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La Cina che vorrebbe l’investitore in portafoglio

Che sia proprio questo l'anno del Dragone? Ascoltando i rumori che vengono da quelle parti del mondo si direbbe di sì. Nonostante tutto

Luglio 4, 2022
cina investitore
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Così lontano così vicino… il mio condizionamento cinematografico è irredimibile, lo so. Ma anche qui aiuta a entrare dentro il livello di certe notizie che, con maggiore o minore evidenza, stanno diventando costanti, quasi intonassero una sorta di ritornello. Al punto da iniziare a rimanere nella mente dell’inquilino di questa “casa”, perché qui di lui si discorre, dell’investitore.

Dopo un periodo dettato dall’emergenza epidemica (ancora tutt’altro che terminata, purtroppo), e da una resistenza al cambiamento di mentalità da parte sua, che lo ha fossilizzato in un rifiuto di parlare di questo Paese così lontano, non solo geograficamente ma anche come stile di vita, ultimamente sembra che ritenga nuovamente interessante farne cenno.

Il riaffiorare di questo Paese, infatti, come tema di investimento nelle conversazioni con l’investitore sembra assomigliare più a un silenzioso suggerimento che non a una vera e propria richiesta di consulenza esplicita, orientata a inserirne un ben identificabile peso nel portafoglio.

Ricorda quell’attesa silenziosa di cui si legge in questi giorni su articoli e post, rievocando la famosa citazione di Confucio che suggerirebbe di rimanere sulla riva del fiume aspettando di veder passare il cadavere del nemico…

Chi sta seduto sulla riva del fiume?

Lo so. È una citazione ripresa in articoli e post dedicati alla Cina, non certo all’investitore, pensando al nuovo protagonismo di questo antico Paese in attesa che il mondo là fuori ceda il passo.  Ma in realtà riguarda anche l’atteggiamento dell’investitore, e proprio nei riguardi di questo universo così distante  eppure così vicino a tutte le circostanze emergenti attuali.

Il nostro investitore è passato infatti dal chiedere una consulenza su come investire il suo capitale all’ascolto più attento di certi suggerimenti in evoluzione, atteggiamento questo sicuramente dettato anche da una certa emotività e riduzione dell’istintività nella scelta di come investire, e tutto questo per una causa certa, chiamasi volatilità in aumento.

Un’attitudine all’ascolto che nei riguardi della Cina egli ha quasi appreso da quanto ahimè successo con il conflitto tra Russia e Ucraina.

Noto infatti sempre di più come gli avvenimenti abbiano impresso nell’investitore una nuova capacità di riconoscere segnali che lui stesso, se non anche noi tutti, si era dimenticato di seguire nel recente passato, distratto da tutt’altro ovviamente, per poi arrivare a esserne invece travolto per gli esiti dirompenti e imprevedibili in una guerra la cui durata non si conosce.

La Russia, in fondo, era un paese di cui l’investitore non si era mai occupato (solo lui?). E quand’anche gli si fosse consigliato di acquistare materie prime, dalla seconda parte dell’anno scorso l’unica ragione avrebbe potuto essere il tema dell’inflazione e del rialzo dei tassi. Certo, una guerra non si poteva immaginare. Eppure, proprio lo scoppio del conflitto ha affinato la mentalità di chi investe.

Da più parti sento parlare, con un non nascosto interesse, di quanto stia diventando importante il ruolo della Cina ultimamente… Segnali che non si possono non ascoltare e che arrivano da quel Paese lontano che così tanto si sta avvicinando. Pur volendo lui, l’investitore, rimanere al momento a guardare sulla riva l’incedere dei segnali provenienti da Pechino.

Un Paese uscito dalla nicchia

Una Cina che, uscita dai BRICS come originariamente venivano concepiti (i Paesi emergenti) perché non più configurabile solo in tale veste, anzi candidata a diventare la prima economia, vi sarebbe guarda caso rientrata a pieno titolo in occasione del vertice di quegli stessi paesi lo scorso 23 e 24 giugno.

E, qui è il punto, non nella veste di uno dei partecipanti a quel summit, piuttosto di una vera e propria opinion leader, ideatrice di un pensiero dominante e aggregante per quegli stessi Paesi rispetto al resto del mondo.

E così, retoricamente distante dalla drammaticità scatenata dalla consorella Russia, si è posta come interessata piuttosto a disegnare quella che si configurerebbe come la vera globalizzazione tra i paesi emergenti, diversa e autentica a confronto con quella distrutta da un Occidente colpevole, con le sanzioni, di aver reso inaccettabile lo scacchiere economico della vera collaborazione tra Paesi.

Ancora, altri segnali da una Cina che si starebbe ritagliando, non solo ultimamente, il ruolo di ristrutturatrice del debito di Paesi in default. Si è parlato in questi giorni del caso dello Zambia ma soprattutto di come la Cina stia in tal modo diffondendo la sua immagine da “regina” all’interno della community, in questo caso, di tutti quei Paesi che non possono farcela da soli, al punto che il loro debito diventerebbe un affare da risolvere per il bene di quella community. E così, dopo il debito dello Zambia, quali potrebbero essere le ulteriori acquisizioni – spacciate per salvataggio – da parte del Dragone?

Ma il segnale forte e chiaro proveniente dalla Cina ha a che fare anche con il tema di investimento, forse l’unico, di cui tanto finora si è sentito parlare, oramai non più come il tema speculativo di tutti i tempi: le materie prime. È proprio l’investitore, sì lui per primo, a rendersi sempre più conto di come anche sulle materie prime, se non soprattutto, la Cina stia diventando o ridiventando protagonista.

Con un preciso disegno di leadership. Zinco, alluminio, rame, litio… sono tutte protagoniste di vicende cui non si può non dare ascolto. Materie prime non più reperibili in Europa (è il caso dello zinco), magazzini che sono ai minimi storici (alluminio), detenzione massiva di scorte solo in Cina (rame), primati in estrazione e raffinazione per la Cina (litio), o ancora migrazione di scorte verso l’Asia (ancora alluminio).

Il rebus delle materie prime

Una sintesi di tutte queste vicende drammaticamente vere potrebbe quasi costringere l’investitore a superare l’atteggiamento di attesa sulla riva del fiume, per fare, anzi per ricominciare a fare alcune scelte importanti di investimento: «La Cina è già da tempo il primo fornitore di materie prime critiche in Europa (44% del totale) e principale esportatore dell’UE di terre rare (98%). Cifre che ne fanno il monopolista di livello mondiale». O ancora: «Lo switch all’elettrico consegna l’industria occidentale nelle mani di Pechino», come ha scritto nei giorni scorsi il Corriere della Sera.

Insomma, ci sarebbero davvero tanti validi motivi per prendere nuove decisioni. E non è detto che l’investitore non lo stia già facendo anche se, qui è il punto, per lui non sarà mai la Cina che vorrebbe veramente, nel suo portafoglio, democratica e trasparente. Ma, va detto, questa non è la Cina. E non lo sarà mai. E forse nel portafoglio ci sarà sempre di più la necessità di una nuova e vera diversificazione – non me ne voglia la Mifid – che non sarà più quella tradizionale tra azioni, obbligazioni e liquidità. Bensì, sempre di più e maggiormente focalizzata, tra asset democratici e asset che democratici non lo saranno mai.

Non sto facendo politica: sto cercando di seguire di più e meglio una trasformazione in atto nello stile di investimento e nella consulenza globale, come diciamo noi professionisti. Magari uscendo anche io dall’atteggiamento di attesa sulla riva del fiume, per andare più a fondo di cosa si debba dire al nostro cliente. Oggi. Anche della Cina.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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