Avere un obiettivo è fondamentale a tutte le età, perché non conviene mai "tirare i remi in barca". Troppi pensionati, però, scontano un blocco culturale. Vediamo quale
Oggi parliamo di pensioni. Anzi no. Di pensionati. La correzione è doverosa perché di questa “classe sociale” potremo sempre discorrere, mentre il termine pensione potrebbe nel tempo scomparire dal vocabolario e dai bilanci del nostro paese… o almeno non essere nominata per rispetto all’intelligenza dei contribuenti.
Parliamo di chi oggi incassa la pensione. È uscito il 12 novembre un approfondimento su Morningstar (noto sito che offre analisi, guide, consigli e molto altro su milioni di prodotti finanziari) che mi ha indotto a pensare che occorra fare una valutazione che parta da un punto di vista personale, quello direttamente espresso da questo profilo sociale (possiamo chiamarlo così?). Il titolo del testo che riporto a fondo pagina è interessante: L’Equity è un investimento adatto negli anni della pensione?
Ebbene, permettetemi di cambiarlo (sapete che spesso lo faccio nei miei articoli…) in: L’Equity può essere uno strumento di investimento per rispondere agli obiettivi di un pensionato? Ho letto e riletto il testo di Morningstar e non ho trovato traccia di questo ragionamento, che parte dalla domanda fondamentale che dovremmo porre a chi è in questa fascia di età, così come a tutti gli altri investitori: quali sono oggi i tuoi obiettivi? Si parla in esso diffusamente del perché l’azionario possa essere adatto ai pensionati, ma non a partire da quella fondamentale domanda.
Stravagante eh? Quasi non dovessimo vestire l’abito corretto davanti a chi ha superato l’età di mezzo (in fondo quello di chi scrive l’articolo è l’abito del consulente, che identifica la corrispondenza dello strumento finanziario a una certa categoria di persone…), quasi che i pensionati appartenessero a una categoria non più da “approfondire”. Mi correggo: è vero che si tende focalizzarsi su questa fascia di età per rivolgere “altre domande”, quelle ad hoc (doverose direi!) per identificare non l’investimento, bensì la pianificazione del patrimonio in vista del passaggio successorio ai propri eredi.
Invece il pensionato, proprio nel rispondere a quella domanda, si identifica come un investitore, oggi più che mai. E per un motivo molto evidente, che l’autore di Morningstar riconosce quando scrive: «Il primo motivo è che l’aspettativa di vita sta diventando sempre più alta».
Perché allora, se il pensionato è a tutti gli effetti ancora ascrivibile a una categoria di investitore cui porre “tutte le domande” per comprendere i suoi obiettivi, l’asset azionario quasi stride con chi oggi incassa una indennità di sussistenza? Capita infatti che non solo nelle parole del pensionato la parola “azione” sia causa di un’emotività non gestibile – fino a fargli provare paura ancora prima di investire in questa tipologia di asset – ma anche nella stessa mentalità del consulente spesso si apre una vera e propria sospensione di giudizio nell’ipotizzare che sia possibile proporre a un pensionato l’investimento azionario.
Quello che il pensionato non dice, perché non ne ha piena coscienza (e di conseguenza neanche il consulente), è un limite che viene da lontano. Leggiamo un estratto dell’articolo uscito su Milano Finanza del 14 novembre, nel punto un cui si sofferma sui fondi pensione:
Negli Stati Uniti tutti si interessano alle vicende di Wall Street perché il 60% degli americani ha investito la propria pensione in borsa. In Italia i fondi pensione, che gestiscono masse per 250 miliardi di euro, investono solo il 2% sul listino azionario, mentre negli altri Paesi sviluppati tale percentuale oscilla tra il 30 e il 60. Occorre una politica che incentivi coloro che versano i contributi pensionistici a diventare anche investitori.
Dobbiamo doverosamente distinguere il pensionato italiano da tutti gli altri, dunque. E capire che questo “limite” nasce da un’intera cultura dell’investimento che da sempre ha educato l’investitore italiano a concepire il risparmio come un patrimonio da proteggere più che da investire, e da conservare più che da rischiare. Prova ne è il legame quasi psicologico che l’investitore italiano ha con i titoli di stato, comprati in collocamento anche con rendimenti negativi. Paradosso.
