Un tempo si partiva da questa assunzione di realtà:
Per ottenere risultati importanti nel trading non dobbiamo affidarci alla sorte, ma dobbiamo imparare bene tutti i trucchi e i segreti per ottenere degli investimenti di successo. Su Internet troviamo molti truffatori che offrono dei servizi denominati “corso per trading online”, pensati per fare soldi facili utilizzando il trading: questi presunti corsi non sono mai efficaci e portano gli utenti a spendere soldi in maniera errata, allontanando gli investitori alle prime armi (che, dopo tante perdite si sentiranno truffati o presi in giro).
Ne abbiamo già parlato, e letto, davvero ovunque.
Al punto che oggi suona quasi banale, ripetitivo scriverne. Intendiamoci. Non sto affatto sottovalutando la questione del fare soldi facili che da tempo sollecita ed esaspera l’attivismo di investitori (forse una parola troppo impegnativa, direi magari “speculatori”) più o meno improvvisati, che in questa veste si buttano nel trading “a vista”. Piuttosto direi che questa vecchia questione oggi non è da sopravvalutare a fronte di un’altra più esplosiva, all’origine di effetti devastanti (teniamo ferma la mente su questa parola).
Di che si tratta?
Ne parla, identificandola quasi come evento finanziario macroscopico del 2021, il Wall Street Journal
Fund managers who might have once derided small-time day traders as “dumb money” are scouring social-media posts for clues about where the herd might veer next. Some 85% of hedge funds and 42% of asset managers are now tracking retail-trading message boards, according to a survey by Bloomberg Intelligence.
Una cosa è certa. Mi sbilancio.
Sembra proprio che i cosiddetti professionisti della finanza, siano essi consulenti finanziari o gestori di fondi – chi lavora in trincea con i clienti o chi, dietro le quinte, è incaricato di occuparsi dell’analisi dei fondamentali o di altro che possa determinare andamenti e curve di performance – non possano essere più identificati solo come “quelli che i post non li filano affatto”, o meglio, come “quelli che i social… anche no”. Perché in effetti hanno dovuto prendere coscienza di come la finanza sia cambiata a causa di un inevitabile condizionamento online.
I “day traders” citati dal WSJ, per non dire i “trader influencer”, insieme ad aspetti di finanza reale da sempre considerati a tavolino, sono diventati un fenomeno non più evitabile all’interno del quadro. Tanto da essere stati riconosciuti, proprio loro e i loro post, quasi più determinanti per comprendere i colpi del mercato, al punto da suggerire, se non urlare, a quegli stessi professionisti, preparatissimi, che questa non potrà che essere annoverata tra le cose da fare nella to do list dalla poltrona frutto delle passate sudate carte: tracciare i messaggi di trading più o meno nascosti nei post… proprio per comprendere dove il mercato potrà virare nei prossimi tempi.
Ok, ora ci siamo con la versione della nuova finanza?
È chiaro che dobbiamo spostare un po’ della nostra attenzione dai dilettanti del trading ai post sui social, agli indizi di consulenza, magari anche di influencer, per capire “meglio” o di più dove andrà il mercato?
No, in effetti il quadro non è ancora completo. Non è tutto.
The Guardian si spinge oltre e scrive il Trading della nuova era Gambling, identificando così un nuovo fenomeno sociale con cui occorre iniziare (o continuare?) a fare i conti:
Steven has lost more bitcoin than most people will ever own.
Raised on the remote Shetland archipelago, he left school at 13 to become a trawlerman before moving into construction, eventually earning £85,000 a year digging tunnels for Crossrail.
Despite his self-made success, compulsive cryptocurrency trading, alcohol and drug use took over his life.
In the fog of multiple addictions, he lost the “addresses” of between five and 10 bitcoins, rendering his digital buried treasure – worth up to £300,000 today – impossible to retrieve.
Questa è la storia di Steven: un caso di trading compulsivo, di alimentazione di una dipendenza creata da una ossessione finanziaria per il fenomeno dei nuovi asset virtuali che disegnano un mondo possibile nel giro di ore, se non secondi. Peccato che, nello stesso frangente di tempo, siano in grado anche di distruggerlo. In un’epoca in cui si parla di sostenibilità, di quanto la finanza debba essere identificata anche con la lettera S (da ESG) può essere non considerato quanto la finanza possa nuocere alla mente?
Eppure. Senza andare su questa eventualità distruttiva, su questo nuovo malessere creato da una vera e propria dipendenza, che ha portato addirittura ad aprire percorsi di cura in una clinica specializzata in Scozia, il vero punto forse è un altro.
Occorre prendere atto di questo cambiamento, che ha portato un condizionamento mentale che solo se veicolato può essere ben indirizzato.
Non si può chiudere gli occhi e non ascoltare i segni della realtà, ritenendo che basti non pensare al fatto (accaduto) di ragazzi che per il loro compleanno arrivano a chiedere ai loro genitori di aprire un conto in Bitcoin, come scrive Bloomberg. Non solo non è possibile censurare questo aspetto. Ma è necessario comprenderlo e gestirlo.
E allora ci accontentiamo di rimanere sulla nostra vecchia poltrona e di fare consulenza alla maniera degli avi, o possiamo prendere atto che non può più essere strano né eccezionale che un ragazzo di 27 anni (come è successo a me ieri) venga a dirmi che ha già tre piattaforme e che quindi sarà disposto ad ascoltare le mie proposte «alla luce delle scelte che ha già fatto»?
Ieri eravamo noi a dire che bisognava cambiare (o modificare, con più umiltà) il portafoglio, oggi il mondo sembra un po’ capovolto (e davvero i trader istintivi non sono i nostri competitor!), e sembra costringerci a leggere e provare a guidare meglio le scelte dei nostri giovani clienti, rendendole finanziarie e non puramente mentali, ma tenendo conto che la partenza non potranno che essere le loro piattaforme.
Alla prossima!