La terza puntata di Finanza Pop sulla Finanza Criptocentrica trova una motivazione ancora più forte per l’attenzione che le criptovalute stanno attirando a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina.
Al di là delle notizie che circolano nel web sulla possibilità che la Russia possa utilizzare una finanza decentralizzata, visti i blocchi cui è stata sottoposta su accordo internazionale (anche se non riguardante tutte le banche russe) nel sistema SWIFT, è ancora più evidente come essa stessa rappresenti sempre di più un asset, più o meno correlato all’andamento dei mercati.
Nelle prime due puntate abbiamo iniziato a familiarizzare con questo complesso fenomeno chiamato criptovalute. Molti dicono che non è il bitcoin ad essere rivoluzionario, ma la tecnologia blockchain.
Ci puoi spiegare se questo sia il primo passaggio corretto da fare?
Nel 2017 concordavo con questa affermazione, anzi ne ero promotore, perché avendo investito una pur piccola somma sul bitcoin, ritenevo che fosse la tecnologia che avrebbe cambiato il mondo.
Nei primi anni Novanta internet era poco utilizzato e diffuso, e molti pensavano che non avrebbe avuto un futuro tra la popolazione, che sarebbe stato un fenomeno circoscritto a nerd e universitari; soprattutto con lo scoppio della bolla della new economy nel 2000, tutti urlavano che era una bufala, e che si era sopravalutato un fenomeno.
Sappiamo tutti com’è andata, e con il senno di poi è facile dire «io lo sapevo che si sarebbe diffuso».
Ma chi ha beneficiato della tecnologia in maniera incredibile sono state le società che hanno sfruttato la tecnologia, non quelle che la hanno costruita e la mantengono.
Cisco, società leader nell’infrastruttura di internet, è si grande, ma non è comparabile con Amazon, Facebook e Google.
La blockchain è una tecnologia necessaria per permettere la diffusione e il mantenimento del database aggiornato tra le migliaia di noti in giro per il mondo, ma dire che sia la blockchain a essere rivoluzionaria è semplicemente riduttivo e tecnicamente sbagliato.
Se una azienda deve tenere dei dati in un database, semplicemente la blockchain non ha senso perché è inefficiente e lenta. La blockchain ha senso solo nel caso di un business decentralizzato, ovvero dove non esiste struttura gerarchica e tutti i nodi hanno e mantengono le stesse informazioni.
La nostra società, invece, per definizione è formata da strutture gerarchiche, sia nel governo di un Paese che nel governo di una azienda.
Chi dice che è la blockchain a essere rivoluzionaria e non il Bitcoin, semplicemente non ha ancora capito bene il Bitcoin, proprio come me nel 2017; non è un difetto, è semplicemente non completa comprensione del fenomeno.
Dunque, premesso che è del Bitcoin che dobbiamo parlare, molti dicono che questa cripto sia uno Schema Ponzi, a partire da Nassim Nicholas Taleb, autore del Cigno Nero: secondo lui non ha valore, e andrà a zero.
Premesso che ho conosciuto personalmente Taleb a Londra circa dieci anni fa, e non dirò in questa sede la mia opinione su di lui, sostenere che il Bitcoin sia uno schema Ponzi significa non sapere cosa sia uno schema Ponzi o non sapere cosa sia il Bitcoin.
Immaginando che Taleb, avendo lavorato in finanza per diversi anni prima di darsi alla scrittura di libri, sappia cosa sia uno schema Ponzi, potrei dire che di fatto la sua incomprensione verte su cosa sia realmente il Bitcoin. Il che tra l’altro si capisce leggendo il suo paper pieno di inesattezze.
Definiamo innanzitutto cosa sia uno schema Ponzi per il lettore che non lo sa: lo schema Ponzi è un meccanismo chiuso, e sottolineo chiuso, dove le persone sono indotte, di solito volontariamente, a investire dei soldi con la speranza di guadagnarne molti di più.
