Se non avete visto questa scena, quindi non avete guardato questo incredibile film, capolavoro di ironia, fatelo al più presto. Un capolavoro che già dal titolo – Non ci resta che piangere – suggerisce che la soluzione della vicenda non stia in un pianto, bensì in una serie di circostanze rocambolesche che portano a una fine più che pacifica e senza gli strascichi delle difficoltà che i protagonisti della pellicola si ritrovano ad attraversare, catapultati misteriosamente in un tempo remoto.
Bene, torniamo a noi. Mi auguro non vi abbia neppure sfiorato l’idea che io mi stia riferendo a una situazione, quella della finanza, che invece riporterebbe a un possibile epilogo disperante. Niente affatto. Piuttosto in questa scena sembra potersi riconoscere uno straordinario richiamo a situazioni di consulenza in cui di questi tempi potrebbe capitare di trovarsi.
Situazioni in cui – paradossalmente ma solo apparentemente – la veste del saggio Leonardo (che saggio lì però non sembra), ricorda (nessun si offenda) la figura di chi in quella sede dovrebbe essere competente, e che invece cade su questioni apparentemente semplici.
Parlo del Consulente Finanziario che è, e sempre sarà, ci mancherebbe, chi sa di finanza o meglio chi ha studiato o, vogliamo dire, ha le competenze per ricoprire quel ruolo. E tuttavia, occorre dirlo, proprio costui, di questi tempi, potrebbe trovarsi in difficoltà nel comprendere il ragionamento del suo cliente, per quanto questi dimostri di essere assolutamente razionale e lineare.
Il rapporto tra competenza e intelligenza
Pensiamoci (mi ci metto dentro anche io). Il Leonardo Da Vinci del film è costretto a fare un ragionamento su un gioco di carte che nascerà ben dopo di lui e del quale, perciò, non può avere i mezzi per cogliere le regole. Vero.
Tuttavia sua maestà Leonardo, per la sua genialità non meno che preparazione, potrebbe intuire lo stesso quelle regole; lui infatti, a differenza del povero cittadino che gli sta di fronte, avrebbe gli strumenti necessari a capire gli altissimi ragionamenti per arrivarci, e gli risulterebbero così manifeste, immediate, semplici, quasi intuitive….
Esattamente come sta cercando di rendergliele lo straordinario Troisi, nei panni di quello sventurato cittadino, che dalla sua contemporaneità si ritrova improvvisamente all’epoca del maestro Da Vinci. E invece proprio lui, Leonardo, non sembra riuscire a seguire una semplicissima spiegazione di un altrettanto ovvio gioco di carte.
Ieri una mia cliente di oltre 80 anni mi ha contattata per chiedermi a che punto fosse un riscatto di una polizza di gestione separata di cui aveva fatto richiesta recentemente. «Scusi dottoressa», mi ha detto, «ma non era meglio disinvestire altro dal portafoglio? Perché quella aveva capitale garantito, gli altri titoli in portafoglio no». Di impatto le ho risposto così: «Lei mi ha detto che non era interessata a una polizza perché ha già predisposto la ripartizione del patrimonio, e non le dava niente.
Quindi abbiamo mandato avanti il riscatto della polizza perché sono sei anni che ha quell’investimento e non le ha reso nulla. Gli altri strumenti, certo, oggi sono in flessione, ma sono strumenti che distribuiscono cedole e hanno una durata da rispettare».
Non continuo… Ripensandoci, mi sono resa conto che in fondo la signora aveva cercato di trasmettermi una sollecitazione del momento storico, chiamasi capitale garantito, a fronte della quale valevano molto meno le considerazioni sulla durata di un investimento diverso a fronte della quale ottenere un rendimento.
Una saggezza difficile da tradurre
Come vedete, ci si ritrova nella scena del film che vi ho mostrato, che mi ricorda circostanze nel piccolo della mia stanza di consulenza, ma, forse più in grande, situazioni di confronto tra gli esperti di finanza e gli investitori che sottopongono loro interrogativi e anche ragionamenti che in realtà andrebbero maggiormente approfonditi. Ora più che mai. E così spesso ci si ritrova nei panni di Leonardo, quasi impotenti se non quasi inesperti.
Perché proprio nelle attuali domande o addirittura interpretazioni delle vicende di Borsa da parte degli investitori può rivelarsi con maggior semplicità, se non destrezza, più evoluta di quella del passato, una saggezza che noi consulenti facciamo fatica a tradurre.
L’investitore di oggi è diverso: ha attraversato la crisi del 2008 e quella del 2011, quindi è stato catapultato nel 2018 per poi cadere nuovamente nel 2020. E tutti questi passaggi sono entrati nella sua mente, hanno progressivamente costituito il suo ragionamento finanziario fino a renderlo attore e non più vittima del sistema. Meno male.
Al punto che a volte gli investitori, pur non avendo il criptico gergo con cui noi consulenti ci esprimiamo, sono addirittura più evoluti di noi nella declinazione dei significati. Quasi li si potesse davvero identificare con lo sventurato cittadino venuto dal futuro del film. Quasi siano ora in grado di spiegarci come sia questa situazione finanziaria, con le sue improbabili regole del gioco. E quasi noi fossimo costretti ad ascoltarli ancora di più, non per dire poi la nostra come sempre, o non solo, ma piuttosto per capire il loro modo di pensare.
Che, attenzione, non è più riducibile a una mera istintività. Non per esserne condizionati – perché il nostro lavoro dobbiamo farlo, soprattutto ora – ma per poter essere più competenti. Non solo perché, come il mitico Leonardo della scena, per preparazione siamo più consapevoli di certi meccanismi di Borsa, ma perché più capaci di capire il pensiero, il ragionamento tutt’altro che banale dell’investitore.
Forse non è più il tempo dell’educazione finanziaria, ma della vera competenza sì. Quella che si ritrova nella capacità di comprendere le regole del gioco come ce le spiegano i clienti.
Alla prossima!