Prima di addentrarmi nel pensiero che mi è sorto leggendo – sotto l’ombrellone – il testo che vi propongo, dal titolo simpatico e allusivo all’episodio centrale, La giardiniera di zia Norma di Massimo Doria, permettetemi di riportarne alcune parti di impatto.
«Non parliamo solo dei mercati (tanto salgono e scendono, e ormai lo sappiamo tutti) ma cerchiamo di creare sulle famiglie una base di serenità e di tutela familiare tramite una corretta pianificazione» (pag 48).
Così scrive l’autore a ridosso di un importante approfondimento su uno degli istituti per sua stessa ammissione meno noto e citato da chi pure dovrebbe tenerne conto (cosa che sottoscrivo pienamente), e cioè la Collazione, raccontata abilmente attraverso la storia di un caso che riecheggia a tinte vivide la vicenda di Caino e Abele.
L’imprenditore distratto
Più o meno le stesse sono le parole poco più avanti: «Io sorrido sempre al pensiero che l’imprenditore va in banca a discutere sul punto in più e un punto in meno sui suoi conti correnti… e poi non si preoccupa di capire cosa potrebbe succedere alla sua azienda» (pag. 66).
Così Massimo Doria tocca e potrei dire rende scottante (il termine è voluto) l’intricato caso che si apre ogni volta che l’imprenditore non si occupa della sua azienda, o meglio, ogni volta che pensa di occuparsene per il conto economico e giustamente per l’utile che può generare e incrementare, cercando di risparmiare sui costi, anche del suo conto corrente, senza toccare la questione più importante, sin dalla creazione dell’azienda. Ovvero la pianificazione delle eventualità cui essa potrebbe incorrere, tenendo presenti tutti gli attori in gioco. I titolari e i loro discendenti.
Tutto chiaro, no? Quasi apertura e chiusura di un tema. Si addentra ora nell’istituto della Collazione, ora nella Legge Cirinnà, su cui torna in più di un caso, ovviamente narrando (e devo dire rendendo accessibili temi che non lo sono affatto) svariate casistiche della convivenza, quella che si vive senza pensare, potremmo dire, a tutte le conseguenze cui potrebbe condurre, se non resa oggetto di una considerazione più congrua (leggete l’episodio di Tristano e Isotta e sentirete dal vivo, cari conviventi, cosa potrebbe capitare se un giorno…).
Entrando insomma nel merito di queste zone critiche, per citare solo due dei tanti esempi, qual è il giudizio che l’autore esprime più o meno nascostamente, “tradendosi” ripetutamente, e volutamente direi? Che il consulente finanziario appartiene al passato, se si presenta nella veste del professionista che consideri sopra ogni cosa e con assoluta priorità il portafoglio investimenti.
Mi permetto ora di dire come la penso e come immagino (o almeno spero) che Massimo Doria possa riconoscere alla fine.
Un passaggio necessario
A ben guardare, infatti, non è proprio così che vanno le cose in consulenza con i clienti. Il testo particolarmente chiaro e sintetico che Doria scrive con espressività e capacità comunicativa, lascia intendere la provocazione per la necessaria competenza del consulente vero, quello che deve diventare patrimoniale scavalcando il limite inferiore della definizione “finanziario”; non però la più ampia comprensione di una dinamica che già accade ai tavoli della consulenza finanziaria, e che può essa stessa già essere la conditio sine qua non per permettere al professionista di cui si parla di fare il vero salto in colloquio con gli interlocutori di volta in volta presenti in consulenza.
I titolari di patrimoni. I quali, va detto e sempre ripetuto a gran voce, quasi mai (e sono buona) intendono addentrarsi in tematiche del genere ma si attardano piuttosto – come peraltro Doria riconosce, quasi scusando in tal modo la non sufficiente attenzione del consulente finanziario tradizionale – a parlare di ricchezze in avere, piuttosto che in patrimoni in prossima necessaria e imprevedibile devoluzione.
