È incredibile come l’eterno, il continuo, ciò che non ha fine abbia le sembianze della fissità, dell’assenza di cambiamento… e per questo riesca alla fine intollerabile all’esperienza umana.
Entriamo per un attimo nella storia personale della giovane e bellissima protagonista della pellicola che ho visto più di una volta: Adaline, l’eterna giovinezza (2015): entriamo nell’insofferenza che mano a mano che passa il tempo lei si trova sempre più a provare, originariamente a causa di un incidente d’auto che la vede da quel fatidico momento sempre uguale, immutata, incollata irrimediabilmente a un aspetto che rimarrà sempre quello (eterno appunto), nonostante lo scorrere del tempo.
Si tratta di un disagio personale e sociale, visto che la bellissima – e da tutti, in ogni epoca, sempre ammirata per la bellezza immutata – non riesce a realizzare il suo destino, proprio perché l’assenza di cambiamento le impedisce di condividere la sua vita al lavoro, non meno che di costruire un futuro con una persona, proprio perché costretta a vivere in un mondo che cambia mentre lei rimane sempre uguale. Lascio perdere, come sempre, l’evoluzione del film per tornare al punto che ci interessa: la fissità, l’eternità, l’immutevolezza in un mondo che cambia sempre di più.
Non può che venirci in mente il nostro più assiduo protagonista, l’investitore.
Ma non siamo al cinema, è tutto reale. E qui, nel suo caso, la fissità la fa da padrona, ma non è per nulla intollerabile; la sua è un’eterna giovinezza che, per quanto strida con un mondo che cambia, nel mercato finanziario, sembra non possa mai smettere di rimanere tendenzialmente uguale a sé stessa, fissa, immobile, tranne che in un aspetto.
Se c’è un punto su cui l’investitore non accetta di rimanere uguale è l’ammettere di aver sempre bisogno della consulenza per continuare a evolversi nel processo di investimento, e proprio in quell’esperienza trovare la rottura della sua imperturbabile dimensione di staticità. Guardandolo da vicino, infatti, l’investitore è e rimane assolutamente ancorato, fisso, su alcuni assunti tradizionali che oggi non bastano più per approcciare il mercato.
Si riassumono in tre quasi–assiomi:
- Devo avere liquidità sul conto, perché non si sa mai (quando questo non diventa: perché devo comprare una casa, e qui i soldi sul conto aumentano in misura sproporzionata);
- Investo sì, ma non voglio perdere (incommentabile, se permettete);
- Se investo voglio guadagnare (e qui la pretesa del rendimento, alto, la fa da padrona, dimenticando totalmente l’assioma 2).
A questa tridimensionale fissità oggi se ne è aggiunta un’altra, che sta facendo velocemente breccia in un mondo che ha tutto meno che l’assenza del cambiamento: il nuovo mondo, o meglio il macrotrend, della sostenibilità. Ebbene, il fenomeno che si scopre quando si approccia la finanza sostenibile, cioè come la sostenibilità stia invadendo il mondo degli investimenti, è la ricomparsa di grandi nomi, la sempiterna presenza di grandi aziende, le solite note che risultano essere preponderanti, per lo più nelle prime dieci postazioni tra i titoli dell’asset allocation su cui si basa la costruzione degli strumenti che proponiamo ai nostri clienti.
«Mi scusi, ma dov’è la novità? Mi fa capire perché mi propone questo fondo, dicendomi che è nuovo, quando di fatto andiamo a investire in aziende che io ho già in portafoglio?» Ecco le domande di un cliente alcuni giorni fa. Tradotto: non capisco perché trovarci a parlarne; in fondo avrei potuto rimanermene comodo a casa con il mio asset allocation.
Ecco come ha risposto alla mia proposta di rinnovare “il parco investimenti” – lo chiamo così ma non è per ridurre, anzi – di cambiare, appunto, di uscire dalla sua “eterna fissità” di pensiero, guardando l’allocazione dei primi dieci titoli del portafoglio del fondo che andavo proponendogli. E non potevo dargli torto.
Ma vi ho preso spunto, e da lì sono partita per tirare fuori dal mio cliente il punto cui lui stesso da solo non poteva arrivare. Non per mancanze sue, ci mancherebbe, ma proprio per la ben nota attitudine a rimanere uguale a sé stesso, immutabile nelle sue convinzioni. In effetti mi sono interrogata, io per prima, rispetto a questo fenomeno che ahimè passa per un vero travestimento del vecchio con il nuovo. Quasi le aziende, non meno che gli strumenti di investimento, stessero correndo a trovare il modo per diventare ESG, essere allineati all’acronimo più diffuso, oggi, nella stampa finanziaria.
Ma qui dobbiamo togliere quel quasi, perché è verosimile e accettabile che stia accadendo proprio questo.
Che aziende, soprattutto se grandi, stiano definendo criteri di miglior governo interno nei riguardi delle loro persone, ed esterno, con uno sguardo a come rispettare e incentivare il miglior ambiente e il miglior clima. Ed è verosimile, altresì, che le case di investimento stiano facendo un percorso parallelo, cercando di allinearsi ai tre criteri eco-sostenibili, se non ai 17 SDGS, per esserci in un mondo che cambia.
Quello che il mio investitore non comprendeva, e che è difficile da accettare, è che tutto questo cambiamento possa essere stato radicale, trasformando davvero quelle stesse Large Cap su cui investiva sino al giorno prima non preoccupandosi dei fattori ora tanto nominati, ma solo del loro rendiconto finanziario e conto economico annuale.
Che aziende da sempre nominate come “quelle si, quelle solide” possano ora essere uno dei criteri per scegliere strumenti di investimento che si effigiano dell’etichetta ESG, mettendole in prima fila nel loro portafoglio. Ebbene qui arriviamo noi consulenti: qui dobbiamo essere proprio noi a riconfermare come la consulenza finanziaria debba rimanere – proprio in forza di questi nuovi chiarimenti da dare al cliente – continua, sempre presente, in qualche modo eterna, lei sì, anche se necessariamente spronata a non essere mai uguale a sé stessa fino in fondo, proprio per l’urgenza di ricercare le nuove ragioni, i nuovi motivi per cui vadano scelti alcuni strumenti piuttosto che altri.
Per non cadere nel rischio, sempre presente, di essere identificati come coloro che devono vendere i prodotti, invece che mostrare come i prodotti possano essere la lettura di un mondo che, anche in quelle aziende ben note, sta cambiando.
Alla prossima!