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Il Covid veste Prada

Due o tre lezioni che possiamo imparare dalla settimana della moda. Non per vestirci, ma per investire...

Settembre 28, 2020
il covid veste prada
Tempo di lettura stimato: 9 minuti

maria anna pinturoFinalmente la settimana della Moda, vita vera, in questa fatiscente normalitĆ  ormai vissuta.

E chi lo avrebbe detto che i “giganti” della moda sarebbero riusciti a farcela? Davvero una dimostrazione di come possa essere vero il Too Big to Fail (nota pellicola del 2011 che richiamava la crisi globale causata dal crollo di alcuni giganti finanziari statunitensi, loro si che di fatto avevano dimostrato come si potesse fallire anche se “grandi”!), in un settore che deve davvero raccontare come siano andate veramente le cose (e purtroppo come stiano ancora andando).

PerchĆ© scopriamo (leggi articolo di Giulia Crivelli del 22 agosto, lontano ma siamo ancora lƬ ..) che proprio questi giganti che oggi fanno sfilare e ancora emozionare nonostante tutto, sono stati tra i meno “fortunati” nella situazione di emergenza da Covid. Usando un’espressione banale ed estremamente colloquiale.. oltre al danno, la beffa.

Si, perchĆ© la moda, che pure rappresenta Ā«il secondo più importante settore manifatturiero in Italia e il primo contributore positivo alla bilancia commercialeĀ» (come si legge nell’articolo) non ha ricevuto aiuti statali e ha dovuto capire da sola come andare avanti (nell’articolo si legge chiaramente… Ā«in tempi di pandemia ha continuato a fare e a dareĀ»). E in questa solitudine, dove accade che si formino i veri unbreakable (ricordate The Revenants?), nonostante questa radicale solitudine, ĆØ stata in grado di creare e soprattutto, cosa non scontata, ha collaborato con il sistema da cui pure non ĆØ stata aiutata.
Qual ĆØ l’esito di questo processo? Il settore moda si ĆØ reinventato per essere pronto al nuovo mondo.

Il Covid veste Prada, dunque?Ā Il Covid ha letteralmente “rivestito” questa come altre grandi eccellenze del made in Italy.Ā Peccato che qui malauguratamente non si tratta di un film con un finale: ĆØ tutto vero, e la fine non ĆØ ancora chiara, sebbene proprio nel caso della moda possa essere giĆ  bella adesso, sebbene in una situazione che di bello ha davvero poco.

Scettici? Seguitemi. Nelle ultime settimane stiamo guardando più da vicino gli ā€œaspetti ā€œ di Borsa evidenziati da questa pandemia, come la resilienza delle aziende, e l’epoca darwiniana che stanno vivendo tanti settori. Una vera e propria ā€œselezione naturale ā€œ: per i settori che sopravvivono il centuplo quaggiù, per gli altri…. Mah.Ā Direi che alla moda spetta un posto in prima fila, oltre che per la capacitĆ  di sopravvivere anche per la potenza nel risplendere in una luce nuova, il suo vero nuovo vestito. Le sfilate ne sono una grande dimostrazione.

Necesse est, si potrebbe dire. In fondo la moda di cosa ĆØ fatta? Potrebbe vivere solo di e-commerce? No. Lo spettacolo dal vivo ĆØ indispensabile. Il Covid ha vestito e ā€œrivestitoā€ grandi aziende come Prada, costringendole a ridimensionare la performance. Senza live delle sfilate e senza stranieri, la maison ha chiesto al pubblico ā€œresidenteā€ di spendere, ma mai come in quest’anno si ĆØ visto quanto la ā€œnostraā€ moda non sia più ā€œnostraā€. La globalizzazione (anche se ora si tornerĆ  ad un tentativo di rilocalizzazione, come sottolinea la giornalista sempre nell’articolo, e per effetto del panico verso lo straniero … ), la vendita di nostre aziende a partner stranieri, e ora il vero diavolo, il Covid, hanno cucito il nuovo stile, anche se Ā Made in Italy, Made for foreigners….

