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Domani è un altro giorno: perché non siamo più capaci di rischiare

Gli investitori si emozionano per le azioni che salgono, e si deprimono per l'affacciarsi dell'inflazione (che tra l'altro non è un nemico). E se ricominciassimo tutti a considerare il rischio parte della realtà?

Marzo 8, 2021
Domani è un altro giorno: perché non siamo più capaci di rischiare
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

investitori Domani è un altro giorno

«Dopo tutto… Domani è un altro giorno!» Eccola qui, Rossella O’ Hara, splendida nel capolavoro mai dimenticato Via Col Vento! Lei che, prendendo un grumo di terra e stringendolo nel pugno, in lacrime per la sua caduta in disgrazia, guardava avanti sperando nel domani. Così Rossella, ma potremmo ricordare anche il Magnifico De Medici con il famoso del doman non v’è certezza...

Ma allora da che parte stare?

Nella dimensione del «domani è un altro giorno» a ridosso di “prove di storno” come si sono viste nelle ultime due settimane, o preferire la visione alla De Medici, mai certi, soprattutto del domani?

Prendo spunto da un interessante articolo di Jonathan Gregory apparso su lamiafinanza.it il 26 febbraio  – Il paese degli orsi: consigli di sopravvivenza per investitori incauti – dove si dice:

L’errata valutazione dei rischi di un particolare ambiente, che induce a non adottare precauzioni adeguate, rappresenta uno dei pericoli più temibili anche per gli investitori.

Quest’affermazione si dimostra valida soprattutto oggi, in un momento in cui le misure politiche introdotte a ondate successive hanno protetto gli investitori dalla volatilità dei mercati, soffocando sul nascere molti dei potenziali mercati orso. I meno accorti potrebbero trarne la fallace conclusione che, in questo nuovo mondo, la maggior parte dei rischi sia stata eliminata.

È tempo di tornare alla realtà, insomma, niente di più.

Ripeto, niente di più. Eppure è così difficile per l’investitore essere realista. Difficilissimo.

L’investitore passa dall’idealismo più sfrenato, alimentato dal suo essere illuminato e ispirato dalle aspettative incorporate nella crescita degli asset (contraddette il più delle volte da una realtà economica e sociale disarmante), al depressismo (fatemi usare questo termine, almeno qui, per evitare di effigiare l’investitore con termini medici troppo aggressivi) in caduta libera all’insorgere di fenomeni assolutamente prevedibili che però aveva rimosso nel suo continuo alimentarsi a suon di mercato positivo.

E non voglio più ricordare quanto sia d’effetto la contraddizione che stiamo vivendo da oltre un anno tra Borsa e accadimenti reali!

Ebbene, proprio al palesarsi di una dimensione normale, in cui si affaccia la possibilità che gli interventi delle banche centrali con i vari bazooka di liquidità e le straordinarie iniziative di politica fiscale (e qui parliamo soprattutto di USA, con l’ultimo stimolo di 1,9 trilioni di dollari approvato nel weekend), portino al risultato sperato (inflazione, tassi, ovvero, le parole che non ti ho detto per troppo tempo…), l’investitore torna ad essere irreale, o meglio incapace di stare, di sottostare al mondo finanziario.

Paradossalmente, proprio nel momento in cui sembrerebbe che questo mondo si possa finalmente avvicinare a una lettura della situazione economica in graduale cambiamento positivo.

L’errata valutazione dei rischi, dice l’articolo citato, che induce a non adottare precauzioni adeguate. Sapete che negli ultimi tempi i clienti mi chiedevano di smantellare l’oro? «Perché da inizio anno non fa che perdere (10%!)», evidenza comune.

Certo, perché l’oro ha importanti reazioni in ambito di shock di sistema, lo abbiamo visto, e costa, ci costa un po’ di più tenerlo in portafoglio quando, di fatto, altri asset vanno per la maggiore, ma soprattutto quando salgono i tassi di interesse proprio perché l’oro non paga interessi.

E allora occorre chiedersi, come ho chiesto al mio cliente: siamo pronti a smantellare l’oro solo in ragione di movimenti ben più interessanti nel mercato azionario e, in questi giorni, in conseguenza di un rialzo dei tassi paventato e di un’attesa di inflazione che sembrerebbe nuovamente affacciarsi?

