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Perché le dimissioni di Truss interessano l’investitore (globale)

Non sono le "grandi dimissioni" come fenomeno sociale di cui si discute tanto, ma la rinuncia della premier inglese Liz Truss riguarda comunque una platea molto più ampia dei soli sudditi di Sua Maestà. Perché è indice dell'incapacità di molti governi di risolvere la crisi economico-finanziaria

Ottobre 24, 2022
dimissioni Truss
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

La dimissioni

Questa settimana sono stata invitata a un evento davvero interessante dal titolo “La grande dimissione”.

The Great Resignation e il ruolo strategico dell'HRA tema, appunto, il fenomeno sempre meno gestibile nelle aziende delle dimissioni dei lavoratori, quelle che riguardano non certo quanti devono effettivamente cambiare lavoro, avendo già percorso una strada professionale, e vogliono portarla a una effettiva evoluzione (cambiare lavoro è in molti casi necessario per cambiare forma mentis), ma quanti non avrebbero, all’apparenza, motivi reali per abbandonare il loro contesto professionale, o per il troppo poco tempo trascorso dal suo inizio o semplicemente per l’assenza di ragioni precise. Almeno all’apparenza.

Perché, come ho detto io stessa all’evento di cui sopra, le dimissioni hanno sempre una ragione, non sono quasi mai frutto di una presunzione, quanto piuttosto di una maturata consapevolezza, anche nel brevissimo.

E succede che la vera mancanza a questo punto non venga da chi si dimette, quanto piuttosto da chi riceve le dimissioni, i manager HR, che – qui è stato il tema del dibattito – non sempre riescono a oltrepassare il fatto capitato per comprendere dove stia il punto, e da lì partire per un reale cambiamento della realtà aziendale in cui essi stessi si ritrovano a esercitare le loro funzioni direttive.

Peccato che sia necessario sempre guardare oltre i fatti per capire cosa stia davvero succedendo, e per tentare di reperire le cosiddette soluzioni.

Quelle stesse che in quell’incontro non si sono potute trovare sul momento, anche se il fatto stesso di parlarne tra manager HR di rinomate aziende e dipendenti o ex dipendenti di vari contesti, abbia reso possibile il porsi del cosiddetto problema.

Questa odiatissima parola che si fa fatica a citare, e che pure in qualche caso occorre mettere a tema.

Guardare a Londra per capire il mondo

Di tutt’altro tipo, ovviamente, sono altre dimissioni di cui si è parlato moltissimo in settimana. Oltremanica è successo l’imponderabile: nientemeno che la premier inglese Liz Truss, dopo soli 44 giorni di governo si è dimessa. Ma come? Che modi sono? Ma che sistema è?

A causa sua, per le sue comunicazioni finanziarie poco efficienti (e voglio essere carina), quel mondo così capace di stare da solo al punto da dividersi dal resto dell’Europa, caratterizzato da sempre da una sorta di distinzione a priori (di cui la moneta ne è stata espressione), ha fatto davvero una bruttissima figura. E proprio colei che ha rappresentato il partito della tradizione in Gran Bretagna, lo ha messo davvero in ridicolo.

Più o meno questo il tenore delle reazioni su tutta la stampa.

Ora, è assolutamente vero che gli errori non sono mancati nella sua comunicazione e nelle sue imperfette decisioni. Una politica fiscale fautrice di deficit insostenibile, proposta da chi avrebbe dovuto farsi carico di capire prima di parlare, pensare prima di comunicare, proprio non è accettabile.

Come non è ammissibile che una premier abbia potuto prima dire e poi rettificare quanto detto. Insomma, la leader ha mostrato una assoluta imprecisione nella capacità di governare un paese oggi. Oggi.

La finanza prende nota di tutto

Ecco il punto. Il fenomeno delle dimissioni di Liz Truss ha fatto vedere esattamente questo: che è stato impossibile, in queste circostanze, governare un Paese come il Regno Unito. E così la finanza ne ha preso nota. E i portafogli pure. Alla solita maniera.