Ed è qui, su questo punto, che il nostro passaggio come consulenti è e diventa fondamentale e irrinunciabile. Ed è qui che proprio il testo citato, in tutti i capitoli, entrando in medias res nella declinazione dei singoli nodi delle singole matasse (tutte le vicende famigliari sono matasse!) fa capire quanto, diversamente da un primo parere di presunta semplificazione come detto innanzi, la faccenda rimanga tutt’altro che facile da gestire, a motivo di una certa negligenza da parte dei clienti, che va svelata, e che non si identifica affatto nella superficiale reticenza a parlare di certe tematiche.
Piuttosto, nell’effetto scandalo che il fantomatico orizzonte temporale scatena in costoro. Al punto che, negli investimenti, non fanno altro che pensare sempre di più all’oggi, piuttosto che al domani, orientandosi alla reattività e agli eventi di Borsa immediati, piuttosto che alla gestione dell’emotività nella accettazione di un piano che possa prevedere il succedersi di eventi all’indomani.
Ma se così ragionano, senza rendersene conto, sul loro patrimonio investito, non può certo stupire che finiscano per comportarsi così anche riguardo a ciò che loro più dovrebbe importare. Ossia il lasciare, all’indomani della loro dipartita da questa vita, le loro ricchezze, il patrimonio intero, secondo un preciso piano chiaramente espresso, che possa tenere conto delle loro precise volontà a chi loro succederà, o meglio, scegliendo bene chi davvero dovrà loro succedere.
Un orizzonte intollerabile
Il nodo alla fine è lo stesso. È il muro dell’orizzonte temporale che diventa intollerabile. E, a ben guardare, alla fine anche Massimo Doria fa comprendere di averlo colto in ogni singolo inciampo che potrebbe presentarsi all’orizzonte, nel fatidico orizzonte temporale, se non guardato attentamente, se non accettato e gestito tenendo conto di tutti i fattori in gioco.
Leggendo il testo diventa quasi familiare la somiglianza, in consulenza, tra una pianificazione nel medio-lungo termine di un portafoglio ben diversificato che tenga conto di tutto il mercato (ma che non per questo possa eliminare l’irrompere della volatilità improvvisa), e quella che lui stesso disegna e suggerisce come pianificazione patrimoniale che tenga conto di eventualità future, come il decesso di un coniuge o addirittura di tutti e due, o la presenza di un minore o di una persona disabile.
Tutte faccende, chiamiamole così, che se guardate da subito, nel corretto orizzonte temporale e secondo un piano, sebbene non possano esaurire la volatilità, definiamola così, di certe vicende umane, possono davvero cambiare il corso degli eventi di successione ereditaria. Questi sì da accettare nel consueto e imprevedibile orizzonte temporale.
Ecco perché mi sentirei di dire a Massimo Doria che, se è vero che come lui ha ben detto a pag. 48, il consulente finanziario deve necessariamente uscire dal suo abito che lo vorrebbe totalmente immerso nelle dinamiche dei mercati per coinvolgersi in ben più complesse tematiche umane di gestione dei patrimoni delle famiglie nel delicato passaggio generazionale, è pur vero che proprio il consulente finanziario può essere riconosciuto nel suo essere sempre più pronto per questa sfida.
E lo è diventato proprio grazie all’apprendistato che lo ha visto protagonista nella consulenza con il suo cliente in materia di mercati finanziari. Soprattutto, aggiungerei, negli ultimi due anni. Guarda caso. Mercati che sempre più chiedono all’investitore di guardare i suoi averi in un orizzonte temporale e non solo nell’attualità effimera dell’oggi.
Ringrazio Massimo Doria per avermi consentito, nella lettura di questo testo davvero singolare, di mettere a fuoco forse uno dei più importanti aggiornamenti professionali, che penso stia riguardando tutti i miei colleghi.
Alla prossima!