Di solito, questi meccanismi per funzionare puntano a illudere gli investitori di avere ritorni che sul mercato non si trovano. L’esempio forse più eclatante è stato lo schema Ponzi di Maddoff, che nel 2008 è “scoppiato” dopo aver raccolto oltre 50 miliardi di dollari.
Chiaramente questi sistemi si alimentano con il continuo flusso di denaro in entrata, cercando di non fare uscire i soldi di chi c’è dentro, perché il saldo di nuove entrate più interessi ipoteticamente pagati deve essere superiore ai soldi posseduti e che escono.
Caratteristiche che fanno alzare il livello di allerta che un potenziale investimento sia in realtà uno schema Ponzi sono: interessi mensili elevati, di solito garantiti. Chi lavora in finanza sa che non c’è nulla di garantito, tantomeno degli interessi elevati; se ricevete delle proposte del genere scappate a gambe levate.
A questo punto è fondamentale capire perché Taleb sbagli, come tanti, a considerare il Bitcoin uno schema Ponzi. E ci sono almeno tre buoni motivi:
- Il Bitcoin non è un sistema chiuso, non è proposto e promosso da nessuno, il Bitcoin è scambiabile in oltre 400 exchanges nel mondo in ogni momento h24;
- Il Bitcoin non fornisce rendimenti garantiti, anzi ha delle oscillazioni (volatilità) superiori a qualsiasi altro investimento e ha già subito tre volte perdite superiori all’80%, con successivo recupero e superamento dei massimi precedenti;
- Il Bitcoin è finito, in circolazione ci sono circa 18 milioni di bitcoin e nel 2140 ce ne saranno 21 milioni; se il prezzo cresce è perché ci sono molte persone che li vogliono e pochi che li danno, proprio l’opposto dello schema Ponzi.
Quindi cosa rende unico secondo te il Bitcoin? Perché viene considerato da molti una sorta di oro digitale?
Il Bitcoin è unico per molte ragioni. La più importante è che grazie all’insieme delle varie tecnologie, criptografica, blockchain, protocollo P2P ecc.… il Bitcoin è il primo esempio di scarsità all’interno del mondo digitale.
Se ci pensate, basta fare ctrl+c e ctrl+v, ovvero copia e incolla, per duplicare un’immagine in un qualsiasi programma di un computer; quindi l’impossibilità di duplicare un qualcosa di digitale è tutt’altro che scontata. La prima caratteristica che rende unico il bitcoin, invece, è la sua unicità.
Quando Satoshi Nakamoto ha proposto il white paper del Bitcoin, lo ha immaginato con le stesse caratteristiche dell’oro, perché ne ha determinato l’estrazione programmata e anche chi lo estrae e quali caratteristiche deve avere.
Mi spiego meglio. Bitcoin di fatto è nato come una forma di remunerazione per pagare le persone che mantengono la struttura dei nodi di controllo nel tempo. Nessuna blockchain, centralizzata o decentralizzata, può rimanere in vita per beneficienza, perché ci sono dei costi per mantenere un nodo: si pensi all’elettricità, al mantenimento del software e dell’hardware nel tempo.
È necessario quindi ricompensare i nodi, e anche pagarli, per assicurarsi che il vantaggio economico sia tale da evitare truffe, e anzi proteggersi dalle stesse. Per questo la tecnologia blockchain non può esistere senza una moneta nativa che serve a remunerare chi la mantiene in vita.
Pochi sanno che circa ogni quattro anni la remunerazione in bitcoin si dimezza, ovvero per i primi 210.000 blocchi venivano rimborsati i “miners” di 50 bitcoin per ogni blocco, poi si è passati per i successivi 210.000 blocchi a 25, poi a 12,5 e adesso siamo nell’era dei 6,25 bitcoin per ogni blocco.
I miners, ovvero coloro che competono per la creazione del blocco, sono chiamati così proprio perché era nell’intenzione di Satoshi Nakamoto cercare di replicare l’oro in un mondo digitale.
E mi sembra ci sia riuscito molto bene.