Vi siete mai chiesti come mai certe serie televisive, come l’americana This is Us (guardatela: io ne sono stata catturata per giorni), o Una grande famiglia (anche questa davvero interessante) abbiano riscosso tanto successo? Come mai hanno quasi costretto, non scherzo, adulti a rimanere incollati allo schermo per seguire le drammatiche vicende di famiglie molto allargate? Importante, di famiglie non certo rappresentate dal tradizionale modello papà + mamma + uno o due figli e vissero per sempre felici e contenti?
Una risposta è dentro di noi. Meglio. È dentro le nostre stesse storie di famiglie tutt’altro che semplici, ognuna per qualche motivo o diversi motivi, particolari, che nella quotidianità travolta da faccende anch’esse tutt’altro che semplici, anzi evidentemente complesse, siamo costretti a non guardare, a non considerare neppure se non in singoli e fugaci attimi che tendiamo all’istante a censurare.
Semplicemente, e qui l’avverbio è corretto solo in apparenza, rimandandone l’epilogo, pensando che in fondo accadrà qualcosa che scioglierà i nodi, che farà sì che tutto magicamente trovi una strada. Come ragionassimo di quotazioni, di mercati finanziari, che alla fine, volenti o nolenti, accettiamo siano determinati dalla variabile tempo, con evoluzioni positive più che negative (almeno parlando di chi è disposto ad aspettare…).
Ed è per questo che si riconosce un ristoro, se non una vera catarsi emotiva, nello stare invece attenti, quasi incollati allo schermo, di fronte a quelle incredibili e drammaticissime storie famigliari in onda nelle serie che ci riportano a quanto non si vorrebbe mai affrontare personalmente, perché non ci si riesce a pensare, e che invece, magari con dettagli differenti, dove non ci aspetteremmo mai si presenta niente di meno che su una scena diversa dalla vita reale.
Le serie ci distraggono dalla realtà ?
Nelle interminabili serie televisive, sì. Che si vorrebbe non finissero mai, perché nel vedere colà rappresentate vicende famigliari più intricate che mai, si potrebbe immaginare o trovare una sana giustificazione del non potersi occupare realmente delle proprie. Al punto da prospettarsi un inaspettato paradosso, che si riscontra sempre di più in clienti con cui parlo, tanto disposti a riconoscere l’interesse per queste vicende narrate sullo schermo, quanto poco disposti ad affrontarle rispetto alla loro più personale situazione. Fino a renderli quasi immobili nel trovare soluzioni, o meglio, nel porsi domande sui propri, chiamiamoli così, affari di famiglia.
Capirete dunque perché ho ritenuto di puntare l’attenzione su una tra le questioni di famiglia forse più complessa, sospendendo per un attimo il parlare del mercato finanziario. Apparentemente, tuttavia. Perché alla fine l’obiettivo è sempre lo stesso: parlare di finanza, ma in modo diverso. E qui la diversità sta nel fatto che solo apparentemente questa è una distrazione dalla questione più importante che cattura l’attenzione dei clienti.
Fermare infatti l’attenzione su certe questioni di famiglia, in primis quella che la scena del film ironicamente mette al centro (la comunione ereditaria), potrebbe quasi costringere, anche solo per un attimo, a spostare questa stessa attenzione dall’andamento del patrimonio finanziario che fa guardare fuori dalle circostanze della famiglia, a quello che è il più importante andamento, solo apparentemente sullo sfondo della premura finanziaria dei clienti: la relazione tra i famigliari. Dalla quale dipende, alla fine, e nel tempo, il vero ritorno sull’investimento.
Ma il patrimonio familiare dovrebbe interessarci…
Non penso di dire qualcosa di strano se vi metto davanti la prospettiva che il ritorno sull’investimento, quello fatto per la famiglia, iniziato pensando al guadagno nel tempo dei risparmi messi da parte e degli immobili acquistati, dovrebbe sempre tenere conto dell’evoluzione della famiglia, o meglio della gestione dei rapporti all’interno di essa.
E invece spesso l’errore che si fa in consulenza è quello di distinguere o interrompere la questione finanziaria, dei mercati, per parlare delle questioni che alla fine governano l’andamento di quel patrimonio cui da sempre e giustamente il cliente tiene.
