Guardate questa scena tratta dal drammaticissimo film Il Buio nell’anima (2007)
E ora, prendete fiato (ci vuole, dopo un monologo come quello di Erica Bain), e guardate questa clip che ho selezionato dalla seconda stagione della nota serie Breaking Bad (2009)
Lo so, sono due discorsi molto diversi su quella che è divenuta negli ultimi giorni tema di una fragorosa e iper-speculativa escalation mediatica, scatenata da spunti tutt’altro che immaginari sollecitati dalla stessa realtà. Non ultima, va detto, la notizia dell’attacco al ponte di Kerch dello scorso 8 ottobre, che costerà, senza attuali chiari colpevoli, non si sa se russi o ucraini, l’interruzione della catena di forniture di acqua e cibo alla Russia, nonché la messa in crisi dell’intera logistica verso la Crimea.
Parliamo della paura. Forse l’emozione che da sempre si tende a tenere nascosta, perché effigiata dalla caratteristica che la rende tale tra tutte le grandi espressioni umane, l’indomabilità, l’assenza della capacità di controllo.
Ma perché ho voluto mettervi di fronte a due versioni della paura così magistralmente interpretate?
In fondo della paura si parla da sempre, in finanza (in questa sede è su questo che dobbiamo soffermarci, doverosamente). Ma l’ultimissima veste della paura, misteriosamente fagocitata da un evento che avrebbe potuto rendere lei stessa assolutamente negativa – il Covid – ha avuto una velocissima trasformazione in una sua sfumatura… positiva.
Perché immediatamente ci si è ritrovati, o meglio gli investitori si sono ritrovati, dall’aver paura che il mondo finisse in una ecatombe pandemica, invaso da cadute di prezzi e da tonfi imparagonabili al passato, al dover invece riscontrare in essa, in quella stessa odiatissima emozione, una improvvisa e nuova (anche se non originale) veste.
Come è cambiata la paura
Pensiamoci. Ricorderete perfettamente che, prima che tutto cambiasse di nuovo in quel 24 febbraio, l’ultima paura di cui si è a lungo discusso in finanza è stata all’origine di una famosissima sigla, FOMO, ovvero la “paura di essere tagliati fuori” (Fear Of Missing Out). Divenuta presto l’etichetta degli investitori a tutti i costi su asset magici, quelli che nel roboante rimbalzo di Borsa, forse il più misterioso di tutti i tempi verificatosi nel 2020 in piena pandemia, erano ritenuti da tutti, capaci e non capaci, neofiti o veterani dell’investimento, identificabili come una sorta di incantesimo capace di creare soldi quasi per magia.
Al punto da convincere tutti di non poterne stare fuori, di non poterne che essere partecipi, al punto, appunto, da generare la cosiddetta paura di non riuscire a prenderne vantaggio. Rimanendo fuori dal… giro.
Così negli ultimi anni si è andati avanti a pensare che la cosiddetta paura del mercato finanziario potesse essere quasi un concetto positivo, in quanto riconosciuta e intercettata come la componente adrenalinica dei, passatemi l’espressione, «vogliosi dell’investimento fortunoso», se non fortunato. In questo contesto, che ora per una lontananza quasi inspiegabile (sono passati solo due anni ma sembra un secolo!) potremmo ricordare come “quel” contesto, io ho presente investitori che chiedevano di stare sul treno, di avere guadagni, che leggevano dappertutto, che riportavano esempi di amici e parenti, guadagni e rese anche short, divenute nel tempo quasi impossibili dati i prezzi; eppure si andava avanti a chiederne riscontro, quasi quel ciclo non dovesse avere termine, ma soprattutto nel silenzio assordante della vera paura, quella dell’investimento, soppiantata quasi completamente dalla paura di rimanere tagliati fuori.
«Non avevo mai capito come si potesse vivere nella paura… credevo che la paura appartenesse ad altre persone… persone più deboli. E quando ti tocca capisci che è sempre stata lì, lei, e guardi la persona che eri e ti domandi se tornerai mai ad essere lei». Prendo a prestito le parole della scena con Erica Bain sulla paura. Perché è proprio questo che è successo e che sta succedendo. Quest’anno.
Una dimensione che può esistere
Perché la paura è tornata protagonista, ma in tutt’altra veste. O meglio nella sua veste più coerente. Perché la vicenda, ci arriviamo, è quasi tutta qui.
La paura come emozione finanziaria (non posso andare in questa sede su altri piani), è stata da sempre non sufficientemente riconosciuta, non considerata nella sua vera portata se non enfasi totalmente umana sino a quando… sino a quando, quest’anno, si è davvero avuto occasione di guardarla, di notarla. Di avere veramente paura.
Nota bene (per evitare di passare per una consulente che non si rende conto, e potrebbe capitare anche a me). Si è sempre detto che i clienti hanno paura di rischiare. Verissimo. Altrettanto vero è che chi investe inizia a temere quando si rende conto di aver rischiato, ossia di fronte a mercati turbolenti.
Ma, qui è il punto, non si è mai, forse, mai vista tanta paura sul mercato, paura che tutto possa finire, che possa non essere all’interno delle cosiddette serie storiche, quelle del mercato che va giù per poi tornare su.
O ancora, quelle serie storiche che da manuale si dice coinvolgano i cicli economici che – si dice, si scrive, si commenta e si ricommenta – iniziano con la fase di espansione che poi arriva al culmine atterrando all’odiatissima recessione per poi risalire e tornare a trend. Ed è proprio qui il seme della discordia. Perché si teme che dopo la recessione (di cui ancora non si comprende appieno l’impatto, quasi si volesse ridurla a un suggerimento per paura …) e il rallentamento, non ci possa più essere il dopo, il nuovo inizio di un trend.
