Che brutti scherzi fa la memoria!
In occasione di uno dei primi incontri dell’anno con un mio cliente (da remoto al momento), mi è tornato in mente il passaggio centrale di questo film, Affari di Cuore (1991), non recente ma davvero bello e interpretato magistralmente da due dei miei attori preferiti, Jack Nicholson e Marilyn Streep. La vicenda si sviluppa attorno alla storia d’amore nata tra i due protagonisti Rachel e Mark, non più giovanissimi, che, incontratisi ad un party, si innamorano follemente e nel brevissimo arrivano anche a risposarsi dopo vari matrimoni falliti, e addirittura a mettere su famiglia. Arriva così il primo figlio e via…
Ebbene, i fatti della vita personale, come capita ai vivi, trascinano entrambi in un turbinio per non dire follia di eventi che li portano a distrarsi, diciamo così, dall’attenzione a ciò che v’era di più caro e prezioso, la loro vita insieme e le loro emozioni, per seguire il tunnel della paura delle necessità del vivere, dai pannolini del piccolo alle urgenze conseguenti.
Fino all’esito che si configura essere assolutamente non inevitabile (perché non sono ancora tra quelli che ritengono che l’amore sia eterno solo finché dura) e tuttavia possibile: il tradimento. Fatto che travolge lui, senza che lei, presa più di lui dalle vicende della vita, riesca ad accorgersene finché un giorno, proprio nel momento in cui vorrebbe concedersi un momento di evasione, la sventurata ne prende coscienza per puro caso, dalla chiacchiera indiscriminata di una cliente anche lei presente all’agognato appuntamento dal parrucchiere.
Ma perché sono arrivata a farmi trascinare proprio da questa vicenda, che per molti versi non solo passa inosservata ma spesso neppure ci costringe a riflettere su alcunché? Perché penso che, invece, nell’esperienza della consulenza ci possa portare ad agire diversamente da come faremmo istintivamente.
Premetto: se c’è una cosa che difficilmente tolleriamo, noi consulenti, è di essere attaccati su quello che abbiamo fatto.
Ci risulta insostenibile pensare che proprio noi, che nasciamo per essere la Soluzione del Male del portafoglio, passatemi l’esagerazione, possiamo anche solo lontanamente finire per essere identificati come coloro che possano averlo peggiorato o addirittura distrutto.
Eh no, se qualcosa abbiamo fatto, lo abbiamo fatto senz’altro a regola d’arte. Be’ le cose non stanno sempre così, e un po’ di autocritica non guasterebbe, ogni tanto. Ma è altrettanto vero che il cliente spesso sembra farlo apposta a non guardare quello che ha fatto lui, e ai danni che ne possono risultare nel tempo, qualora non accetti una consulenza e, piuttosto, tenda a spostare all’esterno il problema (oggi uso volutamente questa brutta parola che andrebbe allontanata dai testi e dal cuore), e a identificarlo con estrema facilità nel capro espiatorio più noto della finanza, il consulente appunto.
Bene. Dipinto il quadro, vi riporto esattamente il messaggio ricevuto da un mio cliente giorni fa.
«Ho visto che gli investimenti sono a meno quattro!». Premesso che l’orario in cui normalmente arrivano questi messaggi, ahimè, non è mai quello giusto – o alle 8.00 o dopo pranzo (ma questo lo dico solo per ironizzare un po’…) – io normalmente ho imparato a non rispondere più di impatto. Perché quando il cliente scrive così sono chiare due cose: innanzitutto, che non sta parlando di quello che ha fatto lui, sì insomma del suo giardino più vicino, quello che dovrebbe balzargli agli occhi più immediatamente perché ci convive da anni (per ritornare all’emblematico film da cui siamo partiti); in secondo luogo, che sta alludendo, senza accorgersene, all’aspetto più sensibile e capace di colpire nel segno il consulente e il suo fantomatico “ego”, identificato nell’asset che ha da sempre la fama di perdere di di più: l’azionario.
