Saper disinnescare. Una cosa l’ho imparata anche io. Da consulente finanziaria.
Mi preme stare su questo che ritengo essere non un punto su cui riflettere, quanto piuttosto una presa di consapevolezza sempre più necessaria visto come si è evoluto (o involuto, dipende) il mercato finanziario quest’anno.
Ancora prima, visto come lo si è affrontato in quello che chiamiamo sempre, piuttosto banalmente, “approccio all’investimento”, che è andato definendosi nella domanda d’effetto di tutti i tempi (anche il nostro dunque): «Sì ma se vendo dove investo?», o ancora, «sì ma se decido di investire la liquidità, dove farlo?».
Ed è qui che la consapevolezza di quello che si deve aver imparato quest’anno nel lavoro della consulenza emerge, per tutti coloro che non hanno mancato al loro appuntamento con il cliente, con l’investitore. Perché in questa sede, la consulenza finanziaria, si è assistito più che a un approccio o a un orientamento da parte dell’investitore, a una resa, che si concretizza in una espressione forte e non traducibile in altri termini: non ne vale la pena.
Attenzione, le parole hanno sempre un significato. L’investimento non varrebbe la pena, non giustificherebbe la pena che si deve attraversare, accettare per vedere, forse, un giorno, l’agognata rivalutazione del capitale.
Riportare le cose nel loro ordine
Di fronte a queste rese, a queste dichiarazioni di non voler fare o andare avanti, di non rischiare o addirittura di non rischiare “più”, si deve aver capito – e vale per tutti coloro che fanno il mio lavoro – che il compito primo, antesignano di ogni consulenza che si possa erogare, sia quello di disinnescare.
Disinnescare cosa? La scena del film che vi ho proposto, dico la verità, quando l’ho guardata la prima volta non l’avevo colta nella sua efficacia. Ma, come dicevo, le parole hanno sempre un significato, soprattutto se dette con consapevolezza.
Come in quella scena, dove il punto è questo: si arriva a capire che non serve, non aiuta ad andare avanti, non è efficiente insistere nell’irruenza, nella provocazione, nella reazione, nell’esasperazione e via dicendo. Si arriva a capire che occorre disinnescare per riportare le cose nel loro ordine. Mi sono permessa di tradurre la scena portando a casa il senso che mi occorre. E se pensate che non c’entri con gli affari di cui qui si discute, vi sbagliate.
All’origine non ci sarebbero solo i fatti, bensì la loro traduzione nelle notizie sui quotidiani. Che quest’anno più che mai hanno fatto la differenza, innescando momenti di esasperazione nel mondo dell’investimento. Una stampa che ha fatto notizia più che dare notizie. Una stampa che, solo guardando questa settimana, ha fatto intendere che non valga la pena investire. Soprattutto in quelli che si erano tradizionalmente identificati come trend, per non parlare dei nuovissimi megatrend. C’è di che farne un elenco.
L’elenco dei trend sgonfiati
Partendo dal tecnologico, si parla di 100 mila licenziamenti nelle Big Tech americane. Sul fronte alimentare, Beyond Meat, una delle principali aziende nel settore della carne vegetale, moda alimentare degli ultimi tempi, è costretta a rivedere le sue previsioni. Ma non è tutto.
Anche la nuova frontiera del Metaverso ha frenato di colpo (e che colpo!), visto che proprio colui che ha dato un nuovo nome alla sua azienda ispirandosi a questo incredibile megatrend del non tangibile ha agito tagliando, o meglio, abbattendo la costruzione di un sogno. D’altra parte, si è scritto anche di analisi di mercato che dimostrerebbero quanto il lusso fisico faccia ancora la differenza rispetto alle vetrine metafisiche vantate dal nuovo universo digitale…
In tutto questo “montato a neve”, in prima linea il settore tecnologico e le nuove frontiere a esso collegate, ci sarebbe spazio per trovare conferma di un’assoluta opposizione a mettere a rischio il proprio capitale. Perché, diciamocelo, se proprio il mondo dove più capitali si sono messi alla prova per dimostrare valore (il settore tecnologico), va in crisi, come si potrebbe ancora parlare di…. investimento?
