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ESG, riposate in pace. O no?

Nonostante siano molti a decretarne la fine, i criteri di sostenibilità non sono da abbandonare. Perché oggi in Borsa non bisogna guardare tanto al cosa, ma al come si investe

Giugno 8, 2022
esg
Tempo di lettura stimato: 5 minuti

Ascoltare le donne ogni tanto non fa male

E non parlo della Regina Elisabetta, di cui si è in questi giorni più che celebrato il settantesimo di regno.

E neppure, se questo può venire in mente dall’incipit, mi sto sbilanciando su un improbabile arruolamento nell’attivismo femminile, che pure ci (a noi donne) tocca sostenere di tanto in tanto…

No. Mi riferisco a quello che mi è capitato di leggere in questi giorni tra le tante notizie, tutte assolutamente di primo piano.

In questo caso l’affermazione è tosta, e viene da Mrs. Anne Simpson, fino a qualche mese fa portabandiera di certi valori, responsabile della Sostenibilità del noto fondo pensione californiano CalPERS, e diventata recentemente, mantenendo la stessa identità di ispirazione e orientamento, nientemeno che Head of Sustainability presso la nota azienda di investimenti a livello globale Franklin Templeton.

«Il 70% degli ESG investe in armi» (Milano Finanza, 02/06/2022)

Ebbene, proprio costei si sarebbe esposta durante una conferenza a New York a riguardo della tematica tradotta nel famoso acronimo ESG, con una dichiarazione piuttosto forte, se non estrema: «I think it’s time for RIP ESG». Tradotto: è tempo che gli ESG riposino in pace. Addirittura… Come dire: buttiamo all’aria i discorsi sui criteri ambientali, sociali e di governance.

Chi volesse andare sul web avrà modo di ritrovare tutto l’intervento (riportato in sintesi dal Financial Times), che è davvero interessante, ma soprattutto diverso dalla generalità degli articoli che ho avuto modo di incrociare sul tema: mi perdonerete se qui ammetto di non averli letti tutti, per ovvie questioni di tempo, ma spesso non è necessario leggere tutte le linee per trovare quella illuminante, che a volte appare inaspettatamente (e finalmente).

Sulla stampa di questi tempi si tende infatti a seguire due filoni: quello di chi nota che ci sono stati deflussi dagli investimenti ESG, soprattutto negli USA. E quello che, a partire dai casi di greenwashing, non ultimo quello della nota casa di investimenti DWS, grida allo scandalo per una formula, quella dell’ESG appunto, che alla fine risulterebbe essere per lo più ingannevole e mistificatrice, rivelando tutto meno che il verde, sinonimo della salvaguardia dell’ambiente.

Su questo mi ha colpito, non lo nascondo, il titolo quasi gridato di una nota testata giornalistica che in questi giorni recitava così: “Il 70% degli Etf ESG investe in armi. Neppure un fondo su dieci è sostenibile”.

Non il cosa, ma il come

Ebbene. Penso sia capitato a tutti di sentirsi rimproverare non per le cose dette ma per come ci si era posti nel dirle, ottenendo l’esatto contrario di quel che si sarebbe auspicato. Nel privato. Ma questo è ancor più evidente ampliando il panorama, e guardando a un aspetto che riguarda tutti: quello del lavoro. Si dà il caso che una delle esperienze più frequenti (me ne assumo la responsabilità, perché nasce da vita vissuta) sia quella del modo di esprimersi del management.

Perché i manager spesso assumono comportamenti tipici di uno stile direttivo (basato sul «fai questo»), meno elegante del più bilanciato stile coinvolgente (esempio: «Se riusciamo a realizzare questo entro la scadenza otterremo un risultato migliore»), che anche in situazioni difficili, quelle in cui ci si ritroverebbe a dire qualcosa di grave su determinate conseguenze, riuscirebbe alla fine più efficace nel far arrivare comunicazioni che di bello e accattivante hanno ben poco. E così facendo si ottiene anche qui, lato professionale, un risultato inferiore se non opposto rispetto a quello desiderato. E così via.