Comunicate le dimissioni, fatto negativo di per sè, i rendimenti dei titoli di Stato inglesi si sono mostrati nuovamente addomesticati e calmierati e sterlina è andata al rialzo, fatti positivi di per sè. In una parola: la solita reazione superficiale, la solita reazione di impatto.

Perché qui la finanza si è comportata esattamente come quei manager HR che alla ricezione di certe dimissioni cosa fanno? Reagiscono di impatto senza andare alle ragioni di quelle dimissioni. E infatti la finanza solitamente riflette poco, ultimamente ancora meno.

E riflette pochissimo perché si ferma al dato, senza andare oltre. Come di fronte alle dimissioni di Liz Truss ha brindato, così esplode con dati impensabili in quest’epoca di ristrettezze in generale, a fronte di dati che in USA possano dare l’idea che il contesto economico rallenti, si deprima, pensando che allora la dinamica irrevocabile (al momento) del rialzo dei tassi possa fermarsi.

Perché? Perché la finanza è il fenomeno che sempre più si sta decorrelando dal contesto vero dell’economia e della realtà tutta. Pensiamoci. È come se, di fronte a fenomeni apparentemente tutt’altro che positivi, la finanza pensi che vada bene così. Senza capire cosa stia realmente succedendo.

Credo invece sia il caso di sentire la vera eco dietro alle dimissioni di Truss, ben tracciata da un articolo del Wall Street Journal di questa settimana, dove si dice chiaramente che quelle dimissioni devono essere lette nel contesto più ampio di un disagio che riguarderebbe tutti i governi oggi.

Alta inflazione, alti tassi di interesse, aziende che devono sopportare questa situazione. Banale ma vero.

Al punto da mettere a tappeto in 44 giorni la premier del Paese forse più presuntuoso (passatemi l’aggettivo) dell’Occidente, quello che ha creduto di farcela da solo, dividendosi da tutti gli altri Paesi europei, sin dal giorno in cui ha voluto tenersi la sua moneta, per arrivare al fatico giorno del divorzio, la Brexit odiatissima anche da molti inglesi.

Le soluzioni rapide non sono buone soluzioni

Ma se è vero che le dimissioni di Truss hanno fatto emergere una incapacità totale di governare la situazione in un Paese apparentemente capace di salvarsi da solo, c’è da chiedersi se queste dimissioni riguardino in realtà potenzialmente un po’ tutti i contesti degli altri Paesi.

Si trova solo a parole la capacità di rimanere “fuori” da una vera crisi, come è detto a più riprese da un Jerome Powell o da un Biden, entrambi nei loro discorsi all’America e sull’America, rieccheggianti quei manager di grandi aziende che pur consci che la crisi al loro interno non li esenterà dall’essere travolti dalle grandi dimissioni, continuano a comunicare il presente e imperituro stato di salute del contesto da loro diretto.

La verità però è un’altra, e sta nel fatto che quelle dimissioni di Liz Truss sono state proprio a ridosso del tentativo di una rapida soluzione della crisi, rapida appunto, non ponderata.

Si capisce allora perché la finanza, nei movimenti di Borsa così istantanei, di questi tempi non va ascoltata.

Non va ascoltata se nell’arco di una giornata in USA gli indici salgono, solo perché sembra che l’economia rallenti, e questo suggerisce che la banca centrale non continui il suo percorso. Sembra, appunto. Non va ascoltata se in Inghilterra si brinda alle dimissioni della premier con una discesa dei rendimenti dei titoli di Stato e il rialzo della moneta, perché sembra che la situazione finalmente sia risolta, con la sua uscita. Sembra, appunto. Seguire questi movimenti non vuol dire investire.

Vuol dire essere coinvolti da quella stessa mancanza di consapevolezza che sta all’origine della permanenza in una assenza di soluzione, tale nelle aziende, tale nei governi.

Che sono ancora di fatto in pieno dibattito, alla ricerca di una via d’uscita dalla vera questione che sta dietro alle dimissioni, alla grande vera dimissione, di cui quella di Liz Truss è stata solo un esempio.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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