Pensiamo infatti al trailer del film citato, dal titolo emblematico Insieme per forza. Protagoniste due famiglie molto particolari, costrette a vivere insieme. Vi dice qualcosa? Nel film va tutto per il verso giusto, e non vi è neppure la drammaticità di certe serie.
Perché le due famiglie solo inizialmente si ritrovano a stare insieme per forza, ma alla fine… arriva l’amore tra i due protagonisti e quindi «a mille ce n’è.…», e la storia finisce come tutti vorrebbero. Bene.
Ma è proprio sull’insieme per forza che occorre riflettere per toccare una delle questioni più complesse da gestire, quando capitano eventi che mai si vorrebbero vivere, e che costringono, lì sì e finalmente, ad affrontare la cosiddetta divisione ereditaria del patrimonio. Famigliare. Si pensa, e gli incontri con i clienti me lo confermano sempre di più, che la storia faccia il suo corso, e che la legge sulle successioni faccia altrettanto.
Motivo per cui, insisto, comune e frequente è la considerazione che in fondo i figli «in qualche modo faranno», ricevendo la loro quota.
Peccato che non vada proprio così, pensando alle cosiddette comunioni ereditarie in cui gli amatissimi figli si ritrovano, a proposito di immobili.
Ed è qui che quell’insieme per forza, cui gli amatissimi genitori o comunque detentori di patrimonio in devoluzione non avevano pensato o avevano scelto di non pensare, diventa un epilogo con risvolti che potrebbero ricordare, ora sì, le vicende delle serie di cui parlavo all’inizio: interminabili e, soprattutto, con esiti non certo evolutivi per il ritorno sull’investimento cui originariamente chi aveva pensato a quelle proprietà puntava.
Fratelli coltelli, soprattutto se sono tanti
Devo dire che lo spunto non mi è venuto solo dal titolo e dalle vicende di un film. Perché questa volta, la realtà ha superato l’immaginazione cinematografica, nel racconto di una persona incontrata per caso durante il mio soggiorno estivo. Sapete come succede, parlando parlando, prendo atto di come, a distanza di anni dalla morte del padre, il mio interlocutore si sarebbe ahimè ritrovato a dover vivere per forza con i suoi cinque fratelli la comunione ereditaria di diversi immobili e terreni.
Ma la comunione ereditaria di quote immobiliari non sarebbe neppure il punto, perché quello che è successo a quest’uomo – che ringrazio per avermi dato esempio di quanto la realtà possa essere complessa e mettere a rischio il patrimonio – è che l’essere insieme per forza di questi sei fratelli, anche se non conviventi come nel caso ironico del film (che, ripeto, ha un happy end), ha finito per essere la loro più grande sventura, a tutt’oggi irrisolta e senza ipotesi di soluzione.
Guarda caso, in ragione di una motivazione immediata: le relazioni da sempre complesse tra quei sei fratelli, che solo apparentemente sono le relazioni che ogni fratello vive nella comproprietà di quei possedimenti.
Perché ognuno di essi non può che essere identificato attraverso la sua famiglia, quella costruita nel tempo. Al punto che la vera comunione ereditaria, vicenda così apparentemente facile da spostare nel tempo, al punto da non essere mai stata affrontata da chi ne aveva i poteri prima di venire a mancare, ha finito per trasformarsi in una comunione forzata all’interno di una famiglia non fatta di sei fratelli ma inevitabilmente di quegli stessi legami da essi costruiti nel tempo con coniugi, conviventi, e figli. Continua…
Un finale scontato
In tutto questo vi chiedete ancora perché non abbia parlato di ritorno sull’investimento in questa occasione? Perché pensate che, nel caso narrato, un patrimonio famigliare non gestito in una corretta divisione di quote, soprattutto relativamente a proprietà immobiliari per non dire aziendali, possa avere alla fine un ritorno diverso dalla sua inevitabile degenerazione?
Le riflessioni sono tante. Ma soprattutto le soluzioni preventive. Forse è il caso di interrompere per un attimo le serie e guardare sullo schermo un’altra vicenda, quella personale. Io ho scelto da tempo di occuparmene per i miei clienti.
Alla prossima!