Flash! Che storia…
da un articolo del Financial Times del 23 agosto. Ve la faccio breve, ma se avete modo andatelo a leggere.
Nel 2014 Dan Schulman diventa CEO di PayPal. Allora si pensava che la società avesse visto già i suoi giorni migliori, senonché proprio il giorno del suo arrivo accadde un evento: l’annuncio della nascita di Apple Pay… Quello fu l’inizio della vera trasformazione dell’arcinota piattaforma che l’ha portata ad essere stella nel firmamento dei pagamenti digitali di ogni genere. Si doveva rompere con il passato.
Era il momento, e già in ritardo, ammette Schulman, rispetto alla concorrente Square, che nel 2014 aveva rotto il ghiaccio con le monete “diverse”; ma perché questo accadesse anche a PayPal doveva succedere ancora qualcosa, doveva entrare nel board Wences Casares, classe 1974, imprenditore argentino Ad di Bitcoin wallet Xapo, cioè il quasi evangelista delle criptovalute. È da lì che ha inizio la vera rivoluzione, o meglio educazione, della piattaforma verso un modello affidabile in tutti i tipi di pagamenti digitali.
Arriviamo al punto.
Cos’è realmente successo in quest’azienda? Qual è il fatto da notare e cui occorre prestare attenzione? Forse il fatto che il valore del Bitcoin sia passato da una media di 400 dollari agli attuali 40.000/50.000 a seconda dei giorni?
Tuona caustico il Ceo: «But Schulman mantains the price of bitcoin is the “least interesting thing“ about crypto. He believes it is just one part of a necessary drive to make the financial system more efficient and inclusive». Non interessa ciò che tutti, investitori e consulenti, insieme guardano.
Il prezzo opportunità. Il cambiamento del valore, il pricing.
Ciò che traluce è un processo verso una maggiore efficienza e inclusività del sistema finanziario. Sguardo nuovo, direi, in un mondo che guarda questo mercato “emergente” come una lama a doppio taglio, un mercato che sembrerebbe fare tutto meno che rivelare una straordinaria somiglianza con il tema insito negli investimenti sostenibili.
Efficienza, inclusività.
Il Ceo spiega che il suo obiettivo è procedere a braccetto con regolatori e banchieri centrali, per assicurare stabilità e integrità del sistema ai massimi livelli. Tutto meno che mercato deregolamentato, direi.
Ma non è tutto.
Occorre guardare anche quell’aspetto che più caratterizza la nuova diversamente moneta rispetto ad altri asset dove riporre patrimonio: la leggerezza. Mi ha colpito l’accenno contenuto in un articolo pubblicato su investing.com, pensando a quanto accaduto in questi giorni a Kabul. Vi riporto un’immagine. Anche qui, se potete, andatelo a riprendere. Mi riferisco alla corsa agli sportelli delle banche prima che arrivassero i Talebani.
E la gente, che cerca in tutti i modi di lasciare il paese temendo per la propria vita, arraffa tutto quello che può. Le notizie delle corse agli sportelli bancari a Kabul mentre i Talebani si avvicinavano non sono state una sorpresa: è la storia che si ripete. Quando l’esercito statunitense aveva lasciato Saigon nel 1973, il prezzo locale dell’oro era salito a 50.000 dollari l’oncia, perché chi se ne andava cercava di trasferire patrimonio e risparmi in asset facili da portare via dal Paese.
Mezzo secolo dopo, a Kabul, chi possiede criptovalute in un portafoglio virtuale o su una chiavetta USB può mettersi in tasca i propri Bitcoin, Ethereum o altre cripto per portarli via dall’Afghanistan, in un territorio più sicuro. Gli sconvolgimenti politici sono un altro motivo che depone a favore delle cripto.
Quasi si potesse costruire un nuovo senso di sicurezza non solo nei pagamenti ma anche negli spostamenti ovunque, portandosi dietro la sostenibilità di un asset davvero leggero.
Alla prossima… quasi a settembre!