Ma allora di cosa ĆØ fatta questa “nuova” moda?Ā Lo spiega bene l’articolo del 4 settembre di Milano FinanzaĀ  dal titolo Il Futuro Sostenibile di Prada che riporta un’intervista a Carlo Mazzi, presidente della casa di moda. Di cosa parla? Di conoscenza, maggiore consapevolezza, di coinvolgimento della intera comunitĆ  internazionale per affrontare la situazione di emergenza, di coscienza di dover rispettare di più la natura, il genere umano e le specie animali.Ā E cosa ha fatto Prada in particolare? Sempre nell’intervista si parla di adesione al Fashion Pact con l’obiettivo del multilateralismo: un programma di integrazione con le aziende multinazionali di altri settori.

Ecco la visione, l’ampiezza mentale: e non si tratta di una reazione al Covid, ma di un programma nato un anno fa (come dire, la visione del futuro si prepara nella organizzazione di una mentalitĆ  nel presente…). Si parla di coinvolgimento di scienziati per raggiungere gli obiettivi di questo patto di sviluppo economico.

Ma dove le leggete queste cose?Ā E come si traduce la sostenibilitĆ  della nuova Prada, della nuova azienda ri-vestita dal Covid?
Nei programmi sull’innovazione dei materiali (la sorpresa del re-nylon, oggi una stranezza ma domani potremmo magari scoprire di farne uso nel nostro abbigliamento quotidiano, senza saperlo), sulla riorganizzazione culturale (si parla di programmi di inclusione, ma ripeto, non nati oggi!). E questo senza ricadute sui costi del prodotto finito per il consumatore. PerchĆ©, risponde Carlo Mazzi, Ā«il consumatore si deve abituare….Ā» (vi viene forse in mente come invece a seguito della pandemia si siano trovati “strani” rincari in altri settori che stanno provando a speculare sulla situazione del momento?)

E ci riportiamo anche all’articolo di Wall Steeet Italia del 15 luglio. LƬ si parla addirittura di Renaissance Project, Ā«associazione no profit fondata lo scorso settembre a Villejuif, comune nella periferia di Parigi, con l’intento di mostrare un nuovo modo, più sostenibile, di vivere e pensare l’industria della moda di lussoĀ». Entriamo nel progetto e scopriamo davvero cose mai viste. Un progetto che nasce con l’intento di Ā«contrastare lo spreco e l’eccessivo consumo nell’ambito della modaĀ». Come? Interessante: si regala Ā«una nuova vita agli abiti di prĆŖt-Ć -porter e alta moda, destinati a giacere nel guardaroba dei loro proprietari.Ā  Non un semplice riciclo ma una vera e propria opera di ā€œupcycling coutureā€Ā» e ancora, spiega la giornalista, Ā«il punto di partenza di un processo creativo che parte da una meticolosa decostruzione dell’abito per arrivare alla realizzazione di un modello unico ed esclusivo, capace di evocare la storia e il fascino dell’originaleĀ». La manifattura di questi abiti rivestiti a nuovo? Si legge nell’articolo: Ā«per la realizzazione degli abiti il progetto coinvolge persone con fragilitĆ  sociali – madri single, rifugiati, disabili –  cosƬ da poter offrire loro, anche attraverso specifici corsi di formazione, una possibilitĆ  lavorativaĀ».

Scusate, non ĆØ forse questa la vera bellezza, lo straordinario positivo originatosi in una contingenza dal carattere tutt’altro che coerente?

Io non so se pensate a tutto quello che rimane dietro la facciata delle aziende per decidere su quale settore investire, oltre che su quali aziende. La volatilità del settore moda sarà sicuramente inficiata ancora a lungo dalla dipendenza del suo mercato dalle filiere estere. Ma se pensate che investire voglia dire avere una visione ampia e di lungo termine (ricordate quando si compravano le azioni per tenerle anni? Oggi sembra davvero difficile pensarla così, abituati a fare e a pensare sempre al tutto e subito whattsappiano) e che per essere e rimanere in questa prospettiva occorre un tempo e infine (e non è poco) che le cose migliori dipendono dal tempo di maturazione, il Covid che ha vestito Prada forse ci ha fatto un favore.

