La musica, si sa, piace praticamente a tutti. Ma non tutti potrebbero essere adatti a investire in questo settore, visto che le motivazioni per farlo non sono così immediate. Finanza Pop vi aiuta a capire di più e meglio le ragioni per scegliere un asset così innovativo proseguendo il dialogo con Marzio F. Schena di ANote Music, il primo marketplace europeo di investimento in royalties musicali legato alla blockchain.
Rieccoci Marzio a parlare della “musica in portafoglio”. Perché un investimento di questo genere può essere scelto?
La scelta di investire nella musica e nei diritti musicali può di sicuro basarsi, innanzitutto, sull’aspetto emotivo e affettivo.
La musica crea legami indissolubili con i suoi ascoltatori e appassionati, è parte integrante delle nostre vite: una delle motivazioni che può avvicinare a questo settore anche i neofiti della finanza è quindi il desiderio di sostenere le proprie passioni e i propri artisti del cuore in modo concreto e più diretto rispetto al semplice streaming o all’acquisto di biglietti di concerti o dischi.
In secondo luogo, la musica rappresenta sicuramente una strada interessante per diversificare i propri asset finanziari: si tratta infatti di un settore in rapidissima ascesa nel periodo di ripresa post-pandemia, sia per quanto riguarda la musica “fisica” che online e in streaming.
Ovviamente, a chiunque sentisse la necessità di un advisor o di una guida esperta per avvicinarsi gradualmente al mondo degli investimenti, e degli investimenti nella musica in particolare, consigliamo sempre di rivolgersi a figure specializzate.
Entriamo un po’ nel dettaglio di una fascia di clienti identificata da grandi patrimoni. Perché questi clienti, avendo già tutto, quindi un’ampia diversificazione di investimento, potrebbero pensare di investire anche nella musica? E i clienti piccoli risparmiatori avrebbero motivo per farlo?
ANote Music si rivolge sia ai grandi che ai piccoli investitori. Questo si lega molto alla nostra value proposition, che è appunto quella di lavorare ogni giorno per rendere la musica e il suo ecosistema sempre più aperti, democratici e partecipativi. Vogliamo che i nostri utenti e investitori, che sono poi spesso appassionati di musica o fan di un particolare artista che decidono di sostenere, abbiano la possibilità di agire di prima mano in questo ecosistema che, tradizionalmente, è abbastanza chiuso agli stimoli esterni.
Anche investitori con grandi patrimoni incontrano difficoltà a diversificare il proprio portafoglio in maniera adeguata. Ormai la grande maggioranza delle asset class a livello globale ha un’alta correlazione reciproca data da un’esposizione a fattori di rischio comuni (come eventi geopolitici, tassi o inflazione).
Al contrario, investire in canzoni “vecchie”, con almeno tre anni di storico di royalties generate, garantisce esposizione a fattori di rischio diversi (come le abitudini di consumo musicale, che tendono ad essere stabili nel tempo) che poco hanno a che vedere con i fattori trainanti dei mercati.
Inoltre, i diritti musicali garantiscono il diritto a ricevere royalties ogni qualvolta la canzone viene utilizzata, traducendosi in una fonte di reddito passiva per chi detiene i diritti. Questa generazione di liquidità stabile nel tempo può essere molto interessante per molti portafogli che cercano diversificazione e protezione del capitale.
Scendendo nei numeri, cito ancora il Global Music Report 2022 di IFPI, che ci dice che, nel solo 2021 e a livello globale, il settore della discografia è cresciuto del 18,5%. Questo vuol dire che, anche in tempi ancora incerti per una serie di concause, il pubblico non ha smesso di ricercare e consumare musica, anzi.
Il settore si mostra dunque in forte crescita, e certamente maturo per accogliere investimenti sia su grande che su piccola scala.
Perché la musica dovrebbe essere non solo scelta, ma anche preferita come asset di investimento soprattutto in tempi incerti come questo?
Il tridente generazione di reddito passivo, crescita e mancanza di correlazione con i mercati rendono i diritti musicali un asset class molto attraente. Certamente gli investitori che scelgono di fare operazioni nell’industria musicale sono consapevoli del fatto che le royalty musicali, così come le abitudini di ascolto del grande pubblico, hanno poca o nessuna correlazione con i mercati tradizionali.
Se altri mercati devono fare i conti con un alto tasso di volatilità in seguito a novità geopolitiche, generalmente quello musicale è più stabile, al riparo da grosse oscillazioni.
Oltre i dati del Global Music Report, che descrivono appunto un settore musicale mai così in forma, voglio specificare che non c’è un solo modo di investire nella musica, o meglio: non c’è un unico tipo di investimento, ovvero un solo tipo di royalties future che il detentore decide di mettere a disposizione degli investitori.
Si parla quindi di una poule variegata di diritti e di revenue stream, che vanno da quelli di immagine a quelli di riproduzione, e oltre. In sunto, alcuni tipi di diritti potrebbero essere maggiormente legati alle contingenze storiche recenti, ma tanti altri invece viaggiano indipendenti e, anzi, si sono dimostrati incredibilmente validi proprio negli ultimi due anni.
Inoltre, democratizzare il mercato delle royalties porta dei benefici a tutti i player coinvolti, da chi crea musica ai fan, da chi mette all’asta la propria quota di diritti a chi li acquista. Di sicuro molti trovano allettante il fatto di creare un flusso di royalty passivo mentre ascoltano i propri brani e artisti preferiti.