Forse è il caso di chiedersi come mai l’oro non abbia apprezzato proprio questa attesa: forse perché si è ancora ben lontani da questo evento? E se fossimo davvero arrivati al punto, magari l’oro lo rifletterebbe davvero…

Ripetiamo come un tormentone: «L’errata valutazione dei rischi induce a non adottare precauzioni adeguate».

Ancora, mi è stato chiesto di spostare asset obbligazionari a breve termine costruiti per un riposo di liquidità, per andare sulle ben più fiammanti e roboanti linee d’effetto rappresentate dai trend, dai big trend. «Scusi, lì guadagno e qui non prendo niente!» Classicamente l’investitore rispose… Salvo poi accusare il colpo – il colpetto direi – di questi giorni. Normale. Ripeto, normale.

Fermiamoci allora. L’aspettativa di inflazione è forse una stranezza, qualcosa di imprevedibile, o è un fenomeno incorporato nelle aspettative che spingono l’investitore ad acquistare un titolo che sale perché sale?

Quello stesso fenomeno, l’aspettativa, che guida l’investitore a farsi prendere dalle emozionanti quotazioni in salita di un mercato che attende una trasformazione nell’economia reale (e intanto ne dà riscontro in termini di crescita di capitale finanziario), ebbene, la stessa aspettativa è invece depressiva quando si tratta di inflazione.

Eppure, proprio la crescita sana dell’inflazione, l’esistenza stessa dell’inflazione parla di un’economia reale che finalmente potrebbe avere la sua svolta.

E proprio l’ipotesi che l’inflazione possa arrivare al suo target, trainata dalla salita dei prezzi, potrebbe finalmente comunicare all’investitore che stiamo uscendo da quella che ormai è definita la più grande crisi economica di tutti i tempi, dopo quella del 1929 magari, o accanto a quella del 2008.

Ma questo realismo all’investitore non interessa. O meglio non serve.

Perché in fondo quello che conta è continuare a guadagnare.

Corretto. Peccato che proprio da una realtà non edulcorata da interventi monetari che hanno reso quasi impossibile guardarla, nascondendola dietro i colpi della Borsa, da una realtà che con una corretta inflazione potrebbe riportare ai valori reali delle aziende (i fondamentali che da soli dovrebbero esortare l’investitore a dire: ecco il mio titolo, proprio questo voglio in portafoglio), insomma proprio dalla vera realtà, potrebbe nascere il mercato vero.

Fatto di aziende che per finanziarsi possono decidere di quotarsi e di raccogliere il denaro che servirà loro per fare investimenti, fatto di banche identificabili come finanziatori per dotare le aziende di maggiore capacità economica per costruire progetti e non per pagare i debiti, un mercato vero fatto di investitori che guardando il tessuto di queste aziende e l’incedere dei consumi potrebbero riconoscere dove sia meglio investire, non perché guidati dall’enorme liquidità presente a sistema, ma perché illuminati da un contesto che farebbe loro vedere i settori e le aziende più profittevoli, i fantomatici fondamentali.

Ma oggi, rispetto a questa visione futuristica di cui il ritorno dell’inflazione potrebbe essere premessa, prevale una preferenza a vivere il momento, anche nel portafoglio.

E questo può portare allo scompenso di fronte a fenomeni assolutamente normali, che di shock hanno ben poco, sebbene al comparire di essi gli investitori vi vedano l’ennesimo cigno!

Perché? Perché sono diseducati al rischio.

Questo è forse il vero pericolo cui noi consulenti dobbiamo ovviare con i nostri clienti, magari uscendo anche noi dall’ottica edulcorata ed entrando sempre più nella vera visione del portafoglio, quella che mai dovrà scegliere tra «Domani è un altro giorno» e «Del doman non v’è certezza».

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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Dipende… Quante volte gli investitori sentono qu Dipende… Quante volte gli investitori sentono questa parola dal loro consulente. Ma restringerne la portata al solo aspetto economico sarebbe riduttivo.
Perché in realtà, quando l’investitore entra in consulenza chiede una visione, o meglio, una prospettiva più grande, che faccia comprendere interamente il fattore finanziario.
 
Si può forse negare che, soprattutto in questo tempo, occorre uno sguardo alto, molto alto per dare risposte? 
Non pensiamo che l’investitore non sia pronto per una visione ampia. 
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