Il vecchio detto «con la dolcezza si ottiene tutto» chiude la presente, che non è affatto una digressione. Perché il tema che porta a galla è quello che Mrs. Simpson ha trattato in modo piuttosto eccentrico. Chi avrà modo di leggere quello che ha detto, a partire dalla sua solo apparentemente infelice dichiarazione (ESG riposa in pace), si accorgerà che non intendeva affatto buttare via le tematiche della sostenibilità.

Come se il punto, notoriamente e come sempre in finanza, fosse il cosa investire, il cosa acquistare, per quanto sia vero e incontrovertibile che vi sia stato un deflusso dagli investimenti ESG (specie in USA), e per quanto anche le denunce di greenwashing suggeriscano che occorra guardare “altro”, acquistare altro; e, ancora, per quanto il conflitto Ucraina-Russia non abbia fatto che accelerare una rifocalizzazione prevalente sul “cosa” comprare in Borsa per guadagnare, e abbia quindi drammaticamente mostrato la vittoria di tutto ciò che verde non è.

Un approccio più umano, una strategia da ripensare

Insomma, per quanto tutto questo sia prevalente nella finanza, oggi non si può non notare la persistenza di un suggerimento finanziario – che qui non identifico con i discorsi che cerca di fare il consulente finanziario nella sua stanza – che orienta a scegliere e preferire, nonostante tutto, il come investire piuttosto che il cosa. Una consulenza finanziaria che farebbe solo apparentemente meno rumore e clamore in termini di numeri, in questo momento.

Perché le notizie non sono solo quelle suddette, che qualificano l’ESG come “investimento da non fare”, bensì quelle nelle pagine successive alla prima, quelle che vengono da mondi apparentemente lontani, e che invece continuano a gridare un problema tutt’altro che remoto per le conseguenze già attualissime per noi, ovunque. Pensiamo alla deforestazione in Amazzonia (che su una nota testata domenica 5 giugno appariva solo a pagina 12…) e alle conseguenze sul clima che questo fenomeno sta determinando, come dimostra la temperatura di 50 gradi raggiunta in India.

E qui, proprio qui dobbiamo soffermarci: sul criterio della scelta di come investire, piuttosto che di cosa acquistare oggi. Perché quando investiamo non dobbiamo solo ascoltare il clamore e il successo. Non si dovrebbe mai comprare quando il mercato sale. Lo si dice e si ripete sempre, abbinando l’arcinota frase opposta, che non si dovrebbe vendere quando il mercato scende. Tutto ripetuto fino alla nausea. Ma qui occorre pensare alle ombre, ai silenzi del mercato.

A quelle voci che oggi non fanno clamore e che lamentano una assenza: la mancanza di aspetti di metodo che stanno portando clima e ambiente a una situazione senza ritorno, e che stanno costringendo organi di vigilanza a riorganizzare le regole, a rivedere gli schemi e a determinare meglio il giusto passo della sostenibilità, quella vera. Proprio quella che, tornando alla tostissima Simpson, non va assolutamente gettata via, quanto piuttosto dovrà essere ripensata. Come dice sempre lei nel prezioso intervento: «We need a broader human centred approach».

Buy on rumor, sell on news?

È un discorso filosofico o è una consulenza finanziaria da ascoltare, per essere posizionati là dove oggi di successo e clamore ce n’è poco, ma dove le voci sono orientate da una stessa parte, necessaria per sopravvivere, basata sul come fare le cose e non sul cosa? Qui forse vale la pena citare un altro detto noto in finanza: buy on rumor, sell on news, compra sulle voci e vendi sui fatti.

Di fatti se ne leggono tutti i giorni, e non è difficile pensare che siano la guida della maggioranza degli investitori. Non altrettanta evidenza si pone sulle voci, ancora molto dimesse in questo momento, ma capaci di una eco dirompente. Qui mi limito all’oggi sommerso ESG; ma forse non è l’unico suggerimento di consulenza da seguire in questo momento in cui si fa tanto rumore. Anche se non si può dire che sia per nulla…

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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