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“Buongiorno sono qui per acquistare la vostra obbligazione.
Si proprio quella con scadenza nel 2030…”
Ciak si gira! Scena prima del film mai finito, ancora senza titolo e sempre in produzione, regista sconosciuto (chi tra i gestori vorrebbe attribuirsi la paternità di questo film dopotutto o darvi un titolo??).
La richiesta di una obbligazione era, un tempo (sembra l’inizio di una fiaba ma la storia si ripete), molto usuale e coerente con qualsiasi tipo di cliente.
Nessuna differenza di profilo: approccio al rischio alto, basso, medio, tutti insieme appassionatamente affezionati a questo “monumento” della finanza.
C’era chi accettava di “star dentro” quel titolo 10 anni senza curarsene. Anzi, l’effetto placebo era tanto maggiore quanto più era lunga l’obbligazione (certo con rendimento).
Quasi si potesse trovare una “coccola finanziaria” nell’acquisto di un titolo con dati “certi” scritti in evidenza: in primis il nome dell’emittente, unico – così invece di andare su un fondo di investimento dove la lista dei titoli è indeterminata, quindi in apparenza meno sicura, il nome unico ha sempre portato tranquillità – ma soprattutto la sacrosanta “durata certa”… con scadenza nel…
Così il cliente iniziava un conto alla rovescia, dimenticandosi di avere quel titolo, che non era in fondo da seguire o gestire, ma solo da ricercare e da sposare per un tempo ben determinato.
Ora riprendiamo le parole emittente unico e durata certa. E buttate via tutto.
Qual è sempre stato il concetto che ha creato questa mentalità nel cliente innamorato di una classe di investimento unica come l’OBBLIGAZIONE? La differenza con l’AZIONE.
La prima rimborsa con una durata certa e garante ne è l’emittente, la seconda non ha alcuna certezza né di durata né di rimborso fino al punto di poter far perdere tutto.
Ebbene, proviamo invece a vedere come questo concetto abbia subito stravolgimenti negli ultimi anni fino a rendere l’OBBLIGAZIONE quasi una OBBLIG-AZIONE.
1) Fiducia nell’Emittente Unico
È oggi un elemento di tranquillità? NO. E vi spiego perché: i governi hanno fatto vedere sempre di più come siano indebitati e deboli, dunque le obbligazioni governative possono essere un investimento fragile e precario («Ma l’Italia non fallirà mai!», si dice, e si continua a pensare che la realtà sia rimasta quella dei miei genitori che compravano obbligazioni emesse dallo Stato italiano con certezze che noi non potremmo mai più avere, e rendimenti coerenti).
E le aziende, gli emittenti corporate, che dire? Dovremmo vedere quali possano essere confermate sul mercato, solide, resilienti, sostenibili (leggete in più articoli della sostenibilità, quanto sia un criterio ormai irrinunciabile per distinguere le aziende che possono andare avanti e quelle che non potranno più farlo), e quindi meritevoli di emettere obbligazioni da comprare in tranquillità, certi del rimborso a scadenza…
2) Rimborso del capitale a scadenza
Siamo certi di poterlo ancora pensare? Che la solvibilità sia provata e certa per tutti gli emittenti?
Sulla certezza della durata non si può non guardare nuovamente agli ultimi fatti noti.
La crisi del debito dei governi ha fatto emergere come nessuno sia salvo (possiamo ancora parlare della Germania e dei paesi frugali come quelli che ci guardano dall’alto della loro solidità o forse la pandemia ha reso tutti un po’ più fragili e mortali?) e come tutti potenzialmente possano diventare “cattivi” emittenti di obbligazioni (dunque non più così certe …).
Anche le aziende sono coinvolte in questo processo di analisi alla radice, che salva sempre meno settori e protagonisti, e l’epidemia non ha fatto che confermare che non c’è durata che tenga.
