Anche Calenda ha fatto il passo!
Ebbene sì: il leader di Azione Carlo Calenda, da giovane, senza soldi, quando si è trovato costretto a reagire, si è buttato a fare il consulente finanziario.
La notizia periodicamente ritorna: ripresa in questi giorni in un’intervista dal Corriere della Sera, era già stata pubblicata nel 2019 (sempre in marzo! quasi una ricorrenza…) da Citywire.
Ma cosa c’è di tanto interessante (se c’è)?
Fa scalpore che la professione del consulente finanziario venga anche solo per un momento confusa con quelle professioni da battitore libero come il venditore porta a porta, il venditore di enciclopedie, quasi queste fossero “incapaci” o insulse rispetto alla giacchetta del vero consulente finanziario.
Su Bluerating, Astorri osserva:
Subito l’articolo è stato condiviso da diversi consulenti sui social che, nel commentarlo, si sono divisi sue due tipi di osservazioni: “Fortunatamente oggi il consulente finanziario è una figura professionale di ben altro spessore rispetto alla rappresentazione del venditore porta a porta come simpaticamente descritto sul Corriere della Sera”.
Cosa vuol dire “spessore”?
Mi fa piacere che Astorri citi il dibattito salvando l’esperienza di Calenda che, all’epoca disperato, non sapeva come fare per vivere e prendersi le sue responsabilità genitoriali un po’ premature, parlando di «naturale evoluzione tra vecchio e nuovo».
Ma, scusate, vorrei aggiungere un aspetto.
A quelli che, da veri (?) consulenti finanziari, pensano che la professione del consulente finanziario ai tempi dello sventurato Calenda (non me ne voglia) vada assolutamente distinta dallo spessore che ora «finalmente e indiscutibilmente» (questa certezza che hanno certuni mi costringe a reagire) e per fortuna caratterizzerebbe il professionista della finanza, a costoro vorrei dire che tornare sulla strada farebbe bene un po’ a tutti.
Le telefonate a freddo, forse non le visite, la capacità di rischiare, di mettersi in discussione approcciando un “nuovo” cliente con un comportamento più naturale e meno costruito, aiuterebbe a evitare il comportamento standard che talvolta si tende a tenere con i clienti abituali.
Le certezze dello spessore non si sposano con la sana voglia di crescere che, da sola, nella nostra professione, accanto alle irrinunciabili competenze che hanno trasformato il consulente finanziario in una figura giustamente diversa da un tempo, può rendere il consulente ancora disponibile, in modalità anche personali, ad ampliare la propria rete di clienti.
E forse, mi permetto, la certezza di avere quel fantomatico spessore che renderebbe i consulenti finanziari di oggi assolutamente imparagonabili con l’esperienza narrata dal parlamentare europeo, è il più delle volte la giacchetta troppo tirata che fa vedere al cliente invece di una persona, un consulente punto e basta.
Ma se basta questo – sapete come la penso – non è il caso di parlare se non di tecnico di settore.
E qui forse è vero che lo spessore fa oggi quella differenza per cui l’«improvvisamente consulente finanziario» Carlo Calenda non avrebbe argomenti per rientrare nel confronto.
Alla prossima!