Bias Cognitivi
Noto sempre più di frequente come in momenti come questo, dove non si contano i tentativi di provare a comunicare una visione chiara di quello che sta accadendo sui mercati finanziari (mi limito a questo aspetto, sebbene sia solo uno degli esiti di una situazione realmente complessa), si torni a parlare dell’arcinota tematica dei bias cognitivi.
Si tratta dei cosiddetti “scivoloni mentali” – passatemela – cui l’investitore sarebbe ahimè soggetto nell’esercizio del suo ruolo.
E questo rispolveramento, qui è il punto, lo si fa non già per smascherare l’altrettanto dolente nota degli atteggiamenti correlati, questa volta di investitore e consulente finanziario.
Al contrario, piuttosto, per confermare come alla fine (o anche all’inizio?) sia tutta una questione di governo delle emozioni o delle errate visioni su cui dovrebbe cimentarsi, o almeno provare a farlo, lo sventurato consulente finanziario (una mia cliente mi ha detto in questi giorni: non la invidio per nulla, sa, nel suo lavoro, come fa?, e io l’ho ringraziata perchè ho capito cosa intendeva).
Vengo al punto
Mi ha sollecitata su questo un articolo di professional advisor online dello scorso 28 febbraio. L’ho letto (se avete tempo fatelo anche voi) a pranzo, e cercavo una pubblicazione diversa di quelle che per un attimo ti “staccano il cervello” dai dettagli che in questi giorni si leggono in ogni dove.
Ma alla fine, colpa del mio cervello che ogni tanto potrebbe darsi una benedetta tregua e lasciare andare, mi sono detta: e quindi?
Ok, sapevamo che i tre bias citati nel pezzo sono determinanti e fuorvianti e, lo ammetto, potremmo anche essere interessati a capire, come fa il pezzo, come nel periodo 2019-2020 abbiano in qualche modo abusato della loro posizione dominante, divenendo indiscussi padroni delle decisioni di investimento, o meglio delle scelte di disinvestimento. Ma alla fine del pezzo vi è un rimando alla solita questione, che vi cito testualmente.
Tutti in qualche misura – proprio perché umani – siamo affetti più o meno inconsapevolmente da queste distorsioni. La vera domanda quindi è: alla luce di tutto questo, c’è modo di contrastarle? La risposta è proprio nella consapevolezza.
Dunque sapere di che si parla è il modo, l’unico sembra, per affrontare e controllare le situazioni concrete in cui questi bias, protagonisti di sempre della volatilità, potrebbero essere fronteggiati e alla fine gestiti da chi dall’altra parte della scrivania avrebbe da sempre, o almeno da quando esiste la consulenza finanziaria, il compito di far prevalere la razionalità.
Ora passo dalla parte della scrivania di cui stiamo parlando e faccio coming out (si dice così?), affermando con decisione, osando farlo, che proprio questo risulta non praticabile (evito di fare ricorso alla parolaccia impossibile, perché sarebbe assoluta, mentre arriveremo a capire che in qualche modo si vive una sorta di soluzione in queste circostanze).
E quindi mi viene da dire che possa risultare inutile continuare a scriverne, limitandosi a citare dove stia il bene e dove il male. Piuttosto può essere interessante attardarsi nel declinare qualche evento correlato a questi fantomatici bias. E gli esempi in questi giorni si moltiplicano.
Partiamo dalla overconfidence, primo indagato speciale
Domanda. Immaginate di incontrare un cliente con portafoglio in guadagno a fine anno, sicuro di sé non sapete quanto, al punto da decidere di convogliarne parte, quella in guadagno, verso un’operazione di finanza straordinaria che richiede appunto il trasferimento di un asset a garanzia.
Di fronte a questa sua evidente manifestazione di overconfidence, e lo dico perché da sempre si attribuisce il merito del guadagno quando c’è, gli avreste detto di realizzare il risultato, per poi passare all’ulteriore operazione di investimento, insinuando così che la sua overconfidence non fosse appropriata fino in fondo? Eccoci qui. In realtà sì. Avrei potuto farlo, lo ammetto. Ma a costo di fargli notare che in quell’occasione sarei stata io a fare la scelta giusta (come accaduto in altre occasioni, da lui non riconosciute!).