Si può ancora dire che un emittente sarà in grado di rimborsare il capitale prestatogli alla data certa scritta sul titolo, e dunque sia meritevole di emettere OBBLIGAZIONI, o forse la scadenza deve oramai essere “trattabile”?
Azzardo. Dovrebbe allora nascere finalmente il concetto di OBBLIG-AZIONE.
Leggiamo la visione di Jeroen Blokland, Portfolio Manager di Robeco nota società di investimento internazionale, su Wall Street Italia dello scorso 7 settembre.
Soffermiamoci su questo punto:
Alla fine di marzo siamo tornati ad essere ottimisti circa le obbligazioni globali high yield e investment grade, dopo che entrambe le asset class avevano realizzato performance negative inferiori a quelle delle azioni in termini corretti per la volatilità.
Quindi, durante il grande storno del mercato causato dallo scoppio della pandemia, le obbligazioni hanno perso meno delle azioni. WOW! Si potrebbe dire.
Ma leggiamo oltre:
Cinque mesi dopo, la situazione sembra radicalmente cambiata
Siamo ad agosto-settembre, e tutto è tornato come prima (ricordate cosa ho scritto in Colazione da Trump? Il Covid non c’è mai stato…). Ancora:
….Con spread che si contraggono di ben 250 punti base a 130 punti base, le obbligazioni investment grade sono ora molto più esposte al rischio di durata, aspetto che non apprezziamo particolarmente.
E più avanti:
Ciò significa che il fascino delle azioni rispetto alle obbligazioni è aumentato
Ci siamo: ecco la fine di una storia, forse la più amata dal cliente. La durata certa non esiste più e l’obbligazione perde il suo fascino originario!
Ma allora cosa potremmo trattenere da tutto questo, che non è o non è più considerabile un episodio sporadico, bensì la conferma di un cambiamento in atto che la pandemia ha confermato?
Che non esiste più una vera separazione tra i due tipi di asset, l’OBBLIGAZIONE e l’AZIONE, e che piuttosto occorre imparare ad avere un “altro” approccio ad entrambi i tipi di investimento, orientandosi all’era dell’OBBLIG-AZIONE (possiamo iniziare a chiamarlo così il nuovo “super-asset”?).
Emittente, scadenza, rendimento, in realtà sono fattori che non rappresentano più la panacea del male del rischio.
Ma se questo è vero, perché indugiare nella scena prima del film senza titolo, e continuare a entrare in banca recitando ancora: «Sì proprio quell’obbligazione con scadenza nel 2030»?
Fine di una storia… Alla prossima!
Da WALL STREET ITALIA, 7 settembre 2020
Robeco: fascino dell’azionario ma occhio a presidenziali Usa e fiducia dei consumatori
7 Settembre 2020, di Jeroen Blokland (Robeco)
Il miglioramento dell’economia globale ha reso le obbligazioni meno attraenti rispetto alle azioni. Ora che i livelli di spread si sono notevolmente ridotti stiamo passando a una posizione più neutrale, in attesa di nuovi catalizzatori per ulteriori cambiamenti quali lo sviluppo di un vaccino efficace per il coronavirus o la ricaduta negativa legata alle elezioni americane.Alla fine di marzo siamo tornati ad essere ottimisti circa le obbligazioni globali high yield e investment grade, dopo che entrambe le asset class avevano realizzato performance negative inferiori a quelle delle azioni in termini corretti per la volatilità.
Cinque mesi dopo, la situazione sembra radicalmente cambiata. La forte cooperazione tra banche centrali e governi è divenuta una consuetudine, spingendo gli spread obbligazionari su livelli non diversi da quelli osservati prima della pandemia in un momento in cui l’incertezza economica rimane eccezionalmente elevata.
rendimenti obbligazionari, già bassi prima che la recessione colpisse, sono diventati ancora più esigui, causando un notevole aumento della duration. Questo vale in particolare per il credito investment grade statunitense, per il quale la durata media è aumentata di un anno intero dai minimi di marzo, fino a 8,7 anni a fine agosto.
