Leadership femminile e venture capitalist: la nuova alleanza
È la settimana della gentilezza, si legge e si è saputo, ascoltando la radio e leggendo i giornali.
È iniziata lunedì. Si cita anche la cosiddetta “spinta gentile“, una vera e propria strategia che sarebbe all’origine di scelte più consapevoli e opportune non solo di investimento, ma anche nella vita. Ma in questa sede non facciamo giri di parole. Qui la gentilezza ci interessa perché ci ricorda l’etichetta con cui da sempre si è soliti rappresentare le donne. Il gentil sesso, appunto.
Peccato che la gentilezza in queste “creature diverse” sia stata superata, per non dire soppiantata, da qualità ben più efficaci, o meglio foriere di risultati, quelli che interessano alla fine, al punto da rendere quelle medesime creature un vero e proprio motore del ben noto e necessario prodotto interno lordo, indagato speciale, unico e indiscutibile per assicurare i sempre ricercati risultati finanziari.
Ed eccoci al punto. Finalmente. L’economia, la finanza e le donne.
Anzi, nell’ordine corretto, le donne, l’economia e la finanza. In un ordine quasi logico e sostenibile (la parola che amano tutti ultimamente). Vediamo perché.
Non sto farneticando, né intendo parlare di quanto sia bello lavorare e produrre avendo come capo una donna. Io stessa lo sono stata – manager, in passato – e vi assicuro che era anche divertente lavorare con me (me lo dico da sola), ma davvero molto faticoso essere all’altezza delle mie aspettative. Come dire, quasi quasi meglio di no.
Peccato che i risultati c’erano, ed erano straordinariamente misurabili. Frutto di un management “diverso”. Non solo. Per comprendere veramente il senso di quella connessione virtuosa e sostenibile (quanto lo è a breve lo vediamo!) tra donne, economia e finanza, che mi auguro possa illuminare chi oggi si chiede (caro investitore penso sempre a te!) dove investire diversamente il capitale, occorre andare alle parole con cui è stata presentata Mrs. Elena Casolari, professione Venture Capitalist, ma soprattutto fervida sostenitrice del Gender Lens Investing, in un articolo a lei dedicato lo scorso 27 ottobre:
Non fatevi ingannare, non si tratta di privilegiare, negli investimenti, le imprese con una leadership femminile per superare l’annoso gender gap che affligge il mercato del lavoro: contare le donne non basta, nemmeno se siedono nei posti di comando. Bisogna mettere sotto la lente l’intera filiera produttiva e valutare le dinamiche di potere
Quindi donne al potere non è tutto.
Ed è in questo più autentico e pregnante senso della diversità di genere nel business che diventa interessante prendere spunto dall’esperienza di venture capitalist di questa professionista.
Parlando della sua pregressa esperienza all’origine della svolta radicale di perseguire il Gender Lens Investing (potremmo definirla una finanza a impatto veramente attenta alla diversità), Casolari racconta come quando era Managing Director nel settore finanziario non vi fosse attenzione non tanto alla importanza della diversità manageriale, quanto piuttosto alla più radicale necessità di tenere presenti i bisogni della diversità, nelle singole sfaccettature.
Al punto da portarla a decidere di perseguire e creare attività di investimento, da quel momento in poi, proprio con un’attenzione a tutti i fattori della realtà caratteristica del fantomatico gentil sesso.
Investire con un approccio attento al gender «non equivale a investire in imprese che hanno tante donne nel board»: in queste parole l’articolo quasi ne fa una sintesi. Non equivale. Parole dure e fondamentali per rompere con la tradizione di una presunta reazione alla ben nota prevalenza maschile nel management delle aziende.
Si parla, guarda caso, di una più omnicomprensiva scelta sostenibile, alla base di aziende che di fatto funzionano. Non può infatti non venire in mente come la finanza sostenibile, quella che si sta dimostrando la più resiliente e attendista per i risultati, metta al centro dell’attenzione l’importanza di questa attenzione alla diversità, non intesa solo come quote del board, ma come preferenza per un business che tenga presente ciò che più caratterizza l’aspettativa, il bisogno, le priorità delle donne.
Scandalo per le orecchie? Forse.
Si potrebbe infatti essere tentati di ridurre il senso d’esistere di aziende che l’articolo cita come esempi virtuosi di questa finanza a impatto. Aziende come Copia, Afripad, Progetto Quid, che hanno focalizzato il business su aspetti assolutamente umani, in estrema sintesi.
E diciamocelo, in fondo a un azionista potrebbe importare davvero poco che si mettano al centro le benedette diversità. Peccato che in primo luogo balzi agli occhi oggi più che mai quello che Casolari sostiene: «Coprire il gender gap è una responsabilità di tutti. E poi come investitore è anche uno strumento di gestione del rischio: se la palestra non ha un parcheggio adatto alle donne, per restare al nostro esempio, le donne non ci andranno e quindi ci saranno meno clienti. Questo è contro il mio interesse di investitore».
E qui… musica per le orecchie da due punti di vista: per l’investitore, che deve allinearsi a criteri di sostenibilità per sopravvivere, gestione del rischio e risultato (clienti, clienti…). Ed è quasi retorico evidenziare come una finanza di questo genere si meriti il titolo di sostenibile anche per l’attenzione al sociale.
Dunque, dovremmo dire, senza paura di peccare di riduzione: donne, economia e finanza in ottica sostenibile. Senza dimenticare ciò che conta di più per l’investitore: i risultati economici. «Ho scoperto che le donne possono essere in finanza restando loro stesse e rendendo così più smart la finanza stessa: non perché siamo migliori, ma perché la diversità è una ricchezza», così conclude Casolari.
Ma questa sua affermazione sarebbe solo per filantropi se non si tenesse presente la fondamentale osservazione che contraddistingue le aziende che hanno fatto di questo modello di finanza a impatto la logica di business strutturale, convincendosi e ingaggiandosi, dal board in giù, che la diversità non sia un tema solo di attenzione alla moralità: che le aziende così strutturate sono più efficienti e depositano più brevetti…
Stiamo attenti, investitori, a leggere bene le iniziative di Venture Capital di Madame Casolari.
Forse vi accorgerete che non si parla affatto di “cose da donne”.
Alla prossima!