Zona Franca oggi incontra Eugenio Ferrari, Fondatore e Presidente di ASSORETIPMI, fondatore e presidente di Teamreti Italia, e Innovation Manager MISE.
«Provengo da 30 anni di attività manageriale nel settore del tessile abbigliamento, nell’area controllo di gestione, organizzazione e direzione generale», spiega. «Un settore formato da una costellazione immensa di artigiani, laboratori, micro e piccole imprese, che mi hanno portato nel 2011 a mettere a fuoco il sistema delle Reti di Imprese come quell’elemento per supportare la tenuta e la crescita dei sistemi produttivi territoriali italiani».
Piccole e Medie Imprese: sul piano dell’investitore è un mondo ancora sconosciuto: è d’accordo? Quando si parla di piccole e medie imprese credo prevalga, lato investitore, un grande pregiudizio che allontana l’incontro tra l’afflusso di capitali attraverso l’investimento e il tessuto imprenditoriale così classificato. Lei cosa ne pensa?
Il pregiudizio risale all’impostazione incentrata sempre, per queste dimensioni, sulla sola figura dell’imprenditore. In queste imprese è lui, spesso ancora “il paron”, ad accentrare su sé stesso tutta la forza gestionale e organizzativa con tasso di delega sempre basso.
La finanza invece per allocare investimenti ha bisogno di struttura solida, organizzazione funzionale e non ad personam, ha più necessità di azienda che di impresa, intendendo con azienda quella struttura in grado di produrre profitti già abbastanza consolidati e soprattutto di funzionare attraverso funzionigrammi e ampio ricorso alla delega; paradossalmente, ed estremizzando, una “macchina” in grado di funzionare in determinate circostanze anche in assenza dell’imprenditore.
Il mondo della finanza tuttavia negli ultimi anni ha capito che avrebbe dovuto interessarsi anche di imprese di dimensione medio piccola. Per le imprese già esistenti sono nati i minibond; sul fronte delle startup i Business Angel stanno cercando di supportare un sistema sempre più diffuso, ma che nel nostro Paese stenta ancora a decollare.
Noi poi ci occupiamo di Reti di Imprese, e su questo fronte purtroppo la finanza ordinaria è del tutto assente, ma stiamo cercando di capire se ci siano possibilità sul fronte del crowdfunding e di molti nuovi strumenti di finanza straordinaria. Ecco anche perché il recente protocollo d’intesa con Sardex a livello nazionale.
Soffermiamoci su un punto. Il tessuto imprenditoriale italiano mi risulta sia fatto per lo più proprio dalle piccole e medie imprese. E l’investitore italiano, anche imprenditore, non vi investe come preferenza. Secondo lei tutto questo è figlio della classica considerazione in cui è vista l’Italia: un Paese troppo indebitato, con burocrazia esagerata etc etc?
Non credo sia solo per questo, ma certamente le condizioni esogene e le caratteristiche di ogni sistema Paese hanno sempre rilevanza sull’azienda.
Vedo piuttosto la diffidenza nell’allocare finanza di medio lungo periodo per dimensioni troppo piccole a livello strutturale, scelte imprenditoriali che si misurano più nel breve o al massimo medio periodo e che quindi rendono molto incerto per un investitore, italiano o straniero, posizionarsi in operazioni che possono risultare rischiose proprio per questi fattori.
Veniamo al piano PNRR: si fa quasi fatica a ricordare quante R ci siano in questo acronimo, ma le R sono le più importanti, mi sembra, perché si parla di Ripresa e Resilienza. Lei ha in mente cosa potrebbe cambiare grazie a questo piano per il tessuto imprenditoriale che lei rappresenta?
Stiamo strutturando un programma formativo a favore dei nostri associati sul come partecipare a gare d’appalto soprattutto in forma aggregata (rete o filiera). Credo che questo sia il sistema, forse non l’unico ma certamente uno dei più concreti e rilevanti, che una piccola impresa abbia per accedere alle risorse del PNRR. Comunque siamo ancora in una fase di studio e osservazione su come sarà possibile sfruttare nel miglior modo questa grande opportunità per il nostro tessuto imprenditoriale.
Secondo lei come si potrebbe facilitare l’incontro tra la finanza (nel senso di chi investe) e le aziende piccole e medie? Pensa che si sia già pensato tutto o ha altre idee?
Ci vuole un sistema di garanzia, e comunque la quota di rischio rimane sempre molto alta. Se si parla di aggregazioni, si potrebbe pensare a una sorta di “consolidato di gruppo certificato” da società di consulenza specializzate, che oltre a certificare prima e monitorare costantemente l’andamento delle imprese poi, abbiano anche un mandato a investire, in pratica fondi che si accollino, attraverso sistemi di analisi consuntive, attuariali e predittive, le potenzialità degli investimenti in Reti e Filiere, secondo parametri e analisi anche sui settori più promettenti.
Dato il mio lavoro sono indotta a pensare che le piccole e medie imprese siano quelle che vengono a chiedere soldi alle banche, e dunque che io, come consulente finanziaria, abbia poco da coinvolgermi. Eppure penso che ci sia un grande mondo da esplorare. Ho ragione? Può illuminarmi?
Il rapporto Banca-Impresa è molto cambiato negli ultimi anni, si è irrigidito e si è spersonalizzato quasi completamente, lasciando spazio agli algoritmi e alle fredde procedure interne. Una volta il direttore di banca era anche un confidente, quasi un confessore, ma questo ha portato spesso a situazioni borderline sulle reali affidabilità dell’impresa, nonché a meccanismi clientelari. Però le piccole imprese avevano qualcuno su cui contare e un aiuto non solo finanziario ma anche psicologico.
Oggi la banca è un’entità di supporto finanziario meno amica del passato, e si opera con diffidenza sempre maggiore. Non sarà facile trovare un punto di incontro tra queste esigenze, tra la supremazia dell’algoritmo spietato e la comprensione sempre possibile nei rapporti umani, tra persone che sanno valutare il rischio ma anche le potenzialità di un’impresa oltre il freddo dato numerico.
Cosa pensa del mondo del risparmio? Ovvero perché un imprenditore medio-piccolo potrebbe rivolgersi a un consulente finanziario?
Il consulente finanziario è a mio avviso l’unico vero e possibile trait d’union tra questi mondi, le PMI e il mondo finanziario, che alle volte sembrano appartenere a galassie molto distanti l’una dall’altra. E anche in questo caso devono essere molto curati i rapporti umani e interpersonali, oltre alla qualità professionale di chi opera in questo campo.
È una figura chiave per quelle che potranno essere le esigenze e le possibilità di evoluzione e sviluppo di qualsiasi piccola impresa, lasciando l’imprenditore alla gestione operativa e affiancandolo nelle scelte di come gestire al meglio gli utili prodotti e migliorare la gestione finanziaria interna. Ovviamente si parla di consulenti preparati e capaci di calibrare le scelte in un portafoglio diversificato in grado di generare interessi ma senza mettere al rischio il patrimonio dell’impresa.