A rigor di logica, tutti i portafogli dovrebbero essere investiti totalmente su asset ESG. Ovvero, per evitare di rimanere nelle stanze dei tecnici che usano termini che non spiegano (errore), i portafogli dovrebbero avere non solo alcuni, ma tutti gli asset aventi a tema il Clima, l’Ambiente, l’Energia Pulita, le Aziende che rispettano i loro dipendenti, non meno che la società in cui vivono.
E il motivo di questa dichiarazione, che suona un po’ forte lo ammetto, è che gli investimenti ESG rappresentano appieno l’orizzonte temporale che dovrebbe avere non solo chi approcciasse per la prima volta un investimento, ma anche se non soprattutto l’investitore più evoluto.
Infatti, investire nell’ESG vuol dire, qualsiasi strumento si scelga (azione, obbligazione, fondo, etf), scegliere di non demordere, rimanere fedeli a questo tipo di investimento per un tempo lungo. Che è poi esattamente l’atteggiamento corretto quando si decide di investire.
Puntualizzo: stiamo parlando di investimento, di portafoglio, e non di iniziative emotive. E per questo dobbiamo ricordare la regola numero due dopo quella di accettare un orizzonte temporale lungo: evitare di essere emotivi. Ovvero, non interrompere l’adesione all’orizzonte temporale lungo prendendo iniziative emotive.
L’emotività come fattore positivo
Scegliendo l’investimento ESG, dunque, un investimento a lungo termine che richiede di non essere emotivi, l’investitore potrebbe mettersi l’anima in pace, no? Investendo su Clima, Ambiente ecc, avrebbe infatti finalmente trovato un fortunatissimo sostituto del famigerato BTP, da sempre considerato una scelta per tutte le stagioni, per due motivi, identici a quelli tipici del vero investimento.
Primo, perché da sempre il BTP rappresenta la scelta di chi preferisce tenersi fuori dal mercato, scegliendo la durata più lunga possibile per fissare il suo destino di rendimento senza doversi coinvolgere con gli eventi contingenti, e secondo, perché in questa scelta decide una condizione di “a-emotività”, di estraniamento dall’emotività.
Eccoci arrivati al punto che non piace a chi fa educazione finanziaria, e che invece voglio affrontare per rompere un po’ le righe e dare un’indicazione su che farcene di questi ESG. Proprio su questo genere di investimenti, infatti, celeberrimi nel bene e nel male (per le note accuse di greenwashing), è oggi il caso di essere molto emotivi. E a ragione: se è vero che gli ESG sono identificati come gli investimenti per antonomasia, quelli che mettono l’investitore nella “giusta carreggiata”, è altresì vero che oggi è corretto fare tesoro di tutta l’emotività che ha fatto da contorno su questo genere di investimenti.
Perché, questo è il mio punto di vista, non è assolutamente vero che l’emotività non vada tenuta presente nella scelta di investire. Non è vero, perché l’emotività può anche illuminare e dettare una nuova regola nell’investimento.
Oggi l’emotività prevalente riguardo gli ESG si chiama delusione. E chi può dire che la delusione non sia un sentimento corretto? Può dirlo solo chi non l’abbia mai provata. E questo non rientra nel genere umano. Quindi tutto sta a capire come la delusione possa essere utilizzata anche come criterio per e nell‘investimento.
La scelta controcorrente di BP
Entro adesso nel merito di una notizia sugli ESG che non può non colpire. Il CEO di BP, Bernard Looney, quando si insediò tre anni fa si presentò come paladino della rivoluzione verde, prendendo impegni coraggiosi per guidare la compagnia petrolifera verso un futuro più pulito e a basse emissioni di carbonio. Questa settimana, proprio lui, Looney, fervido credente nell’investimento ESG, ha cancellato quel piano: «I cambiamenti nel mondo dimostrano che la transizione energetica è più complicata di quanto molti inizialmente immaginassero».
Che delusione. Ma attenzione a quello che nota il WSJ: la decisione della compagnia petrolifera di battere in ritirata rispetto al piano verde di trasformazione energetica rifletterebbe l’”incertezza rimbalzante” tra governi e stanze del potere riguardo la velocità del cambiamento dell’energia. Un CEO decide di tirarsi indietro da un investimento ESG, il suo non nel portafoglio, perché deluso, de-motivato dal fattore tempo. Esattamente quel fattore che invece dovrebbe da subito far decidere, se lo si decide, per un ESG.
Per molti, ma non per tutti
Ora ci siamo. Capite? Non è vero che la delusione non sia illuminante sulla scelta di un investimento. È vero invece che debba essere utilizzata correttamente. La delusione per un investimento ESG sia su larga scala come quella di Looney, o su una dimensione ben diversa come quella dell’investitore “normale” che non vede esiti sul suo investimento ad alto valore morale, non è legittima. Va guardata, ma non legittima il disinvestimento.
Proprio perché l’investimento ESG nasce come l’unico e vero investimento tout court, in quanto per sua stessa natura richiede un orizzonte temporale lungo e il rimanere incondizionati dall’emotività. E questo perché il cambiamento dell’energia, dunque del clima, dunque dell’ambiente, non sono cose che possano capitare in una speculazione di giorni.
Sarà dunque un investimento da fare oggi per tutti? No. Esattamente per le ragioni dette, non è adatto a tutti, come non lo è il BTP a lunga scadenza. Dipende, appunto, dall’orizzonte temporale che si ha davanti.
Sarà allora un investimento per quelli che hanno tutta la vita davanti a sé? Millennials, Generazioni X, Y, Z etc? Sì. Ma ad una condizione: di non arrivare dopo tre anni a tirarsi indietro dall’investimento fatto, seguendo le orme di quello che doveva essere un CEO e che invece, forse, dovrebbe fare “altro”, anziché scegliere quali investimenti siano più opportuni per la sua Compagnia.
Alla prossima!