Questa mentalità così radicata non può che manifestarsi ulteriormente consolidata nel pensionato, che dunque tenderà a non approcciare l’asset azionario, benché, confermo, sia adatto anche alla sua età.
Allora, a cosa serve chiedere a un pensionato quali siano i suoi obiettivi per capire se e come possano c’entrare anche gli investimenti azionari? Se è pur sempre un investitore che oggi vive più a lungo, e dunque è ancora orientato a un orizzonte temporale che potrebbe suggerirgli questa tipologia di asset, con questo grande “limite” ben radicato nella sua mentalità, dove troviamo la possibilità di rendere «adatto» l’equity anche a chi oggi è in pensione?
Vediamo. Innanzitutto esistono eccezioni nella realtà. Sempre. Ci sono pensionati (ho dei clienti così, vi garantisco) che vogliono investire nel settore azionario per puro passatempo (è questa la risposta che danno alla domanda «qual è il suo obiettivo?»). Qui emerge una tipologia di investitore che chiamerei “bifronte”: se propongo loro di investire con pesi equilibrati una parte del patrimonio in azionario, si irrigidiscono e obiettano, tornando alla più antica e ben radicata cultura che accomuna tutti gli investitori italiani a “figli dei btp”. Se invece sono loro a farmi “le proposte di investimento” scatenano l’immaginazione alludendo a ipotesi di strumenti dalle più disparate volatilità. Ebbene, io li lascio parlare e seguo il loro approccio. Acconsento alla loro “iniziativa”, ma a una condizione: che sia chiaro quali rischi si celano dietro quelle “scelte” e quali emozioni potrebbero suscitare in loro. E qui purtroppo il memento non è mai sufficiente, pertanto faccio loro degli esempi con i “loro soldi”, e solitamente le “quantità” che avrebbero originariamente pensato di dedicare al delizioso passatempo si riducono all’istante. Inoltre assecondo questo sbilanciamento se il patrimonio accumulato lo consente: giocare sì, ma non rischiare di perdere l’essenziale per vivere.
Se nell’esperienza citata è il pensionato che manifesta la sua voglia di osare, vi è un altro caso in cui il Consulente può invece essere il mentore per illuminare questa categoria di investitore aiutandolo ad identificare l’asset azionario come veramente funzionale anche alla sua età. L’investimento azionario può infatti assolvere al difficile compito di recuperare valorizzazioni rispetto ad altri asset deludenti o in perdita. È costante l’esperienza di portafogli di pensionati ricchi di “assenza di rendimento” o in perdita costante. Qui potremmo parlare di tattica di portafoglio. Cosa è fondamentale? Nell’ordine: gestione della volatilità nello strumento prescelto (mi colpisce che Morningstar non parli di “come”, in quali “forme” si possa proporre a un pensionato di investire in azionario…), evitando le emozionanti azioni e spostando l’attenzione su strumenti che mediano i prezzi (niente di straordinario, trattasi ad esempio dei fondi), approfittando di quelli con una minore deviazione dai livelli medi di performance e magari con indicatori di performance migliori.
E poi, non in secondo piano per importanza, per noi Consulenti, impegno su un tempo, che sarà comunque una scommessa senza certezze, sebbene promettente. Spiegare di quale strumento si sta parlando e decidere un tempo insieme all’ investitore, in particolare pensionato, all’interno del quale si decide di optare per l’asset azionario per recuperare posizioni deludenti, è un vero e proprio impegno da prendere e da osservare. Funziona? Si funziona, non perché le promesse vengano sempre mantenute né le aspettative precisamente confermate, ma perché se si è spiegato bene all’investitore, oggi pensionato, cosa si può fare per rispondere ai suoi desiderata (obiettivo lo abbiamo chiamato); accade però che quel tempo deciso in primis, sebbene non esattamente coincidente con quello stimato nel piano iniziale, proprio per la volatilità che il tipo di strumento comporta, arriva a consolidare il rapporto stabilitosi all’interno di questa sorta di “partnership”. Si chiama esperienza di consulenza.
