Continuo a insistere sulla grande capacità del cinema di comunicare come stiano veramente le cose. E questa scena non fa eccezione.
Sullo sfondo, una vicenda personale, fin troppo reale se si pensa agli innumerevoli riferimenti che si possono ritrovare nella propria esistenza: una lei reincontra colui del quale anni prima si era perdutamente innamorata, salvo poi doversene separare, e improvvisamente è costretta a fare i conti con la verità . Con la realtà .
Che insegna, innanzitutto, che le storie semplici non esistono. E poi, ancora più importante, che senza una proiezione nel futuro dell’esperienza presente non si può capire nulla, davvero nulla di cosa sia veramente importante nella propria vita.
Non diversamente in finanza, dove accade che sia sempre più fondamentale ripensare a due assunti di partenza, identificabili come due vere e proprie lezioni ineludibili per qualsiasi investimento. Alla prima fa cenno il Financial Times in un pezzo che mette ancora una volta a tema la sostenibilità e si chiede come andrà il prossimo anno, dato l’evidente crollo di questo genere di investimenti nel 2022.
Un’affermazione caustica non perdona: «The easy money just isn’t there any more, whether you’re investing sustainably or not».
Il denaro facile non esiste
Dunque, non esiste il denaro facile. Esattamente il contrario di quanto il recente passato aveva fatto immaginare, quando (togliendo solo la prima parte del 2020, sappiamo perché) si ricevevano in appuntamento clienti che con toni tutt’altro che dimessi chiedevano rendimenti all’altezza di quelli già evidenti, e non – badate bene – delle aspettative, quasi i rendimenti e i guadagni già presenti si potessero replicare all’infinito.
Tutta un’altra storia oggi, proprio come recita il pezzo ora citato. Il denaro facile non starebbe più di casa, che si parli di mondo sostenibile o no.
Ma è qui che l’accento sulla apparente negatività del sistema finanziario, racchiusa in quell’affermazione, necessita di un’importante correzione. Il fatto che storie semplici non esistano, infatti, non solo nella vita personale ma anche nelle nostre finanze, non giustifica la coerenza che sempre di più si tende ad associarvi. In finanza più che mai.
Ossia che, alla fine, si debba parlare di una vera e propria assenza di orizzonte temporale in grado di orientare qualsiasi investimento possibile. Lo ha ben detto Massimo Gramellini citando la permacrisi diventata baluardo assolutamente ingiusto di un ennesimo discorso senza senso della non amatissima Christine Lagarde, ancora rappresentante (ahimè) della Banca centrale Europea.
Ahimè, ribadisco, proprio per la sua scarsa capacità di identificare, al di là del vissuto ben chiaro di un anno complesso, e di una vita non facile, per tornare alla scena del film, una visione più ampia di come questo stesso anno debba essere guardato all’interno di un disegno più grande.
Mai come oggi è necessaria una visione
Che questo abbia il suo senso, in finanza, è fuori discussione. Che non esista il denaro facile è la lezione più semplice dietro a quanto si è visto accadere quest’anno. Ma che la lezione sia solo questa non rende giustizia al significato di un portafoglio di investimento reale, o ancora meglio, realistico. La vera lezione non è che sia caduto l’intero mercato, salvando l’energia, come tutti amano scrivere a più riprese – lo sporco contro il pulito, l’anti green contro il sostenibile, il value contro il growth etc.- e che quindi investire sia una faccenda complessa tra le tante.
La vera lezione è, come sempre quando si investe, che occorre avere una visione. «Dove ti vedi tra trent’anni?», questa è la domanda che Noah, nella scena, fa con irruenza alla sua amatissima Allie per scatenare in lei la vera questione che non è e non sarà mai riducibile alle innumerevoli volte in cui loro due si sono ritrovati a litigare e a rompere la relazione, nelle interminabili forme della loro vita complessa.
Perché la vera questione sarà sempre dove lei si vede a distanza di anni, e se nella sua mente in quella scena, in quella visione, sarà l’altro uomo a essere al suo fianco, o quello che la sta guardando negli occhi facendole quella domanda.
Per sapere come risponde, dovete guardare il film. Ma ciò che per noi conta qui è come rispondono gli investitori a quella stessa domanda che dobbiamo fare o far sorgere in loro come viatico all’investimento.
E sempre parlando di finanza, sapete qual è la differenza, quando si entra nel merito del portafoglio? Che oggi è sempre meno possibile parlare di visione a trent’anni, a vent’anni, e oserei dire che neppure i dieci anni si possano citare.
Dove è finita la durata dei titoli obbligazionari che la generazione precedente (parlo dei miei coetanei…) andava a chiedere in banca, o l’orizzonte temporale che avevano i nostri nonni quando compravano azioni? Finita (eccetto quella che io chiamo la distorsione del BTP, dove ancora si pensa che il tempo fissato non abbia conseguenze, sebbene siano già scritte in garanzie non più così garantite, ma ne parleremo).
La permacrisi dell’investitore
La visione, al contrario, è diventata quasi la forzatura che dobbiamo introdurre noi consulenti finanziari nella mentalità del cliente, il quale, se riesce a uscire dalla lettura della complessità dell’anno e di quanto sarà ancora difficile la finanza nei prossimi tempi, insomma dalla semplice lettura della permacrisi alla Lagarde, tenderà a vedere i suoi investimenti in un orizzonte temporale che, udite udite, non riesce a superare un anno solare.
E questa è la vera permacrisi dell’investitore, che costituisce un ostacolo alla costruzione di un portafoglio realistico. Un mio cliente mi ha detto in questi giorni: “breve termine” per me è un mese forse due settimane, medio-lungo termine non oltre l’anno. E sappiate che è un investitore piuttosto navigato.
Bene. Le due lezioni le ho identificate e la scena del film mi ci ha condotto magistralmente. Cosa manca?
In verità non manca nulla. Se pensiamo di parlare con un cliente abbagliandolo con giochi di luce e novità sconvolgenti, sbagliamo. In realtà le difficoltà del mercato di quest’anno hanno fatto vedere tante verità al fondo di tutto quanto già ben noto, che sono sufficienti per costruire o ricostruire qualsiasi portafoglio.
Ma forse con una coscienza più grande di quale sia la visione da tenere sugli investimenti: non più solo legata a un fattore temporale di uno, due, cinque o dieci anni, piuttosto a quello che identifico come il più grande fattore al di sopra di tutti.
Si chiama realismo. Io ultimamente sto diventando una consulente finanziaria realista. E voi?
Ne parleremo ancora: è solo l’inizio… un nuovo inizio.
Alla prossima!