Alla prossima!

da MILANO FINANZA DEL 4 settembre IL FUTURO SOSTENIBILE DI PRADA

futuro sostenibile di Prada

futuro sostenibile di Prada

Da Il Sole24 Ore del 22 Agosto 2020

Grandi eventi e sfilate a settembre la moda riparte dalle piazze

SCENARI POST COVID
Grandi eventi e sfilate a settembre la moda riparte dalle piazze

Nel 2020 i ricavi caleranno del 30%, ma la filiera punta sul rientro a casa delle aziende
Marcolin (Confindustria): «Effetti devastanti, dobbiamo fare sistema e ripartire uniti»
Giulia Crivelli

Lecce. La presentazione della collezione di Dior nella cittĆ  pugliese, lo scorso 12 luglio. La maison del colosso francese Lvmh ĆØ guidata da due italiani, la stilista Maria Grazia Chiuri e il CEO Pietro Beccari

C’è voluta una pandemia per far capire a chi prende decisioni di politica economica l’importanza e la flessibilitĆ  del tessile-moda-abbigliamento.

Colpito come e forse più di altri dal lockdown, fin dalle prime settimane di emergenza sanitaria il settore ha fatto la sua parte. Da Armani a Zegna, le grandi aziende hanno convertito impianti alla produzione di camici e mascherine in tnt (tessuto non tessuto). La pandemia ha mostrato inoltre quanto le decine di migliaia di imprese della filiera italiana siano legate ai territori: sono state fatte innumerevoli donazioni a strutture sanitarie e sezioni della Protezione civile. Una forma di corporate social responsibility che si riflette anche nelle iniziative per i dipendenti: tante eccellenze del made in Italy, da Cucinelli a Prada, hanno lavorato con istituti di ricerca e università per affinare i protocolli di sicurezza, migliorandoli rispetto alle indicazioni governative, dalle fabbriche alla logistica e ai negozi.

La filiera italiana del tessile-moda-abbigliamento, unica al mondo ancora intatta (la maggior parte delle aziende francesi producono qui, da Dior a Vuitton, da Chanel a HermĆØs), in tempi di pandemia ha continuato a fare e a dare. Senza chiedere nulla se non regole chiare e possibilitĆ  di essere ascoltata e coinvolta nelle politiche economiche per l’emergenza.

ƈ avvenuto solo in parte: le aziende hanno utilizzato gli ammortizzatori sociali, ma alla fine, ad esempio, non potranno contare sul bonus consumi di cui si era parlato. Il settore ĆØ in profonda difficoltĆ , stretto tra i quattro mesi di interruzione quasi completa delle attivitĆ  manifatturiere e commerciali e il congelamento dei consumi durante il lockdown, seguito da una lenta ripresa di quelli interni, ma in assenza quasi totale di quelli legati al turismo dall’estero. Secondo l’ultima indagine a campione di Confindustria Moda – che rappresenta 67mila imprese che danno lavoro a circa 600mila persone nei comparti tessile, moda e accessorio – nel secondo trimestre oltre l’86% delle imprese ha subito un calo di fatturato superiore al 20%. Il 93% delle aziende a campione ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali e nel 54% dei casi lo strumento ha interessato oltre l’80% dei dipendenti totali dell’azienda. Il 55% ha – tornando al tema della corporate social responsibility – anticipato la Cig al proprio personale. Quanto all’intero anno, si stima una flessione media del fatturato del 32,5% rispetto al 2019, pari a 30,3 miliardi meno.

Chiarissime le parole di Cirillo Marcolin, presidente di Confindustria Moda: «È una stima preliminare, ma gli effetti della pandemia sui bilanci e sull’occupazione saranno devastanti. Siamo il secondo più importante settore manifatturiero in Italia e il primo contributore positivo alla bilancia commerciale. Dobbiamo fare ancor più sistema e insieme ripartireĀ».

Non ĆØ solo un auspicio: gli eventi previsti in settembre sono, di fatto, un primo, forte segnale di ripartenza (si veda l’articolo in pagina): sfilate-evento a Firenze e Roma, fiere di settore e una fashion week e Milano che, a differenza di quella di giugno, tornerĆ  a essere anche fisica, oltre che digitale. Poi, naturalmente, c’è il fronte consumi: settembre ĆØ storicamente il mese in cui si sente il bisogno – o almeno il desiderio – di rinnovare gli armadi e di farlo andando nei negozi, non su internet. Durante il lockdown l’e-commerce ha funzionato, ma non certo sostituito il canale fisico. Dai saldi (iniziati con un mese di ritardo rispetto al 2019) sono venuti alcuni segnali positivi e la mancanza degli acquisti da parte di turisti nel settore di alta gamma, quello a maggior valore aggiunto, ĆØ stata almeno in parte compensata dalla clientela locale.

