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La candida domanda della Regina e le non-risposte di Lagarde

La storia delle due donne di cui si parla di più in questi giorni ci mette davanti una questione che da sempre viene in qualche modo messa a tacere tra i tavoli della finanza: bisogna accettare la finanza com'è, o fare domande scomode?

Settembre 12, 2022
regina elisabetta christine lagarde
Tempo di lettura stimato: 5 minuti

«Non succede, ma se succede…»

Ancora una volta e sempre il cinema (la frase citata è il titolo di un gustosissimo film del 2019) mi aiuta con i suoi suggerimenti, ma in questa occasione non parto da una scena tratta dal film, perché questa volta il palcoscenico è offerto, un po’ stridente ma illuminante, dal confronto, o meglio accostamento, tra due donne davvero stra-ordinarie: la Regina Elisabetta (di cui si parla tantissimo in questi giorni), e l’ahimè chiacchierata, sebbene in totalmente altro sentiment, Christine Lagarde, anche lei regina su diversi emisferi, quelli della comunicazione finanziaria. Ed è qui che dobbiamo soffermarci, sulla comunicazione finanziaria, per cogliere le ragioni per cui ho trovato nel titolo di questo film uno spunto da cui partire nella nostra riflessione.

«Come avete fatto a non accorgervi?»

Se c’è un punto, infatti, su cui unanimemente ci si trova d’accordo – investitori, giornalisti, tecnici, insomma più o meno esperti del settore finanziario – è che fin tanto che la finanza va, le domande sono poco interessanti, o meglio, rappresentano uno sfondo su cui stare in attesa che il panorama si evolva.

Ma questo ritrovarsi d’accordo arriva alla sua massima espressione, di contro, nel riconoscere quanto sia inaccettabile che, se succedono certe cose nel mondo finanziario – e non certo di poco conto (e la nostra memoria è costantemente sollecitata a riconoscerne esempi, non solo negli ultimi anni) – nessuno tra coloro che ne sanno di più, gli esperti o i tecnici, sia stato in grado di riconoscerne i prodromi, di preventivarne gli accadimenti, e dunque in qualche modo di limitarne i danni.

E allora non succede eh, ma se succede!, si commenta sempre di più negli ultimissimi tempi, per citare un caso, parlando del famigerato debito italiano: non succede (si è d’accordo nel pensarlo, investitori in prima linea) che il debito italiano possa arrivare al punto di andare in default (nonostante la vertigine del nostro debito rispetto al PIL sia meglio non nominarla…), ma, se succede, se dovesse mai succedere, e oggi si tende a censurare la questione tra gli investitori, tra esperti magari è solo suggerita ma in modo quasi carino, insomma se dovesse mai succedere… come si potrebbe accettare di non averne riconosciuto le cause, i segnali premonitori, i movimenti precursori?

Ora si comprende quanto sia stata grande la Regina Elisabetta. Senza addentrarmi in tutto quello che ha fatto, mi permetto di ricordare un aneddoto della sua incredibile vicenda umana e storica, peraltro molto citato nella stampa di questi giorni. Si tratta del suo intervento alla London School of Economics all’indomani dello scoppio della crisi Lehman Brothers, quando, rivolgendosi a quelli che avrebbero dovuto in qualche modo essere interlocutori saggi se non esperti, chiese con candida movenza (non direi mai infatti ingenuità perché Elisabetta ingenua non lo era affatto) come avessero fatto a non accorgersi di quanto stava capitando. Cioè a non accorgersi che una crisi della finanza globale stava per succedere.

L’apparente assenza di risposte

Ecco, è arrivato il momento di spostarci sull’altro interlocutore di oggi. Perché se c’è un fatto per cui Christine Lagarde viene ripetutamente citata – anche rispetto all’ultima circostanza che l’ha vista, in una coincidenza cui non voglio attribuire alcun significato, il giorno della morte della regina – sbilanciarsi in un ennesimo discorso contestato prima che compreso all’Eurotower, è proprio l’apparente assenza di risposte sulla finanza che da sempre la precede in ogni sua manifestazione pubblica.

Da un lato, dunque, una donna passata alla storia anche per aver messo in crisi la finanza incapace di prevedere; dall’altra una donna che di risposte chiare a movimenti della finanza sembrerebbe non volerne mai dare, mostrando una apparente impossibilità di essere preparati a quanto in finanza possa succedere.

