Ricordate come ho sottotitolato il da dove nasce l’idea di questo Blog? “Qualcosa di cui sparlare” Ebbene qui dobbiamo proprio esagerare…
Il tema è uno di quelli che esasperano le discussioni: quando volete provocare qualcuno su questioni al centro di grandi dibattiti (la pace nel mondo, la pena di morte, la religione) spesso si fanno domande che lo mettono in crisi. Cosa ne pensi della pena di morte? Cosa ne pensi della pace nel mondo? L’obiettivo è disarmare l’altro, piuttosto che creare un vero confronto.
In questo dibattito, accesosi in settimana, è accaduto lo stesso fenomeno. Vincenzo Imperatore (consulente di direzione, giornalista, saggista, etc) nel suo articolo dell’8 agosto che vi riporto di seguito provoca mettendo al bando la figura del consulente finanziario. Qual è la tecnica? Alla maniera dei sofisti esaspera uno degli aspetti che può caratterizzare l’esperienza del consulente finanziario: Il cambio di banca. Aspetto questo che, come evidenzia la collega (ci tengo a chiamarla così!) consulente nella sua risposta a tono (sotto), di fatto spesso ha delle ragioni assolutamente legittime e a tutela del cliente.
Quando ho scelto la strada del consulente finanziario, io l’ho fatto per ragioni molto simili a quelle della signora.
Quello che vorrei aggiungere rispondendo al sig. Imperatore è che occorre tenere conto di tutti i fattori per giudicare una realtà come l’esperienza professionale del consulente finanziario. Ma ho il sospetto che l’obiettivo di Imperatore non sia giudicare ma “urlare”, come fanno tanti nostri politici.
Elenchiamo alcuni di questi fattori e usciamo dai sofismi del sig. Imperatore:
1. Quanti rischi si assume il consulente finanziario scegliendo questa strada? Il gestore di clienti in banca, dipendente, non ha “suoi “ clienti. Gestisce alcuni clienti della banca. Quando esce, per fare il professionista, allora capisce chi sono i suoi clienti e diventa responsabile della qualità del servizio come prima non lo era mai stato. Si chiama rischio di impresa.
2. Il cosiddetto “cambio di casacca”, se capita, è di fatto molto faticoso proprio per il rischio di impresa che comporta: proporre a un cliente di andare in un’altra banca non è affatto semplice, i clienti hanno una loro vita, fatta di varie complessità, e spesso il cambio di banca viene visto come un ulteriore “problema da gestire”. Qui forse il collega (posso provare a chiamare anche lui così?) Imperatore ancora una volta esaspera l’aspetto economico e non evidenzia quello umano, di percorso emotivo e professionale, da compiere con i clienti se si cambia banca.
3. Mi piace molto il fattore di realtà che evidenzia nella sua risposta la collega. Alla fine è il cliente che capisce e che decide. E questo vale per tutti i giorni della nostra professione perché il cliente ogni giorno sceglie se seguirti o cambiare lui la “casacca” .
Non vado oltre, perché avete capito. Chi vive questa professione “personalmente” vede una totalità di fattori che Il Fatto Quotidiano forse, nel pubblicare l’articolo, avrebbe dovuto far trasparire almeno come “contrarian”.
P.S. Riguardo l’assimilazione di tutte le banche/reti nel calderone unico e incandescente di quelle che «fanno vendere i prodotti di casa», chiederei a Imperatore di distinguere nettamente e segnatamente, individuando non solo gli istituti che “chiedono” al consulente di vendere i propri prodotti, ma anche e soprattutto quelli che propongono i prodotti delle case terze “vestiti” con l’abito della banca che ha dato loro il mandato. E quest’ultimo fenomeno forse è quello da cui guardarsi veramente… viva l’informazione!
Godetevi ancora il sole…
Alla prossima!
Da BLUERATING Advisory & Asset Management 11 agosto 2020
Venditori e poco più? La consulente non ci sta e risponde a Il Fatto
DI REDAZIONE
11 AGOSTO 2020 | 10:21
Sono state numerose le voci di protesta in seguito al recente articolo a firma Vincenzo Imperatore su Il Fatto quotidiano (qui l’articolo che lo riprende). Di seguito vi riportiamo un commento inviatoci da una nostra lettrice. E voi cosa ne pensate? Inviateci le vostre riflessioni.
Buongiorno,sono una consulente finanziaria dal 1994 iscritta all’Albo ;desidero esprimere esprimere il mio rammarico e il mio disappunto , per l’articolo pubblicato su Il Fatto dell’8 agosto scorso su i cosiddetti “cambi di casacca” del Sig.Vincenzo Imperatori.