Con spread che si contraggono di ben 250 punti base a 130 punti base, le obbligazioni investment grade sono ora molto più esposte al rischio di durata, aspetto che non apprezziamo particolarmente. Ciò significa che il fascino delle azioni rispetto alle obbligazioni è aumentato.
A dire il vero, le azioni non risultano economiche – anzi, nel caso degli Stati Uniti sono assolutamente costose – ma all’interno di un portafoglio multi-asset quello che conta è la valutazione relativa.
Inoltre, i recenti sviluppi economici depongono a favore delle azioni. Se continuiamo a credere che una ripresa a V sarà difficile da realizzare, gli sviluppi in alcuni ambiti dell’economia corrispondono a questa definizione.
Le vendite al dettaglio, ad esempio, sono già al di sopra dei livelli pre-Covid in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti. Anche le prospettive per gli utili aziendali sembrano un po’ più rosee.
I dati relativi al secondo trimestre sono stati migliori del previsto: le aziende statunitensi hanno superato le aspettative con il più ampio margine possibile. Di conseguenza, la base di partenza per una ripresa degli utili è nettamente migliore di quanto stimato in precedenza. In secondo luogo, non dobbiamo sottovalutare l’impatto della leva operativa.
Il rovescio della medaglia della lenta ripresa del mercato del lavoro, dove non esiste una ripresa a V, è che le aziende si concentrano sulla crescita della produttività e sulla riduzione dei costi nella loro attività di ripresa.
Dunque, se è discutibile che i dati sul fatturato l’anno prossimo torneranno ai livelli pre-Covid, la leva operativa aiuta gli utili per azione a recuperare più rapidamente – elemento che gli investitori sembrano in qualche modo trascurare in questi giorni.
Le condizioni monetarie rimarranno estremamente accomodanti e le banche centrali continueranno ad intervenire qualora lo riterranno necessario. I titoli azionari hanno la capacità di ammortizzare questo flusso di notizie, molto più delle obbligazioni.
Nel frattempo, la battaglia in vista delle elezioni presidenziali americane del 3 novembre tra il repubblicano Donald Trump e il democratico Joe Biden potrebbe modificare il sentiment. Le elezioni americane sono tra i potenziali catalizzatori in grado di ostacolare il rally del mercato azionario.
Con la situazione economica in continuo miglioramento e i casi di Covid-19 in calo, le probabilità che Trump conquisti un secondo mandato sono destinate ad aumentare.
Questo alimenterebbe le discussioni sugli stimoli fiscali e sulla sostenibilità del debito, che hanno meno probabilità di verificarsi in caso di vittoria di Biden. Per essere trasparenti, qualsiasi dubbio sugli stimoli si tradurrà in un calo dei mercati degli asset rischiosi.
Anche una netta battuta d’arresto nei tempi di commercializzazione di un vaccino infierirebbe sul sentiment.
I mercati stanno attualmente scontando l’annuncio di un vaccino in grado di dare una svolta da qui alla fine dell’anno. Sebbene attualmente siano otto i vaccini in fase di test di efficacia su larga scala, non è ancora stata trovata una cura efficace per il Covid-19.
E non dimentichiamo il rischio che la fiducia dei consumatori non si riprenda completamente. Colpita da massicci licenziamenti e dalla lenta ripresa dei mercati del lavoro, negli Stati Uniti è scesa al minimo storico degli ultimi di sei anni. Senza ulteriori stimoli, questo graverà sulla spesa dei consumatori.
In Europa la fiducia dei consumatori ha in qualche modo segnato un recupero, ma rimane significativamente inferiore ai livelli pre-pandemia. Infine, la stagionalità incide negativamente: in questo periodo dell’anno le azioni tendono mediamente ad incontrare una certa difficoltà.
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