Vi è infine una terza conferma, se vogliamo, della “adeguatezza” dell’investimento azionario al pensionato. Peccato che anche in questo caso sia difficile che questo profilo di investitore ne riconosca la valenza. Accade invece che il pensionato arrivi alla comprensione dell’efficacia dell’asset azionario solo dopo aver compiuto il passo, dopo averne visto gli effetti. Parliamo del bilanciamento del portafoglio. E qui scusatemi la franchezza: che senso ha un portafoglio fatto solo di obbligazionario? Mi torna in mente un cliente (pensionato, lo cito appositamente) che da sempre investe solo in obbligazioni e nel tempo ha avuto le sue sconfitte o ha addirittura visto “il nulla del rendimento” di alcune di esse, e quando si è spinto oltre ne ha visto anche l’effetto devastante in termini di abbattimento in percentuale importante del capitale (chi ha mai detto che le obbligazioni siano così diverse dalle azioni? Ne ho scritto in Mai dire Obblig-azione!). Ebbene, nonostante negli anni abbia sempre provato a proporgli di “diversificare” il portafoglio inserendo una parte in azioni, mi ha risposto sempre di no. Secco, radicale. Perché? «Perché ho paura», diceva… poi, negli ultimi anni, «perché non ho più l’età». Ma ogni volta che esaminiamo la sua posizione, che lui chiama “portafoglio”, io lo correggo e dico “contenitore di titoli”. Lui sorride, e si ricomincia… Quanto è invece importante, anche per un portafoglio di un pensionato, bilanciare gli asset inserendo strumenti azionari! E quanto questo effetto si manifesta dove ha spazio per emergere!
Ci siamo: ora che avete letto le tre “vie” con cui si può palesare quanto l’azionario sia adeguato anche a un pensionato, ditemi la verità: guardate nello stesso modo questa categoria di investitori?
Alla prossima!
Da www.morningstar.it del 12/11/2020
L’equity è un investimento adatto negli anni della pensione?
La risposta è sì, ma ci sono alcuni rischi da considerare.
Si può investire in azioni anche durante l’età della pensione? Non è possibile rispondere in maniera secca con un sì o un no e dare un’unica soluzione che sia valida per tutti, poiché ci sono molti fattori che entrano in gioco. Dipende dalla situazione patrimoniale, dall’orizzonte temporale (non è lo stesso investire a 65 anni che a 80) e soprattutto dal livello di rischio che si è in grado di assumere (in teoria il livello di rischio diminuisce con l’età).
Tuttavia, bisogna tener conto anche della situazione dei mercati. Per questo la domanda dovrebbe essere formulato nel modo seguente: nell’ipotesi che il pensionato possa assumersi del rischio, gli converrebbe investire in azioni se avesse un orizzonte di medio-lungo termine e volesse ottenere un rendimento dai suoi risparmi? La risposta allora sarebbe sì.
Molto tempo fa, quando i tassi di interesse erano pari al 5% o 6% e i depositi bancari offrivano rendimenti davvero interessanti, i pensionati non avevano bisogno di investire in azioni per ottenere un rendimento decente. Va anche detto che quando i tassi di interesse erano generosi, anche l’inflazione raggiungeva generalmente livelli elevati.
Oggi, con tassi di interesse ai minimi storici o addirittura in territorio negativo, è molto difficile ottenere un rendimento apprezzabile investendo esclusivamente in prodotti a reddito fisso.
Perché investire in azioni
Nella mente dell’investitore c’è l’idea che nell’età della pensione si consumino i propri risparmi e investimenti e che quindi la fine del periodo lavorativo segni la linea di demarcazione tra la fase di accumulo e quella di decumulo. In un mondo ideale (soprattutto per coloro che hanno accumulato ricchezze significative) questo può essere vero, ma per la stragrande maggioranza dei pensionati questa immagine non corrisponde alla realtà. E questo per diverse ragioni.
