Tempo di lettura stimato: 4 minutiSi chiama così: il nuovo ma anche vecchio protagonista in tempi come questi, quasi esausti per le performance dell’azionario, pronti a preparare altri orizzonti di valore.
Parliamo delle obbligazioni, che tanto spesso cito come terreno di confronto, quasi sempre prendendo le parti di altre tipologie di asset per vivere i momenti di mercato. Perché in fondo investire vuol dire rischiare, dove rischio però (e qui lo uso come autentico avversativo) non ha innanzitutto un significato negativo, come massificando spesso si arriva a pensare, bensì rappresenta un’opportunità; e se questa si presenta in alcuni frangenti storici conclamati, credo la si debba inseguire, cavalcandone l’onda, sfruttando gli asset che più la rappresentano. E che sia questo in fondo, concedetemi, il modo più imprenditoriale di stare sul mercato, io lo penso veramente.
Ma qui sta il punto che ci permette di guardare oltre.
Concentrati da mesi sulla coincidenza assoluta tra azionario e rischio, visti all’unisono come opportunità di guadagno schiacciante, al punto da portare anche i più refrattari a questo tipo di asset a volerne, esigerne quasi, una porzione nel proprio portafoglio, da qualche tempo si sta pensando che forse sia arrivato invece il momento di voltare pagina.
E se prima la domanda era «ma se esco da qui, dove vado ora che il mercato è così alto?» – tipica di azionisti e obbligazionisti, quasi guelfi e ghibellini in una partita senza vincenti assoluti – ora la domanda si sta rivelando un po’ più complessa. «Se esco oggi e poi continua a salire? E se esco oggi e mi perdo qualcosa?»… A meno che, invece delle domande, non subentrino piuttosto, come ultimamente accade, vere e proprie esortazioni-imposizioni: «Venda e tenga lì, poi vediamo» (ultimamente ne abbiamo già parlato).
Di fronte a un panorama così, esito della cosidetta volatilità inflattiva o meglio presuntiva di tassi ancora lontani (diffusa la stampa su questo punto), sembrerebbe inevitabile una soluzione manichea. La classica, che si configura nella tradizionale alternativa tra il rimanere investito e accettare quel che sarà, e il vendere e lasciare sul conto o in soluzioni apparentemente risk free (oggi bisogna dire così, ma qui non approfondisco).
Ora, questa è davvero l’alternativa?
Tra investimenti che hanno come volano la componente rischio/opportunità da un lato, e dall’altro tutto quanto rischio sembrerebbe non averne? Da sempre, a meno che si
lascino i soldi sul conto corrente, si identifica questa alternativa nei due asset ben definiti, tradizionali protagonisti del portafoglio: azioni e obbligazioni. Il tempo non ha cambiato questa prospettiva. Ci sono cose che il tempo non riesce davvero a mutare, perché il cliente che si identifica come conservativo prudente non vuole sentir parlare di quella parola d’effetto. «No», dice, «quella roba lì è per giovani: io non ho più l’età».
Tradotto, azioni no grazie.
Di contro: «Obbligazioni ne avete?» chiede, alludendo alla sempre agognata pronta offerta, il suo sempre valido piano B: non finirà mai l’era del negozio sempre aperto che vende questo prodotto in qualsiasi situazione, e quando il cliente parla di bond allude sempre a un’immagine che non esiste più, quella di quando lui andava in banca e chiedeva di sottoscrivere quel bond a… diversi anni. E lì, nella pronta offerta dei bond, l’animo del cliente quasi si placa, anche e soprattutto oggi, pensando di avere sempre quella valida alternativa ai tempi di guerra. Certo che sia la soluzione finale, alternativa al rischio rappresentato dalla tanto temuta azione.
È di questi giorni un episodio che amo raccontare.
Classe 1935 – sì avete capito bene: ultraottantenne. Mi chiede di disinvestire il suo asset azionario reinvestendolo in obbligazioni, e aggiunge: «Però si ricordi che io sono quello di sempre, in tempi come questi voglio essere prudente e non voglio rischi». Cosa intende?, gli chiedo, pur stimando la sua scelta di non tenere i soldi sul conto, rendendoli vittima dei costi per addebiti interessi delle banche (e anche di questo abbiamo già parlato). Mi dice: «Preferisco obbligazioni con cedole così sto tranquillo».
Mi fermo. Avrei la tentazione di dire la mia, di chiarirgli subito che forse non è proprio così ma decido di sfidarlo. Ha presente qualche esempio? «No mi dica lei, faccia quello che crede». Difficile – penso tra me e me – dato l’ossimoro tra la parola prudente e la parola cedola, che vuol dire avere rendimento, ma per avere rendimento, oggi come oggi…
A questo punto tiro fuori due strumenti obbligazionari, diversificati. Uno è un
high yield e uno un
Income.
Lei che dice, quale preferisce?, gli chiedo. «Be’», risponde subito, «dipende dalla cedola».
Chiarisco. Uno quest’anno distribuisce circa il 5% l’altro il 2,5%, annuale lordo.
«Prendiamo certamente quello con il 5%» mi risponde senza esitare.
Scontato (penso tra me, che ho voluto provocare il dibattito come sempre). Gli chiedo perché, volendo scoprire le carte del ragionamento.
«Perché il rendimento è più alto!», lo sventurato rispose…
Si fermi un attimo. Ci tengo. Lei ha preferito un high yield che da
kiid ha profilo di rischio 4. Lo sa cosa ha scelto? Alto rendimento, e dove c’è alto rendimento, lei lo sa (?), c’è alto rischio.
«Ma scusi allora è come prendere le azioni?», incalza.
Interessante. Almeno per me.
Alla fine cosa avreste detto voi a questo cliente? E sapete cosa ha scelto? Comunque, pur partendo dalle sue ferme premesse di investitore prudente, l’asset bond high yield.
Ma con un unico importante punto di riflessione, da fare con i nostri clienti proprio ora, in questi nuovi tempi: pensavamo, noi consulenti, che la fase più difficile fosse portare il cliente ad apprezzare i temi di investimento, ma la partita ora è forse più complessa. Perché il mio carissimo cliente, che conosco da anni, ha fatto fatica a
seguire i veri perché di quella scelta opportuna e da me condivisa, che non sono e non saranno mai identificabili solo nelle cedole, bensì anche e soprattutto nella bassa
duration delle obbligazioni sottostanti l’asset prescelto di investimento, se non anche nel fondamentale miglioramento della qualità del credito delle aziende emittenti di quelle obbligazioni.
Quasi non sentisse più nulla, addomesticato e calmato solo da quella promessa di cedola, il mio cliente reputava finito quell’appuntamento, ben prima che avessi deciso io di finirlo in funzione di una più lucida consapevolezza di dove sia il valore in quelle obbligazioni, così particolarmente simili alle azioni, perciò stesso ammalianti l’investitore. La più grande invenzione della Finanza. Per portare a investire tutti. Davvero quasi tutti. Purtroppo a volte (e qui sta a noi consulenti l’onere della prova…) senza tenere conto dei veri fattori per decidere di puntare lì proprio lì, sul fantomatico bond, l’high yield bond.