La miglior difesa è l’attacco? Non sempre. E soprattutto non in Borsa. Si è infatti sempre pensato, parlando di investimenti, che in tempi di assenza di chiarezza, nel mezzo di un contesto ancora molto cangiante e pieno di provocazioni, non sia il caso di spingersi oltre, di alzare il tiro, ovvero di “rischiare”, ma sia meglio rimanere sulla difensiva. E maggio, a ridosso della chiusura del primo trimestre dell’anno, non racconta una storia dissimile da questa.
Le ultime notizie parlano del rischio default del debito USA, per esempio, senza tornare alla guerra di cui nessuno più parla, o all’inflazione di cui si sta smettendo di parlare.
Quindi. Che fare? Difesa o… attacco? Vediamo.
L’importante è non stare fermi
Stare fermi, una affermazione che gira nelle stanze della consulenza da parte dei clienti orientati a strumenti di investimento “difensivi” (dal conto corrente al titolo di stato, per essere schietti) sarebbe la logica se non corretta strategia, solo se, e qui è il punto, i prezzi non si fossero mossi veramente ma soprattutto efficacemente.
Cosa voglio dire? Che è proprio questo, un movimento vero ed efficace, che è accaduto nei prezzi. Che oggi, e forse già meno rispetto alla fine del 2022 (perché già saliti), sono “scontati” e con utili che devono tenere conto per forza del costo del denaro, piuttosto cambiato a suon di tassi evidenti e ben diversi da quando (è passato oltre un anno) la liquidità, di contro, non costava nulla: in America da marzo dell’anno scorso sono arrivati al 5,25% e in Europa al 3,75%.
Ora. Quello che l’investitore fa fatica a focalizzare nella miriade di articoli e notizie che legge o ascolta è esattamente questo movimento, accaduto, di efficienza sui prezzi dei titoli che, qui mi riferisco al temuto investimento azionario, in forza di tale movimento e per sua diretta conseguenza, sono diventati diversi.
Il problema non è «quando finisce»
Quindi. La domanda se proseguiranno questi rialzi dei tassi da parte delle due Banche centrali è lecita e inevitabile, sebbene non più così interessante per decidere di acquistare un investimento azionario. L’attenzione dell’investitore non dovrebbe infatti, arrivati a questo avanzato rialzo, essere focalizzata su «non si sa quando finirà», ma su quanto il rialzo avvenuto abbia già e in che misura modificato questi prezzi.
Comprendendo così come comprare titoli azionari oggi non sia lo stesso di quello che sarebbe stato nel 2021 o nel 2020 (seconda metà) e nel 2019… E continua…
Sì, continua, perché oggi comprare azionario non ha lo stesso significato che ha avuto nell’ultimo decennio, in presenza di liquidità in eccesso. E l’investitore si deve rendere conto che dire che i prezzi oggi sono scontati non ha lo stesso peso, lo stesso significato, degli ultimi dieci anni e oltre.
Nell’ultimo decennio e oltre, infatti, se si comprava azionario con peso nel portafoglio, insomma in quantità importanti, lo si faceva sull’onda di ribassi, in attesa di speculare vendendo sull’inevitabile rimbalzo di prezzo conseguente a quegli stessi acquisti. Movimento che, ben differente da quello avvenuto oggi in conseguenza della nuova politica restrittiva delle Banche centrali, anche oggi si ripete, certo, ma non con la stessa forza e imponenza.
Tanto è vero che gli investitori sono portati a concludere che anche l’azionario sia diventato una zavorra non più in grado di compensare l’inflazione.
Ed è da qui, da questa “incompresa lentezza” nel rimbalzo, che deriva il pensiero che valga la pena solo il titolo di Stato, nelle varie vesti e durate. E, ahimè, con le più disparate giustificazioni: «quello sì che rende!», «meglio poco ma sempre» oppure l’ultimissima «alla fine è l’unico su cui non ho mai perso».
Quello che manca è il ragionamento sul “tipo” di movimento a sconto, che è finalmente avvenuto sul temutissimo azionario, e che davvero ha reso questo asset più appealing che mai, almeno pensando agli ultimi dieci anni di contesto azionario invaso di liquidità.
Azioni: amate e temute
Quindi oggi, in una solo apparente contraddizione con quello che si è istintivamente portati a fare quando si investe, si dovrebbe preferire l’asset azionario. E dunque passare all’attacco invece che rimanere in difesa, in forza di un “vero” sconto, non più generato da vendite da rimbalzo e successivi acquisti d’occasione preparatori di ulteriori vendite.
Uno sconto di tutt’altra natura, determinato dal temutissimo costo del denaro, alzatosi da oltre un anno progressivamente, ma guardato purtroppo solo per la sua indefinita fine invece che per il suo effetto: la sua efficacia benefica sui prezzi dei titoli azionari, amati per il potenziale guadagno ma temuti per il potenziale rischio.
Potremmo dire che l’investitore ultimamente si perde nella crisi invece di concentrarsi sugli effetti cui essa può portare da subito nel portafoglio. E che sia questo a rendergli difficile la scelta della strategia, proprio là dove il suo patrimonio andrebbe difeso, accrescendone il valore nel tempo.
Ricorda quello che accade nelle crisi personali dove a volte ci si crogiola nel problema, cercando di immaginarne la fine, anziché focalizzarsi su quelli che potrebbero esserne gli auspicabili effetti benefici.
Alla prossima!