Il primo motivo è che l’aspettativa di vita sta diventando sempre più alta. Se viviamo più a lungo avremo dunque bisogno di più soldi durante il periodo del pensionamento.
Il secondo motivo è il desiderio di mantenere lo stesso tenore di vita. A questo proposito facciamo un esempio: ipotizziamo che un pensionato sia riuscito a risparmiare 60.000 euro che intende utilizzare per integrare la sua pensione. Se userà 500 euro al mese senza investirli (e dunque senza ottenere alcun rendimento) consumerà tutti i suoi soldi dopo 10 anni (la linea gialla nel grafico seguente). Se riesce a ottenere un rendimento annuo del 3% (linea rossa) potrà integrare la sua pensione per circa 13 anni (abbiamo ignorato l’impatto dell’inflazione per semplificare i calcoli), 14 anni se ottiene un rendimento del 4% e 15 anni se ottiene un rendimento del 5%.
La terza ragione è la riforma dei sistemi pensionistici, in base alla quale gli emolumenti delle pensioni pubbliche saranno sempre più bassi e saranno inaspriti i criteri per ottenere la pensione massima. Inoltre, dobbiamo tenere presente che una delle conseguenze del Covid-19 è la forte crescita dell’indebitamento dei bilanci statali con il conseguente aumento della pressione sulle pensioni pubbliche. Ciò significa che i pensionati dovranno contare sempre meno sulla loro pensione pubblica e sempre più sui capitali che sono riusciti a risparmiare e a investire.
Non tutto in stock
Abbiamo detto che, considerati i bassi tassi di interesse, non c’è altra alternativa all’investimento in equity per ottenere un buon rendimento del capitale. Ma questo non significa che se si è in pensione si debba investire tutti i propri soldi in azioni. Il reddito fisso continua a svolgere un ruolo cruciale nei portafogli dei pensionati, forse non tanto per i rendimenti che può offrire ma per la protezione che offre in caso di caduta del mercato azionario.
È davvero importante, dunque, ricordare i principali rischi che l’investimento in equity comporta. Rischi che sono più elevati se a investire sono i pensionati.
Rischio di volatilità
Una delle conseguenze dell’investimento in equity è la maggior volatilità dei rendimenti del portafoglio. Più che un rischio, la volatilità è una caratteristica intrinseca delle azioni, i cui rendimenti tendono a muoversi maggiormente attorno alla media rispetto alle obbligazioni. L’unico modo per contrastare la volatilità è aumentare l’orizzonte temporale, ma dobbiamo ricordare che non tutti i pensionati hanno lo stesso orizzonte temporale.
Rischio di valutazione
Come commenta Christine Benz in un suo articolo (What High(ish) Equity Valuations Mean for Your Retirement Plan), la prospettiva di 10 anni di deboli rendimenti del mercato azionario non dovrebbe essere una grande preoccupazione per le persone che anno davanti a loro molti anni prima del pensionamento . Ma cosa cambia se invece si è molto vicini alla pensione o si è già pensionati?
“Le valutazioni azionarie elevate hanno implicazioni sull’asset allocation dei portafogli dei pensionati e anche sulla variazione della stessa nel corso del tempo. Un approccio intelligente potrebbe essere quello di partire con un portafoglio conservativo, cioè partire con una certa quota di equity per poi ridurla in caso di calo del mercato azionario a favore di obbligazioni o liquidità”, dice Chrisitine Benz.
“Un’altra cosa importante è valutare il rendimento potenziale del portafoglio su un intero ciclo di mercato. Per questo conviene guardare con interesse ai settori maggiormente sottovalutati”.
Conclusione
In teoria ha senso anche per i pensionati aumentare il peso delle azioni in portafoglio, ma non dobbiamo dimenticare l’impatto psicologico. Come abbiamo detto all’inizio, la domanda se i pensionati debbano investire in azioni non è una questione facile a cui rispondere. Ogni caso è diverso e ognuno (con o senza l’ausilio di un consulente finanziario) dovrebbe soppesare pro e contro di questa difficile scelta.
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