Questo è forse l’errore in cui cadiamo noi consulenti, perché siamo noi stessi a seguire l’onda, ovvero a doverla inseguire per non contraddire il cliente, che spesso si aspetta di essere riconosciuto nella sua overconfidence! E il prezzo sapete qual è? Il disappunto nel constatare che, a ridosso di un mese, il patrimonio ha perso il valore, con il giudizio del cliente che la responsabilità sia stata, in questo caso sì!, ovviamente del consulente. Dilungarsi in retorica non serve, con frasi del tipo: poteva insistere nel farmi vendere… o altro.
Veniamo al secondo bias
Effetto gregge. Qui veramente c’è da dire tanto. Il cliente guarda sempre l’erba del vicino, e la guarda anche rispetto alle perdite, non solo ai guadagni. Si può forse evitare che un cliente venga a dire che i suoi conoscenti hanno subito perdite ultimamente, ma che non gli sembrano sconvolti? No, non si può evitare, direi. Succede e succederà sempre, e la razionalità non è in grado di governare questo bias.
Piuttosto è possibile, ovvero possiamo farlo accadere, che il cliente stesso sia costretto a fare i conti con la realtà. Così gli ho risposto in merito a questa esperienza di confronto: ma lei sa cosa hanno comprato? Durata? Volevano guadagnare come lei? Quanto? Su quale orizzonte temporale?
Questa dinamica interlocutoria serve ad abbattere il bias in questione? No. Ma forse può lasciare il cliente con qualche perplessità in più rispetto alle sue convinzioni dettate da quel meccanismo mentale.
Infine, ma non per importanza, ecco la protagonista indiscussa di questo periodo amaro.
Si chiama avversione alle perdite, il bias cui tutti vorrebbero non pensare. Così lo dettaglia il pezzo da cui ho preso spunto:
La ricompensa deve essere più del doppio di quanto perso per cancellare la sofferenza. Questo porta da una parte a chiudere investimenti profittevoli molto prima del tempo per paura che poi il mercato “si giri” e dall’altra a rimanere fuori dal mercato a leccarsi le ferite una volta che la perdita si è realizzata.
Non ci sono gestioni che tengano, non ci sono analisi che risolvano. Nessuno vuole perdere, e l’investitore nasce avverso al rischio (Markovitz docet). Quindi non mi attardo a raccontarvi una telefonata ricevuta il mattino dopo lo scoppio della guerra, di cui purtroppo leggiamo tutti i giorni ormai.
Vi dico solo che nella richiesta di una mia cliente di eseguire subito un ordine che avevamo condiviso giorni prima, e nel suo disappunto che io non lo avessi ancora fatto (a ragione!) c’era tutto meno che la razionalità. Ma questa è la dialettica che bisogna affrontare, non ci sono psicologi che tengano. E non lo dico con un tono sprezzante rispetto a questi eventi. Anzi. Lo dico consapevole che a volte bisogna fare proprio quello che chiedono i clienti, anche se non siamo d’accordo.
E dobbiamo farlo proprio per poter poi capire a posteriori non chi avesse ragione, logica più tipica dei nostri clienti, ma piuttosto come la storia si ripeta e possa essere, lei sì, ascoltata per fare le scelte più corrette, magari un’altra volta, speriamo non in circostanze come quella che caratterizza la nostra attualità. È una modalità per gestire questo bias così inevitabile, umanamente? No.
Ma sicuramente serve a capire che, seguendolo, si potrà portare il cliente a coglierlo lui per primo, magari da solo. Verrà un giorno in cui sarà lui a dirci che non è il caso di prendere decisioni importanti in momenti di flessione di mercato? Può succedere. Alcuni miei clienti hanno iniziato a considerare che la storia davvero insegni. E speriamo che lo faccia anche questa volta.
Alla prossima!