Ci sono molte inesattezze: intanto non mi definisco un venditore “porta a porta”, senza nulla togliere a chi lo è ma in ben altri settori; tra questi non rientra certamente il servizio di consulenza finanziaria ,disciplinato da varie direttive comunitarie e legislazione nazionale. In 26 anni di professione ho cambiato 1 volta sola società e il motivo era che la banca per la quale lavoravo mi stava costringendo ,con varie modalità ,a collocare principalmente i prodotti di casa ,più remunerativi soprattutto per le strutture manageriali…ma è stata l’unica volta,per il resto ho sempre lavorato in strutture che mi hanno dato la libertà di mettere il cliente al primo posto ,come dovrebbe fare qualunque professionista che si definisca tale..i clienti oggi sono sufficientemente informati da poter capire se c’è qualcuno che sta approfittando di loro e quindi liberi di scegliere se seguire o meno il proprio consulente ,come peraltro accade in qualunque altro settore;inoltre non è vero che noi consulenti collochiamo solo i prodotti della banca;abbiamo si un unico mandato per legge ma possiamo collocare i prodotti delle più grandi case di gestione al mondo …in conclusione ,come in tutte le professioni non escludo che ci possano essere comportamenti scorretti ma non rappresentano certo la norma .Mi meraviglio come un giornale che ritenevo serio come Il Fatto autorizzi la pubblicazione di questi attacchi gratuiti ad una categoria di professionisti ,creando solo disinformazione e un inutile allarmismo ai risparmiatori italiani i quali mancando di cultura finanziaria,avrebbero invece bisogno di fonti di informazione più affidabili e serie. Grazie per l’attenzione.
Da IL FATTO QUOTIDIANO – 8 agosto 2020
Basta ai continui cambi di casacca dei consulenti finanziari!
- di Vincenzo Imperatore 8 Agosto 2020
Se il vostro consulente finanziario cambia casacca e passa a lavorare per un’altra banca, fate attenzione! Perché lui, in tal caso, guadagna un bel po’ di soldini (“premio di ingaggio”) dal nuovo intermediario per effetto del trasferimento del suo patrimonio gestito, cioè dei risparmi dei suoi clienti, e voi vi potreste trovare nella condizione di dover sostenere pro-quota, senza accorgervene, quel costo.
Il turnover selvaggio dei promotori finanziari nelle reti è un fenomeno molto diffuso e particolarmente nell’ultimo periodo. Semplificando, si tratta di capire il fenomeno del continuo “cambio di casacca” che una buona fetta di promotori finanziari (oggi denominati consulenti finanziari) esercita come “professione” per fare soldi. Ricordiamo che i “consulenti finanziari” sono i venditori “porta a porta” di prodotti finanziari, liberi professionisti che svolgono il loro operato sulla base di un mandato. In altri termini, si tratta di professionisti-impresa, con una propria partita Iva, che possono però collocare solo i prodotti della banca a cui sono legati da un vincolo monomandatario. Il promotore finanziario non può dunque vendere i prodotti di un altro istituito.Il promotore finanziario non riceve uno stipendio fisso dalla banca, ma viene remunerato in base alle provvigioni sulle vendite effettuate al suo cliente. Sembra paradossale, ma il datore di lavoro del promotore non è la banca, bensì il cittadino-risparmiatore che diventa suo cliente (del promotore, non della banca). E a differenza dello scenario tipico del consulente-lavoratore dipendente (quello che troviamo allo sportello delle filiali), qui sono due i soggetti a dover guadagnare: la banca e il promotore. E secondo voi chi paga?Ad ogni modo, sia i consulenti bancari (venditori allo sportello) sia i promotori finanziari (venditori “porta a porta”) sono figli della stessa madre. I gruppi creditizi-assicurativi, le grandi holding della finanza, posseggono sia una banca (con un brand) sia una rete di promotori finanziari (spesso con un altro brand). Le logiche commerciali sono le stesse: spingere le vendite per massimizzare i profitti per le banche e i consulenti, spesso senza preoccuparsi di offrire benefici ai clienti. Occorre un cambio delle dinamiche e quindi di mentalità. Nel frattempo, però, dobbiamo difenderci. Come? Ad esempio, diffidate da quei promotori che cambiano spesso casacca e chiedetegli da quanti anni è iscritto all’albo e quante squadre ha cambiato in quel periodo.
Il problema va affrontato, però, anche dal punto di vista sistemico vista l’eccessiva aggressività nell’attività di reclutamento degli ultimi tempi manifestata da banche e reti di promotori finanziari. La soluzione dovrebbe essere semplice: chi gestisce le reti non deve agevolare chi ha fatto del cambio di casacca una professione e la Consob dovrebbe accendere un faro su una problematica che, se ben disciplinata (oltre a quanto previsto da Mifid II), può costituire un primo deterrente per i “professionisti del cambio casacca”. Dire a un cliente “senti, da domani non sarai più cliente di Banca X ma di Banca Y perché io devo guadagnare 500mila euro” dovrebbe diventare un po’ più difficile: che ne pensano alla commissione bicamerale banche, presieduta da Carla Ruocco?