Così, a ben guardare il messaggio del cliente, invece che essere semplicemente il motore di un distruttivo effetto a catena di emozioni, in realtà poteva diventare, come di fatto è stato, lo spunto, l’occasione per mettere a tema due aspetti su cui riflettere per la vera e opportuna risposta da preparare. Attenzione, non da improvvisare, non per un tema di strategia ma per rispettare quello che è il nostro compito, fare consulenza, cioè fargli capire quanto agli asset da lui precedentemente opzionati e non dismessi, quindi le sue scelte personali di investimento, fossero meno resilienti nell’ultimo periodo, rispetto agli investimenti da me più recentemente inseriti nel portafoglio e, secondo aspetto non meno importante, quanto fosse da considerare dove rilevava la maggiore volatilità, in quale asset particolare, con quali caratteristiche e soprattutto in quale percentuale del portafoglio.
Così al mio cliente, che nel suo messaggio come capita spesso tendeva a guardare fuori dal suo per trovare il colpevole, invece che concentrarsi o almeno valutare l’insieme del portafoglio e trovare forse il vero punto di attenzione, ho risposto così (vi riporto esattamente il testo del messaggio): «Le faccio un piccolo riepilogo mentre attendiamo di vederci, rispondendo al suo messaggio.
Lei mi ha scritto che gli investimenti perdevano il 4% … Ma non ha visto tutta la posizione. Lei ha guardato l’unico fondo azionario che, in effetti, ha esattamente quella flessione di capitale che lei cita. Invece gli altri (obbligazionari) che abbiamo in portafoglio hanno tutti una volatilità al di sotto del trend degli ultimi tempi. E il peggiore sa qual è? Il Btp 2027 che dal 12 novembre scorso perde l’1,77%.. ».
Le cose sono andate esattamente così. E così si ripetono nel tempo.
L’investitore ha sempre le stesse due tentazioni.
Quella di guardare il non suo, ma il fatto dagli altri, e questo gli impedisce di risolvere spesso il vero problema del portafoglio, quasi volesse a tutti i costi difendere il suo matrimonio finanziario con l’asset a lui più emotivamente congeniale (non vorrei sempre identificarlo nel BTP, ma ahimè capita sempre più di frequente man mano che si va avanti, a meno di colpi di scena di spread!).
E, seconda tentazione, direi quasi alla seconda potenza, quella più pericolosa di concentrarsi sulla ferita apparentemente o almeno immediatamente più dolorosa, quella che va attribuita alla quota di portafoglio investita nell’asset che chiamasi investimento tout court, l’azionario, addirittura trasformandola nell’onta dell’intero investimento (nota bene, alludendo sempre come investimento solo a quello fatto dal consulente, la sua porzione, ben distinta da quella del suo originario guardino perfetto), quasi il consulente si fosse permesso di non fare valutazioni di diversificazione alcuna e ancora meno di pesi di portafoglio nel decidere di inserire proprio quell’asset, quello che perde più degli altri.
Ma se l’investitore è e sarà sempre così, perché è come tutti gli esseri umani, tanto attento alle vicende apparentemente più importanti da non riuscire ad accorgersi di quelle che dovrebbe risolvere, o su cui dovrebbe concentrarsi da subito (e non se ne accorge neppure in momenti di evasione come la protagonista del film dal parrucchiere!), spetta a noi consulenti (e quale grande occasione si rivela essere!) riprendere proprio in quei momenti la storia del portafoglio del cliente, capendo dove stia il vero focus di attenzione, preferendo questa esperienza senz’altro più faticosa ma più affascinante e appagante, rispetto a un agito puramente emozionale e reattivo, che alla fine sarebbe solo l’inevitabile espressione limitante del nostro ego, invece che la manifestazione di un’ulteriore possibilità di consulenza finanziaria.
Alla prossima!