È vero, dovrebbe essere diverso, quando si sanno le regole, si conosce il sistema, quando si dice di avere una conoscenza da cui dipende la lettura di un contesto. E qui parlo della presunzione della finanza per come da sempre ha pensato di porsi, o di imporsi, al punto da suggerire di essere in grado di controllare i singoli eventi.

Al punto da trasmettere come concetto base che le cose, certe cose non accadono, ma se anche accadessero, vi sarebbe sempre una possibilità di lettura e di revisione favorevole dei conti, alla luce del passato, delle serie storiche. Serie che da sempre hanno dato appoggio ai protagonisti e agli esperti della finanza per essere giustificati in episodi di impreparazione accesa. Giacché, si è sempre detto, «ma questa volta è diverso» (e qui non sono gli investitori, badate bene), e «se in passato è andata così ora bisogna aspettare…».

L’improvvisazione non può bastare

Così in qualche modo la finanza se l’è cavata, esimendosi dalla capacità di avere i giusti presentimenti e quindi di saper affrontare nel dovuto modo l’imprevedibile. Come nel film Non succede, ma se succede, dove alla candidata alla presidenza degli Stati Uniti viene la pessima idea di assumere come assistente il goffo Fred, giornalista disoccupato, cui da piccolo aveva fatto da tata, salvo poi invaghirsene perdutamente, ma soprattutto inaspettatamente, senza che vi fosse la minima possibilità di prevederlo. Nel film ovviamente tutto va come deve andare, tutto si risolve e anche un’unione paradossale alla fine funziona, regge, alla fine va dove deve andare.

Cosa che, invece, non capita in Finanza. Dove se succede qualcosa di straordinario e sconvolgente, non può bastare l’improvvisazione, e la contingenza degli eventi; non può bastare perché la finanza stessa si è posta e imposta con una storica presunzione, quella di sapere sempre cosa fare.

Ecco perché la domanda della regina ai saggi aveva senso. Perché veniva dalla lettura di una da sempre in grado di fare finanza in mano a chi da sempre si era posto come capace di governare gli eventi: gli esperti, l’una o l’altra personalità, fino ad arrivare ai massimi esponenti di fondi di investimento etc. etc.

Ed ecco perché la maniera della Lagarde fa arrabbiare nel suo essere non decisiva, non orientativa. Nel suo dire che ci vorranno tra i due e i cinque meeting, ma meno di cinque meeting, per arrivare chissà dove, non si sa. Christine Lagarde è scomoda. È scomoda perché non risponde come la finanza della regina, la chiamo così ora, vorrebbe.

La finanza si gioca sul fatto

Peccato che i fatti – e non si può non citare quello di cui ogni anno si fa memoria l’11 settembre – hanno dimostrato che la presunzione della finanza di prevenire e anticipare ha poco spazio per emergere, per quella inesorabile imprevedibilità che rende gli eventi decisivi e imponenti dell’ultimo decennio (qui mi limito) così determinanti il suo inesorabile cambiamento. Per questo è molto più importante, oggi, avere persone che sappiano affrontare la finanza sul fatto, quando capitano le cose, piuttosto che esperti di settore che mai sanno fare la vera differenza, nel grande e nel piccolo.

Ed è qui che forse era giusto aspettarsi di più dalle parole di Lagarde, che invece nel suo riconoscere che l’inflazione in Eurozona dipende dall’offerta e non dalla domanda è come se avesse detto che il suo muoversi tra due/cinque rialzi di tassi da decidersi non possa rappresentare, forse, la risposta alla crisi economica da essa generatasi (magari per le banche sì, che hanno subito ringraziato con rimbalzi d’autore).

Eppure, dopo le parole di Lagarde la Borsa è salita, quasi a confermare quanto gli investitori abbiano capito che non c’è molto da aspettarsi da chi dovrebbe esprimere il know how in finanza, tantomeno risposte. Che dalla storia della Regina Elisabetta si è forse intuito siano arrivate solo da pochissimi esempi storici di persone, sempre meno presenti sullo scenario internazionale, non solo economico finanziario.

È una ragione per non farle più le domande, in finanza, e per accettare che tutto vada come deve andare? Non direi. Piuttosto per accettare che la finanza, come ho detto, si gioca sempre più sul fatto, espressione che ho preso a prestito da un caro amico che appartiene a un altro mondo, davvero diverso, eppure alla fine, così simile a quello di cui discorriamo in questa sede.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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