidenzi l’entrata in vigore del Regolamento sulla disclosure delle informazioni relative alla sostenibilità nel settore finanziario.
Come dire, tutti per uno e uno per tutti. Finanza e realtà guardano dalla stessa parte, responsabilità nella sostenibilità, con onori e oneri non più rinunciabili.
In fondo, pensandoci bene, non è poi così strano quello che il caso Deliveroo ci ha messo davanti agli occhi.
Quale realtà economica, ora più che mai, potrebbe essere riconosciuta e premiata, in Borsa, se non quella che, al di là di categorie di investimenti ormai più o meno identificati da sigle (ESG?), possa durare oltre la precarietà e la caducità che la pandemia ha riportato in luce drammaticamente?
ESG, ho letto in un commento a un post, è l’ultima delle mode di investimento, quasi a sconfessarne il valore (non me ne voglia il commentatore).
Potrà essere anche una moda ma rivela, in una sigla, quanto nella decisione di orientare un’azienda per vincere le sfide del futuro, l’unica chance per avere successo (il vero successo) sia la responsabilità nel vivere il business e nel prendere tutte le decisioni a esso indispensabili.
Sto parlando di successo reale e finanziario, perché finalmente compreso nei criteri che fanno parte dell’essere uomo, gli unici incancellabili, e riportati violentemente in vita da una pandemia.
C’è di che costruire un portafoglio. Prima ancora, di che avere una visione finalmente globale e vera. Che forse oggi piace di più, o meglio, corrisponde di più.
Alla prossima!