In assenza di bonus o di una maggior attenzione da parte delle istituzioni, ancora una volta la filiera punta a trovare in sĆ© la forza e le risorse per ripartire: la parte a valle – nell’ottica di sistema citata da Marcolin – proverĆ  a trainare quella a monte e per le Pmi manifatturiere, superata l’emergenza, potrebbe esserci un vero rimbalzo. La pandemia ha mostrato la fragilitĆ  delle supply chain globali e della dipendenza dall’Asia, sia per la produzione nella fascia media sia per le materie prime necessarie all’alta gamma, come la seta o i prodotti chimici per il tessile, tutti o quasi cinesi. Accorciare le filiera, cioĆØ rilocalizzare, tornerĆ  a essere uan prioritĆ  per molte aziende medie e grandi. L’importante ĆØ mantenere in vita le Pmi per ciò che resta di questa tempesta da Covid , che – lo abbiamo capito – non ĆØ ancora finita.

Ā© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giulia Crivelli

 

DA WALL STREET ITALIA 15 luglio 2020

Renaissance Project: quando l'alta moda diventa sostenibile

 

Renaissance Project: quando l’alta moda diventa sostenibile

15 Luglio 2020, di Redazione Wall Street Italia

Nasce a Parigi il primo progetto di ā€œupcycling coutureā€ che coniuga rispetto per l’ambiente e attenzione sociale

A cura di Francesca Gastaldi
Il tema della sostenibilitĆ  nell’ambito della moda ĆØ ormai molto sentito. Non ĆØ un caso che lo scorso anno un gruppo di aziende leader del settore abbia siglato il Fashion Pact con l’impegno di raggiungere una serie di importanti obiettivi condivisi a tutela dell’ambiente.

Ed ĆØ proprio da queste stesse premesse che nasce Renaissance Project, associazione no profit fondata lo scorso settembre a Villejuif, comune nella periferia di Parigi, con l’intento di mostrare un nuovo modo, più sostenibile, di vivere e pensare l’industria della moda di lusso.

Scopo del progetto ĆØ quello di regalare una nuova vita agli abiti di prĆŖt-Ć -porter e alta moda, destinati a giacere nel guardaroba dei loro proprietari.Ā Non un semplice riciclo ma una vera e propria opera di ā€œupcycling coutureā€: i capi, donati da privati che vengono poi nominati ambasciatori e ambasciatrici del brand Renaissance, sono il punto di partenza di un processo creativo che parte da una meticolosa decostruzione dell’abito per arrivare alla realizzazione di un modello unico ed esclusivo, capace di evocare la storia e il fascino dell’originale.

ā€œRenaissance ĆØ un progetto ambizioso che fornisce una risposta originale e creativa alle sfide ambientali e sociali del nostro tempoā€, ha dichiarato Pascal Morand, presidente esecutivo della La FĆ©dĆ©ration FranƧaiseĀ de la Couture e sostenitore dell’associazione.

Il desiderio di contrastare lo spreco e l’eccessivo consumo nell’ambito della moda si sposa in Renaissance Project anche con un nobile intento sociale: per la realizzazione degli abiti il progetto coinvolge persone con fragilitĆ  sociali – madri single, rifugiati, disabili –  cosƬ da poter offrire loro, anche attraverso specifici corsi di formazione, una possibilitĆ  lavorativa.

L’associazione no profit ha scommesso sui quartieri della periferia parigina, dove il problemaĀ  della disoccupazione ĆØ particolarmente urgente, dando a molte persone la possibilitĆ  di integrarsi dal punto di vista sociale oltre che di imparare a esprimere i propri talenti attraverso un percorso specializzato. Sostenuta tra gli altri dall’agenzia francese per l’ambiente e il controllo energia (ADEME), il gruppo KƉRING eĀ  il Ministero di Cultura, l’associazione ha come presidente e direttore creativo Philippe Guillet, che tra le sue collaborazioni annovera nomi importanti dell’alta moda, da Jean Paul Gaultier a Karl Lagerfeld.

La prima sfilata di upcycling firmata Renaissance Project ĆØ stata presentata lo scorso 3 febbraio a Parigi presso l’Institut du Monde Arabe, segnando una svolta importante nel modo di concepire l’industria dell’haute couture.

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