Riavvolgiamo un attimo il nastro. Guardiamo indietro nel tempo.
Penso a un anno e mezzo fa (perché dire solo “un anno fa” ormai non ha più senso). Il sottostante di tutta la nostra dimensione esistenziale, fisica. Se non vedo non credo, la base di quasi tutte le decisioni.
E in Finanza? Di più. Cosa fa quell’azienda? Ci credo. Investo. I risultati non mi convincono. Non ci credo. Non investo.
Banale punto di partenza. Fisico. E il digitale? Lo prendo, perché può aiutarmi sul lavoro, potrebbe essermi utile. E il virtuale ? Non capisco, è “roba da cervelloni”. Magari avessi un avatar che facesse il mio, quello sì lo acquisterei con un atto di fede, solo per scommettere sulla possibilità di sgravarmi di qualche peso del quotidiano. Per il resto, non so di che si tratta.
Oggi? Due esempi stravaganti, eppure già quasi ordinari.
Non è più il tempo della tenerezza che suscitavano Lilly e il Vagabondo, i due teneri cagnolini del cartoon di Walt Disney. Oggi la smorfia di un buffo cane sta diventando una vera e propria icona del “rilancio” di un titolo (possiamo chiamarlo così?) nato per scherzo diversi anni fa in Borsa – o meglio, mi correggo subito – nel mercato finanziario, e arrivato a più che raddoppio negli ultimi giorni dell’euforia da cui è letteralmente circondato (chiamiamola euforia, anche se si dovrebbe forse parlare di follia, vista la crescita del titolo da inizio anno: +11.654%!). Ebbene, chiamiamola con il suo nome: non oggi, ma nel 2013, questa criptovaluta faceva la sua comparsa grazie a due cervelloni informatici, ma non veniva tanto notata e seguita, quasi fosse appunto solo una tra le tante manifestazioni virtuali di menti fuori dal comune. Fino a oggi, in questo tempo così diverso, quando l’effetto piattaforma Reddit, very social & very trendy, l’ha trasformata nella cripto più cool del momento.
Ma cosa si vede, si tocca, si valuta, si può considerare, per decidere di aderire alla fantastica Opa cartoon? Niente, assolutamente niente, se non uno scherzo, al di fuori del sempre fondamentale l’importante è che se ne parli o se ne sparli, ormai divenuto vero e proprio clic/tweet/like o simili attorno alla fantastica valuta virtuale. Un effetto mediatico moltiplicato dal coinvolgimento niente meno che di Elon Musk, il magnate dell’elettrico per antonomasia, già eletto a furor di tweet Ceo di Dogecoin (Ceo dello scherzo!) nel 2019 (ma ancora non aveva così enfasi il cagnolino), e divenuto sponsor ai tempi della ribalta del fantomatico titolo, sollecitandone l’incredibile, ulteriore rimbalzo.
E ancora. Guardiamo altrove, da un certo punto di vista.
Si chiamano NTF non-fungibile token, e fanno diventare proprietari dell’idea di possedere quell’opera, quel bene. Avete capito bene, dell’idea di possedere un bene fisico.
…chi compra un NFT che corrisponde ad un’opera artistica digitale, possiede – in realtà – soltanto il certificato. Un documento emesso dal creatore dell’opera, sul quale c’è “scritto” che essa è stata ceduta. Ciò non significa che l’opera in questione diventi privata. Al contrario, può tranquillamente restare on line, accessibile a tutti
Definiti anche “gettoni crittografici”, gli NFT sono dei sistemi che permettono di certificare la rarità digitale di un bene. Un’opera d’arte, un video, perfino un tweet. Il tutto basato appunto sulle blockchain, equivalente digitale di un registro delle transazioni, utilizzato per la generazione di criptovalute come i Bitcoin.
WeWealth del 6 maggio scorso vi fa riferimento parlando di una vera e propria Tokenizzazione dell’arte.
È del 15 aprile scorso la notizia che Sotheby’s ha lanciato la sua prima asta Nft (Non-fungible token) di opere digitali dell’artista Pak, sulla piattaforma Nifty Gateway, realizzando un totale di $17 milioni.
…La tokenizzazione invade anche il catalogo d’asta.
E’ forse la prima volta che ci troviamo di fronte a una singolare descrizione di un’opera d’arte, sul catalogo d’asta online, che, oltre alle consuete informazioni su autore, titolo dell’opera, dimensioni, data di esecuzione, provenienza, cita anche il numero associato al token (token ID: 40913), l’indirizzo del wallet (wallet address: 0xc6b0562605D35eE710138402B878ffe6F2E23807), l’indirizzo dello smart contract (smart contract address: 0x2a46f2ffd99e19a89476e2f62270e0a35bbf0756), ossia l’insieme di istruzioni memorizzato sulla blockchain, scritto con linguaggio informatico di programmazione, non modificabile in quanto presente sulla catena di blocco.
Insomma, una vera e propria rivoluzione copernicana.
È il virtuale che ha come riferimento l’uomo, o è l’uomo che ha approssimativamente come riferimento il virtuale, il non fisico?