Ora prendiamo fiato perché forse, leggendo questo genere di notizie, siamo entrati in quel sentimento all’origine della necessità di disinnescare, da parte dei consulenti finanziari. E lo possiamo fare, se valutiamo attentamente, in due modi. Manca il terzo, come si vorrebbe in tutti gli elenchi fatti bene per stimolare l’attenzione. A meno di sorprese, vediamo…
Tra Equity e obbligazioni
Il primo punto parte da una intervista al fondatore di Satispay, Alberto Dalmasso. La sua azienda vale 1 miliardo di dollari. Intervistato, Dalmasso ha detto che nonostante le difficoltà che affronta per la diffidenza del sistema bancario (che strano!) e le difficoltà burocratiche per assumere, l’obiettivo è rimasto lo stesso: cambiare il mondo. E ancora, interrogato su cosa voglia dire essere ricco, ha risposto che non consisterebbe nel vendere e nel monetizzare il guadagno della sua impresa, quanto piuttosto nel tenere desto il progetto del cambiamento delle cose.
Il secondo punto lo prendo da un contesto diverso, per mantenere il bilanciamento nell’asset allocation. Non parlo di Equity, come ho fatto con Satispay, e mi sposto sul fronte obbligazionario per disinnescare, anche qui, un movimento che paradossalmente sembrerebbe andare dalla parte opposta.
Perché, se nel caso del mondo azionario l’opposizione è sempre più orientata a mantenere un atteggiamento disilluso e contrario alla possibilità che l’investimento possa valere di nuovo la pena, nel mondo obbligazionario sembra che l’investitore continui a pensare che la questione del debito si risolva sempre e pertanto, se proprio si dovesse investire, lo si farebbe al meglio (o alla peggio, secondo il punto di vista) solo sulle obbligazioni che danno sempre a scadenza un interesse certo.
Qui disinnescare è difficile, perché l’anno che volge al termine sembra non avere insegnato nulla. Quasi si sia riusciti a intercettare la parte del torto solo sull’Equity, sulle azioni, e sulle peggiori, di cui il mondo tecnologico ha mostrato esempi.
E mentre sull’Equity disinnescare l’opposizione all’investimento può passare attraverso la memoria di cosa voglia dire mettere un capitale in progetti di cambiamento, come Satispay racconta, quando si passa alle obbligazioni non si tratta di disinnescare una opposizione all’investimento.
Piuttosto di disinnescare, all’opposto, un’esasperata e incomprensibile fiducia in questo genere di asset, su cui si discute senza che l’investitore, nonostante quest’anno, si renda conto di cosa sia necessario prendere in considerazione per fare questo investimento, ossia – è bene ricordarlo – conoscere bene l’emittente e la qualità del suo debito. Senza, oramai, quasi, nessuna differenza con l’Equity, dove si sa bene (e in questo caso non si fa fatica a ricordare), che è fondamentale avere presente l’azienda e la qualità del suo bilancio.
Un doppio passo indietro
Eccoci qui allora al terzo punto che sembrava mancare. Il terzo punto è una pacifica ammissione, e mi aiuta il favoloso protagonista della scena che vi ho riportato inizialmente, quando dice che saper disinnescare vuol dire non trasformare ogni discussione in una lotta di supremazia, e poi scende nel particolare dicendo che le uniche coppie che ha visto durare sono quelle in cui uno dei due fa un passo indietro.
È vero, qui parliamo di approccio all’investimento, e di disinnescare movimenti che potrebbero portare a dire che non varrebbe più la pena investire. Ebbene, forse è il caso di far capire all’investitore che occorre fare un passo indietro rispetto ai due comportamenti infondati che ho riportato sopra, l’uno quasi disilluso sulla progettualità del contesto azionario, considerato nella sua veste più messa alla prova, il settore tecnologico, e l’altro più ancorato al fronte opposto, quello delle singole obbligazioni, che rappresenterebbero l’alternativa vincente anche ora (e sempre).
Ma guardate agli esempi che sinora avrebbero restituito interessi certi a scadenze certe. In entrambi i casi si evidenziano casi limite che darebbero manforte, nel primo caso, a un decisivo allontanamento, e nel secondo a una accettazione incondizionata, a prescindere dalla valutazione dei fondamentali.
Eccolo allora il vero passo indietro, ecco il risultato della nostra (dei consulenti finanziari) capacità di disinnescare quei due meccanismi: riuscire a far tornare i clienti a ragionare sui fondamentali, e prima ancora ad ammettere la necessità di farlo in entrambi i casi, azionario e obbligazionario. Proprio quei fondamentali che non sono, e non saranno mai, identificabili nelle notizie date (o fatte) dalla stampa. Anche se le notizie quest’anno hanno fatto di quei fondamentali quasi dei “perfetti sconosciuti” nella comprensione di dove si possa, e si debba, ancora, investire.
Alla prossima!