Zona Franca oggi incontra Silvano Maggio, Dottore Commercialista e revisore legale, membro direttivo ANCP e Professionista accreditato dell’associazione “Il trust in Italia”.
«Svolgo da 45 anni l’attività di commercialista e da una ventina circa, grazie al team di giovani professionisti che collaborano in studio, riesco a dedicarmi anche a questa meravigliosa disciplina: la consulenza patrimoniale».
Quasi Quasi ti sposo! Questo è il tema che ho pensato di sottoporle, alludendo a una tematica piena di criticità: la convivenza. Quante volte con i clienti mi trovo a puntualizzare che la condizione di condivisione di una vita e di un appartamento non può essere solo sinonimo di relazione, ma deve essere anche affrontata in termini di criticità potenziali strettamente connesse a questa scelta. Lei come reagisce a quanto le sto dicendo?
Mi trova perfettamente d’accordo. Per farmi capire credo, direi che una relazione con una persona configura sempre, dal punto di vista giuridico, un rapporto giuridico.
Di questo ne sono perfettamente coscienti le coppie che hanno alle spalle un contratto di matrimonio, per quanto anziane o digiune di diritto.
Sanno esattamente cosa comporta la morte di uno di loro in termini di TFR, di successione, di diritti sulla abitazione comune, di pensione reversibile e quant’altro…
Ben diversa è la coppia di giovani laureati conviventi che a malapena sono informati sul contenuto piuttosto che sulla stessa esistenza della Legge Cirinnà.
Perché oggi la scelta della convivenza, vissuta come non-scelta, ossia come abitudine e quindi senza affrontare alcune questioni, può approdare a vere e proprie patologie? Quali sono secondo lei le più pericolose?
Ce ne sono talmente tante da poter riempire un libro, come del resto sto facendo, intitolato Le patologie delle convivenze, che prometto di mettere a disposizione di Zona Franca in versione digitale non appena pronto.
In questo testo si trova di tutto: dalla necessità di stipulare un contratto di convivenza che almeno preveda le regole da seguire in caso di fine rapporto, ai disastri economico-finanziari provocati da una semplice collaborazione prestata al coniuge artigiano.
In evidente contrasto con la semplicità della soluzione che tutto ciò può evitare.
Il cuore della questione si apre quando chiedo a un cliente, che convive da anni con una persona, «lei come pensa di gestire il suo patrimonio rispetto al partner?» Normalmente mi risponde che ci deve pensare… oppure più spesso e più drammaticamente che hanno i conti separati e ciascuno fa per sé. Come reagirebbe lei a queste parole?
Incoscienza allo stato puro. È giusto che ognuno faccia come crede, ma almeno che la scelta non sia frutto di ignoranza: questo non può essere scusato. È purtroppo “normale” constatare come il convivente ignori ad esempio che la legge Cirinnà nulla attribuisce all’erede del convivente.
In caso di morte del convivente, al danno si vede aggiunta la beffa: ci sarà una eredità che, per quanto modesta, è destinata agli anziani genitori del defunto piuttosto che ai suoi fratelli… È quello che si vuole, dopo una vita vissuta more uxorio?
Se poi comincio a prenderne atto, perché mai non faccio il passo successivo e mi preoccupo di sapere se posso efficacemente e magari con successo trovare una soluzione che costituisca un riconoscimento al convivente, prima ancora che il trasferimento di un patrimonio? Questo evidentemente nel caso in cui la persona con cui vivi ti sta a cuore…
Se, al contrario, intendo il rapporto di convivenza come espressione di libertà, e non voglio che il mio patrimonio ne venga scalfito nemmeno minimamente – «è mio e deve restare mio» – in caso di mia morte e durante la vita, ne prendo atto e vedo di tutelarmi di conseguenza.
Si tratta di uno scenario opposto che però ha ugualmente la necessità di essere tutelato, e non bastano certo i conti separati… Mi fa venire in mente un caso.
Il convivente che si presenta il 1° di agosto di un anno fa e mi racconta che la compagna lo ha invitato a fare le valige e andarsene da casa.
Peccato che la casa è di sua proprietà, e in più ogni mese è gravata da una rata di mutuo.
Il mio cliente da quel momento deve abitare altrove, sobbarcandosi il costo di una locazione, oltre alle spese per i due figli minori.
In questi casi occorre prendere coscienza e organizzarsi prima, con tutti gli strumenti che la consulenza patrimoniale mette a disposizione.
E qui vorrei tirare in ballo i consulenti finanziari che non comprendono l’importanza di sviluppare una consulenza patrimoniale completa, a 360°, quando sembra che non se ne tragga un immediato tornaconto.
Devono utilizzare lo spazio e la fiducia che il cliente loro riconosce, prima che altre categorie (commercialisti, avvocati) occupino questo spazio.
Se invece il cliente è orientato da subito a tutelare il convivente, se le dico: anagrafe, contratto di convivenza, polizza, testamento, lei aggiunge qualcosa o rettifica?
Quella che io chiamo la “cassetta degli attrezzi” del consulente patrimoniale specializzato è per fortuna ben più ampia di questi che potremmo definire gli strumenti giuridici tradizionali, quelli che lei ha menzionato e altri ben più performanti tra cui il trust e ancor più il Contratto di affidamento fiduciario, sconosciuto ahimè al mondo dei professionisti, fino all’ampio bacino rappresentato dalle norme del diritto commerciale che tante soluzioni, spesso blindate, offre.
Lo dimostra il mio testo La successione innovativa, che affronta ben 18 casi nella vita del privato e dell’imprenditore e che tali norme usa a piene mani. In generale, tuttavia, è sovente l’utilizzo combinato di più istituti che riesce a fornire il vestito su misura al cliente.
Parliamo di Società Semplice. Giorni fa, in occasione di un appuntamento, un cliente che si poneva (bontà sua!) l’obiettivo di tutelare la persona con cui convive da anni, davanti alla mia proposta di Società Semplice ha sgranato gli occhi. Ci può dare una spiegazione del perché la Società Semplice può essere una risposta sia in vita sia come destinazione del patrimonio nel caso di conviventi?
L’utilizzo concreto, dal punto di vista giuridico e fiscale, della Società Semplice, presenta ben tre scenari, che riassumono il panorama della convivenza.
Primo, la società semplice quando si voglia, in vita, riconoscere un reddito al convivente; secondo, il caso in cui si voglia riconoscere in aggiunta, e in vita e in caso di morte, un patrimonio, piccolo o grande che sia.
Da ultimo il caso, ahimè più richiesto e gettonato, e che risponde all’affermazione: «In vita il padrone sono io, decido io sul reddito e sul patrimonio da riconoscere al convivente».
L’utilizzo della società semplice porta con sé un notevole ventaglio di vantaggi: fiscali, sempre ben accolti; costi contenuti in sede di costituzione e pressoché inesistenti nel proseguo; prospettive di soluzioni interessanti su altri fronti che io reputo più importanti: uno per tutti, la possibilità di far pervenire il proprio patrimonio escludendo coniugi e conviventi dei figli; non bastasse, volendo, abbinata alla garanzia di far pervenire il patrimonio ai nipoti.
Non è facile centrare tanti obiettivi e di questa portata con un solo, semplice strumento giuridico.
Tornando al consulente finanziario, questi come tutti i professionisti, deve pensare che la formazione e lo studio continuativo devono fare parte integrante del suo lavoro. Questo è il tema fondamentale del professionista di oggi di tutti i professionisti: dal commercialista all’avvocato al notaio. Diversamente è destinato a sparire o morire di inedia.