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PNRR, una rivoluzione anche per le nostre tasche

L'ingente mole di investimenti che sta per arrivare in Italia porterà a un cambiamento delle abitudini finanziare di imprese e risparmiatori, ancora troppo legati al capitale di debito e poco inclini all’utilizzo del capitale di rischio.

Novembre 19, 2021
PNRR
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Zona Franca oggi incontra Giuseppe Capuano, economista ed ex Dirigente al Ministero Sviluppo Economico dove ha diretto, fino a fine 2020, le Divisioni PMI e artigianato, Vigilanza Cooperative e Metrologia Legale. Esperto di PNRR e già responsabile dell’Area Studi e Ricerche dell’Istituto Tagliacarne – Fondazione Unioncamere, nell’ambito delle sue funzioni ha rappresentato l’Italia presso la Commissione Ue, l’OCSE, l’OILM e il BIPM.

È anche docente in Università italiane e straniere in Economia e statistica dello sviluppo territoriale, PMI e politica industriale e economia circolare e autore di quattro libri, l’ultimo dei quali “Covidnomics” è uscito a fine 2020 per LED edizioni.

Nuova economia e nuova finanza: questo è il tema che ho pensato di sottoporle. A lei cosa fa venire in mente? 

In questo particolare momento della nostra economia e, più in generale della società italiana ed europea, l’Unione europea sta supportando l’economia con una politica espansiva, contrariamente al passato, attraverso il finanziamento (circa 750 miliardi di euro di cui 191,5 destinati all’Italia, da impegnare entro il 2023 e spendere entro il 2026) delle cosiddette “transizioni gemelle” (digitale e ecologica).

Trasformazioni epocali, complesse e costose per la nostra economia e per le nostre MicroPMI, che dovranno necessariamente essere graduali.

Si tratta di un impegno pubblico/privato senza precedenti, superiore a quello del Piano Marshall degli anni ‘50, che graverà sulla nostra Pubblica Amministrazione notoriamente sottodotata di capitale umano sia in termini quantitativi che qualitativi.

Tale deficit amministrativo, sia centrale che locale, pone con urgenza la riflessione sulla necessità di chiedere, sin da ora, una proroga all’Ue per il PNRR per un arco temporale di spesa almeno fino al 2028/2030. Una proroga potrebbe essere salutare anche per la nostra economia che metabolizzerebbe meglio e in maniera più efficiente ed efficace l’ingente mole di investimenti, rendendo la ripresa strutturale e di medio-lungo periodo.

Tutto ciò, comunque vada, porterà anche a un cambiamento delle “abitudini” finanziare delle nostre imprese, troppo legate al capitale di debito (il nostro è un sistema bancocentrico) e troppo poco inclini all’utilizzo del capitale di rischio.

Una situazione resa ancora più difficile dalla scarsa conoscenza delle opportunità finanziarie offerte dal mercato come, ad esempio, il venture capital/private equity, segmenti dedicati alle PMI di Borsa italiana, minibond, etc.

Avendo ricoperto ruoli di responsabilità anche istituzionale, e quindi avendo visto la realtà dall’alto, secondo lei dove va la finanza?

Il problema è che i modelli/prodotti finanziari proposti al mercato italiano sono delle riproduzioni, in alcuni casi anche mal fatte, di soluzioni che nascono nel mondo anglosassone, dove una PMI può avere anche 500 addetti come avviene negli USA (la soglia massima secondo la definizione europea è di 249 addetti) che male si adattano a un universo di imprese formato prevalentemente di micro (94,5% del totale hanno meno di 9 addetti) e piccole imprese (poco più del 4,5% con meno di 49 addetti).

Di conseguenza, i policy makers insieme ai tecnici dei Ministeri dovrebbero proporre al legislatore prodotti agevolativi e finanziari “made in Italy” tarati sulle caratteristiche delle imprese italiane. Inoltre, si dovrebbe favorire una semplificazione delle procedure di accesso al capitale di rischio con dei percorsi “privilegiati” per le imprese di più piccole dimensioni e migliorare l’informazione e la comunicazione istituzionale.

Tradizionalmente il sistema economico si è mosso, almeno come intento, come sistema di scambio tra chi aveva poche possibilità di risorse e chi ne aveva di più. E la banca era la protagonista di questo scambio, con due compiti fondamentali: raccogliere denaro e impiegarlo. Ma qualcosa è cambiato. Concorda?

Occorre cambiare paradigma. L’intermediazione bancaria, pur avendo iniziato un percorso di cambiamento, è ben lontana dal traguardo.

Ancora oggi si guarda soprattutto alle garanzie offerte e ai bilanci secondo principi meccanici e automatici che non favoriscono la crescita del “capitale relazionale” tra banche e imprese.

Al contrario, occorrerebbe mettere al centro della strategia le buone idee e la storia dell’imprenditore e della sua reputazione, e finanziare non solo le imprese contabilmente più affidabili (secondo un approccio difensivo e meramente quantitativo), ma anche quelle più innovative e con prospettive di crescita.

Queste ultime, inoltre, dovrebbero essere supportate da programmi di informazioni e comunicazione più capillari ed efficaci, in modo da migliorare la loro educazione finanziaria e la consapevolezza che un investimento produttivo e innovativo possa essere possibile anche con il capitale di rischio, oltre che con quello di debito: per ogni 100 euro di investimento effettuato in Italia, ben 90-92 euro provengono da capitale di debito.

Nel nuovo sistema finanziario, veloce e quasi “meccanico”, lei come vede l’investitore? Lei appartiene alla generazione che investiva su immobili e titoli di Stato. Oggi cosa bisogna fare per mettere a reddito il patrimonio risparmiato?

Oggi, rispetto al passato, l’offerta finanziaria è più differenziata ma anche più complessa e di più difficile comprensione, con un aumento del rischio per il risparmiatore.

Di conseguenza occorrerebbe migliorare il loro livello di educazione finanziaria anche se, rispetto al passato, gli investitori hanno una propensione al rischio più elevata. Inoltre, considerando i rendimenti ormai negativi dei titoli di Stato e l’aumento della tassazione sugli immobili, oggi i risparmiatori sono più interessati a investimenti alternativi che a quelli tradizionali.

Immaginando che lei mi incontri nel mio ufficio dove svolgo l’attività di consulente finanziario, cosa mi chiederebbe e da dove partirebbe per capire se potrei essere il professionista che fa per lei?

Valuterei la capacità del consulente finanziario di partire prima dalla conoscenza delle mie caratteristiche (età, professione, titolo di studio, stato civile, ecc.) ed esigenze e solo dopo, determinate la mia propensione al rischio e le mie disponibilità finanziarie, di valutare l’utilizzo di specifici prodotti finanziari. La capacità, quindi, di costruire un “portfolio” specifico alle mie esigenze.

Che consiglio darebbe ai consulenti finanziari e agli investitori, per essere al passo con la nuova economia e con la nuova finanza?

Ai primi direi di ascoltare di più, e di anteporre le legittime necessità aziendali e commerciali a quelle del risparmiatore, costruendo un portfolio su misura, mettendo al centro la persona e non esclusivamente l’esigenza aziendale di vendere un prodotto finanziario.

Ciò favorirebbe la costruzione di un clima di fiducia reciproca con relativa crescita del business.

Ai secondi suggerirei di informarsi di più e di essere più consapevoli delle proprie scelte, affidandosi, comunque, a consulenti di propria fiducia evitando il “fai da te”.

 

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Maria Anna Pinturo

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