Oggi Zona Franca incontra il dottore commercialista e Revisore Legale Niccolò Di Bella, esperto di pianificazione fiscale/societaria, con particolare focus sugli aspetti successori e patrimoniali, di operazioni di finanza straordinaria e di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
È inoltre cofondatore e Amministratore Delegato di Nest, società che opera su tutto il territorio nazionale nella consulenza in materia di tutela di patrimoni, pianificazione successoria, operazioni straordinarie nell’ambito delle family business, oltre ad essere Trust Company.
Il Trust rischia di essere un termine noto ma non ancora compreso. “Come” si inizia a pensare a questo strumento?
Il Trust sta – fortunatamente – conquistandosi la “giusta” fama che merita, dopo anni in cui è stato additato come strumento utile solo a compiere atti in frode, in primis ai creditori (sotto la guida, occorre specificarlo, di professionisti compiacenti che evidentemente hanno prestato il fianco a certi disegni delittuosi).
Al Trust si inizia a pensare per molteplici motivazioni: l’età che avanza, le responsabilità imprenditoriali/professionali che crescono in scenari economici sempre più complessi, il desiderio di pianificare un futuro sereno per sé e per i propri cari. Le prime “sentinelle” dei nostri clienti spesso sono i consulenti finanziari, che godono di quell’elemento indispensabile per approcciare il tema: la fiducia (che in inglese, guarda caso, si traduce in “trust”).
“Quando” è bene pensare al Trust? A volte si pensa che sia troppo complicato, o per pochi eletti, quando invece è la soluzione più flessibile che ci sia. Mi sbaglio?
Chi conosce bene il Trust è consapevole del fatto che non esiste un momento giusto per pensarci, essendo uno strumento estremamente flessibile e mutevole, capace di adattarsi alle più disparate vicende personali e patrimoniali. E no, non si sbaglia affatto: occorre sdoganare l’idea del Trust appannaggio di pochi eletti! L’esperienza professionale ci porta a sostenere con convinzione che anche patrimoni più modesti si adattano a situazioni diversamente impossibili da affrontare con gli altri istituti tipici del nostro ordinamento.
Molto spesso, infatti, non esiste un piano B. Esiste solo il Trust. Possiamo al limite pensare al contratto di affidamento fiduciario, che con il Trust ha molte similitudini, ma attorno al quale a mio avviso non è ancora maturata la giusta esperienza – professionale e giuridica – che invece si è consolidata in materia di Trust, introdotto nel nostro ordinamento con l’entrata in vigore della legge 112/2016, la cosiddetta “legge sul Dopo di noi”.
“Perché” il Trust e non altro? Ossia, perché in alcuni casi il Trust è una soluzione più esaustiva di altri strumenti di organizzazione del patrimonio?
Il Trust è uno strumento flessibile, sicuro, capace di offrire protezione e di sopravvivere anche alla vita di colui/coloro che lo ha/hanno istituito. Caratteristiche rinvenibili solo nel Trust. Non esiste un piano B. Questo non significa che utilizzando altri strumenti, spesso in maniera combinata tra loro, non si ottengano soluzioni stabili ed efficaci: testamenti, holding di famiglia e società semplici (magari con l’utilizzo di qualche clausola statutaria particolare…), polizze vita, patti di famiglia, intestazioni fiduciarie. La “dispensa” offerta dal nostro ordinamento è ricchissima. Occorre però conoscere molto bene i singoli ingredienti per ottenere la ricetta perfetta!
Qui la provoco, lo so. In un mondo dove la moneta è anche virtuale, il Trust può rimanere efficiente come soluzione? I grandi investitori che hanno tanta liquidità e pure dovrebbero pensare al Trust per tanti motivi potrebbero non farlo proprio perché non saprebbero dove mettere le criptovalute… Lei che ne dice?
Se in Trust abbiamo visto conferire gli oggetti più strani e dato seguito ai desiderata più bizzarri dei nostri disponenti, direi che siamo pronti ad accogliere anche le criptovalute. Con tutte le precauzioni del caso, ovviamente. Le prime, nemmeno a dirlo, quelle in materia di antiriciclaggio e di adeguatezza alla disciplina sul monitoraggio fiscale.
Ultima domanda: come vede l’evoluzione del Trust nel 2022? O non la vede proprio?
A trent’anni esatti dall’entrata in vigore nel nostro ordinamento della Convenzione de L’Aja, relativa alla legge applicabile ai Trust e al loro riconoscimento, credo che vi siano tutti i presupposti per una diffusione maggiore di questo nobile istituto, anche e soprattutto in ambito societario. In tal senso mi pare che l’anno sia iniziato sotto il migliore degli auspici, dal momento che è recentissima la notizia che anche la famiglia Dallara (Dallara Automobili SpA) ha istituito un Trust per pianificare efficacemente il passaggio generazionale.
Con la speranza, tuttavia, che gli imprenditori inizino a prendere in seria considerazione certe soluzioni con un certo anticipo… Ricordo infatti un adagio che circola tra coloro che si occupano di pianificazione patrimoniale e successoria: «Non è mai troppo presto per una buona consulenza patrimoniale, ma può essere troppo tardi!».