Banale nominare ancora l’indagato speciale, il Covid? Mica tanto, se si pensa quanto l’abitudine alla distanza abbia creato “la distanza”. E allora, distanza per distanza, anche le valutazioni cambiano, o meglio i criteri di opzione. Perché non comprare una dogecoin che fa numeri più più più (ripetizione concessa!?) del mercato? Questioni di beta? Ci troviamo nel mondo del beta maggiore di 1? Altro che!
Piuttosto, ci sarebbe lo spazio per riconvocare Mr Markowitz & Co per una nuova Teoria del Portafoglio… L’ho citata in un mio post recente, commentando che oggi più che mai il rischio è la non diversificazione.
Incredibile, se si pensa che proprio la diversificazione è stata da sempre ritenuta l’antidoto al rischio specifico (non ahimè a quello sistemico): incredibile quanto invece, proprio nel mondo finanziario di oggi, un mondo rischioso e “rischiato” (passatemi il neologismo), si stia andando sempre più verso un un mercato di investitori monogami che assolutizzano uno dei tre pilastri fondamentali citati dal grande teorico delle basi, invece di contemplarli tutti e tre.
Eppure, mi spiace, ma la squadra di Markowitz non sembra bastare più. La scolastica finanziaria definita oggi non basta più. Perché se si compra dogecoin non si sta comprando nessuno dei tre asset tradizionali. Non è bond, non è equity, e non è liquidità. E se si acquista (potendo!) un NTF, non si trova proprio a quale dei tre asset paragonare il gettone virtuale. Perché si sta acquistando il Non Conventional Asset, dove il beta sembra non bastare più a spiegarne l’andamento. Non è difensivo, non è neutro, e non basta dire che è aggressivo. Fine delle risorse della finanza tradizionale. Serve altro. Occorrono nuovi riferimenti.
E qui la provocazione viene dagli stessi investitori, che chiedono di aderire a questo nuovo mercato.
«Lo voglio comprare!» Si può ignorare la domanda di investitori che ormai ascoltano il mercato più dei loro consulenti (a volte…)? E allora quanto posso metterne in portafoglio?
Altra domanda a cui la teoria tradizionale arriva impreparata. Trovate in questo blog un’intervista a una casa prodotto che crea strumenti che investono su questo nuovo mercato, dato che, va detto, noi consulenti dobbiamo stare sul mercato regolato e non indirizzare i nostri clienti verso iniziative dirette su piattaforme di cui non si conoscono i confini. L’intervistato si è sbilanciato – perché ancora mancano i riferimenti – su una percentuale da inserire in portafoglio su questo nuovo mercato.
E se il mercato degli NTF è ancora troppo esclusivo, perché i capitali che si muovono in questa dimensione di scambio sono fuori portata per i più, quello evocato dalla dogecoin è divenuto ormai quasi democratico, escludendo il padre di tutte le successive generazioni di cripto, il Bitcoin, arrivato a vette che rappresentano già un’inaccessibilità.
Si può allora rimandare la vera questione aperta?
Se il mercato fa vedere quanto il Non Conventional Asset sia allettante e pertanto richiesto, se si è arrivati al punto di guardare affascinati un’asta di certificati di possesso che mai ti faranno arrivare a casa un quadro, quel bene fisico che un tempo ambivi a possedere per guardarlo tutti i giorni, se alla fine insomma conta non il cosa, ma il come ti identifichi in una nuova dimensione social, divenendo possessore di un’idea?
E se questo ulteriore fenomeno, in quella dimensione che non avremmo mai pensato potesse smaterializzarsi, perché fondata sul godimento dell’esteriorità, della fisicità del bene, non fosse che la punta di un iceberg che si declina in episodi quotidiani di lanci e rilanci di beni non fungibili, “scherzi” che tuttavia fanno guadagnare patrimoni insperati a partire da pochi centesimi in pochi giorni?
Insomma se tutto questo è entrato, non virtualmente, a far parte della finanza, non è forse vero che, di contro, è l’impreparazione a prevalere prepotentemente nel mondo della consulenza finanziaria tradizionale?
Può essere una risposta, l’unica risposta per i clienti che ci chiedono di aderire alla novità del mercato finanziario, a questa novità multiforme del mercato finanziario, «non è per lei, lasci perdere»?
Forse dobbiamo parlare di processo inesorabile, e pertanto non più prescindìbile.
Come dire: sarebbe dovuto accadere, prima o poi, che il mercato finanziario si ammalasse di Covid e fosse costretto alla distanza dal bene fungibile.
Peccato che qui non esista vaccino. Non si può tornare alla normalità finanziaria, quella dei padri del portafoglio: la nuova urgenza è una terapia per il corretto utilizzo.
Dov’è la Mifid in tutto questo? O meglio, serve ancora quella presente sui questionari vetusti che utilizziamo con i nostri clienti? E loro stessi possono ancora orientarsi ancorandosi alle ben note, cantilenanti domande sull’obiettivo dell’investimento, l’orizzonte temporale e soprattutto la capacità di tolleranza per il rischio? Basta ancora questo?
Alla prossima!