Che novità. Perdonate la mia reazione, ma penso non ci sia bisogno di identificare bias cognitivi se non debolezze psicologiche.
Non c’è bisogno di pensare troppo alto. Forse, è solo arrivato il momento di guardare alla paura come una condizione che può esserci, e proprio in quella dimensione che nessuno vorrebbe pensare mai. Quella finanziaria.
Dove abitualmente, normalmente, in una sorta di regime, pur sapendo che si investe e dunque si mette a rischio il capitale, si continua a pensare che si stia solo accantonando, mettendo da parte, senza doverci poi… pensare.
Quasi investire equivalesse a “mettere a dormire” il patrimonio. E qui le immagini sono brucianti. Una nuova cliente (piuttosto nuova anche per quanto riguarda il fenomeno investimento) la scorsa settimana, dopo che le avevo costruito il portafoglio e spiegato la logica, mi ha detto angelica la seguente frase: «Ora apriamo un altro conto, quello aperto lo scorso mese dove sono gli investimenti non lo voglio vedere», e poi ha aggiunto (attenzione): «Perché deve solo salire».
Al sentirla parlare mi sono illuminata (è stata preziosissima!), perché quella affermazione ha fatto luce sulla rimozione più grande della paura nell’investimento, della paura nella sua vera natura, come l’emozione più censurata da qualsiasi investitore.
E, proprio per questo, meno conosciuta da vicino da parte di chi investe.
Basta con la rimozione
Ma allora. Che farsene della paura? Se non va censurata, qui lancio nella mia veste di consulente finanziaria un doveroso appello a che sia, lo dico, accettata come possibile, identificabile e ripetibile. Se è vero questo, come va affrontata, come va vista, come va guardata? Non sono una psicologa, anche se quest’anno forse noi consulenti ce lo meriteremmo un diplomino honoris causa, eppure ci tengo a ribadire che non è corretto chiedersi come.
Proprio perché la paura della perdita, o meglio, della perdita secca, non è affrontabile con nessun metodo scientifico conosciuto. Al contrario, la paura deve iniziare a essere una delle emozioni da non rimuovere più. Proprio nell’esperienza dell’investimento. Perché solo così non potrà più essere la fine stessa della finanza, della consulenza finanziaria. Questa sì assurda e inconcepibile.
Perché si legge di tutto, ipotesi di ogni genere su quel che sarà. Quello che invece si fa fatica a trovare sulla stampa è l’accettazione della paura come una delle emozioni che non deve e non può più essere censurata nell’esperienza finanziaria; nella misura in cui vi sia un’esperienza finanziaria, sia essa in consulenza o in piena autonomia, alla fine, la conditio sine qua non è una necessaria dipendenza da altro.
Vi riporto un altro episodio di questi giorni. Sono stata a un evento davvero bello di un partner che per sensibilizzare la platea (mista di clienti e società di investimento) riguardo l’efficacia di una delle offerte più interessanti a catalogo, ha fatto parlare un cliente della sua esperienza personale.
Incredibile cosa si possa arrivare a dire censurando la paura, ossia senza pensare veramente perché si ha paura, quando la si ha. Insomma il cliente, un imprenditore tutt’altro che improvvisato, ha detto che da quando aveva quel prodotto stava tranquillo, era a posto.
Ora, devo ammettere che effettivamente le caratteristiche di quel prodotto potevano fare la differenza e aver portato quel cliente a pensarla così. Tuttavia anche lui, pensandoci bene, potrebbe continuare ad aver paura. Accettare di averla, per aver investito. Solo per il fatto di aver iniziato l’esperienza dell’investimento.
L’esperienza dell’investimento infatti comporta necessariamente la paura nella misura in cui si è costretti a dipendere dagli eventi, e nessun evento potrà mai essere totalmente scagionato rispetto alle eventuali conseguenze che ne possano derivare.
Quando si dice: «Chi poteva pensare che sarebbe scoppiata una guerra?», è proprio perché nessuno può immaginare l’evento che potrebbe scatenare la vera paura. E così neppure quel cliente potrà mai essere totalmente immune dal dipendere dall’aver consegnato il suo capitale a un partner le cui dinamiche non potrà mai esser certo di avere sotto controllo. Nella misura in cui anche le dinamiche, la sussistenza di quel partner dipende da fattori non controllabili completamente.
Il nostro peggiore nemico
Quindi non si dovrebbe investire? Mai più? Qui prendo a prestito le parole del discorso sulla paura magistralmente interpretato nella scena di Breaking Bad.
«E se ti dicessi che non è così? …Mi sono reso conto che la paura è la peggiore delle disgrazie, la paura è il vero nemico…».
Non voglio terminare dicendo che bisogna non pensare alla paura. Pensiamoci, invece. In fondo investire richiede, qualunque scelta si faccia, di stare in una dipendenza da fenomeni, oltre che da partner, che si scelgono, non ultimo il consulente finanziario (che alla fine vorrei fosse l’oggetto di una vera prima scelta).
Quindi la paura è sin dall’inizio scelta come possibilità, per il fatto stesso di dover stare in una dipendenza da fattori non totalmente controllabili. E proprio per questo deve essere riconosciuta e guardata, non censurata, anche quando i fattori diventano manifestatamente tali. Quasi fosse il momento di riconoscere in cosa consista davvero la paura. E di accettarla, insieme a tutte le altre emozioni tipiche di un’esperienza ormai ricca di serie storiche, l’investimento.
Che non è finito, è solo in un momento che fa vedere da vicino la paura. Quella vera, quella più autentica, per l’investitore, che non è la paura di essere tagliati fuori, ma di doverci stare dentro, per il tempo che serve. E servirà.
Alla prossima!