Magistrale scena, davvero. Sono gli anni cruciali dello scoppio della Seconda guerra mondiale, e c’è bisogno di un re che sappia parlare alla nazione.
Ed è proprio il successore per caso di Edoardo VIII, che ha abdicato per sposare la divorziata americana Wallis Simpson, il balbuziente Bertie, a dover correggere quel non difetto che lo rende incapace di gestire l’incarico di re.
Quell’incarico che gli chiede di parlare, di formulare un discorso all’altezza, all’esordio del conflitto. Un discorso che alla fine riesce a essere toccante, congruo, chiaro, orientato allo scopo.
Comunicare alla nazione che in quel frangente, di fronte a quanto stava per succedere, era necessario essere uniti per affrontare la sfida di un principio fatale per ogni ordine civile nel mondo, la mera primitiva dottrina che la ragione è del più forte.
Risentire un discorso così netto fa venire in mente quanto sia diversa la situazione che si sta vivendo al tempo d’oggi. O forse non troppo?
Le parole hanno un peso
Oggi, proprio in questi giorni, abbiamo ascoltato altri discorsi che devono e possono essere visti non solo come sfoggio di retorica, principi e intenti, quanto come suggerimenti anche sul portafoglio dei nostri clienti investitori. O almeno, è bene riprenderli in tal senso.
Perché è ora di capire che le parole hanno un peso, possono avere un peso. Come lo ebbero, in tutt’altro clima (e speriamo che questa differenza con quei tempi rimanga) in quel discorso alla nazione inglese.
Peccato che in quel caso le parole avevano un significato, servivano a dare indicazioni su come ci si dovesse comportare per mantenere una profonda unità nella lotta contro la legge del più forte. Di contro, sappiamo bene che tanto più la realtà smette di essere stringente, come in quella terribile epoca, tanto minore è il peso nonché l’efficienza (più che efficacia) che certi discorsi di “regnanti” possono ottenere.
A tal proposito uno spunto è stato offerto dalla neo eletta premier Giorgia Meloni, il cui discorso alla Camera è stato definito dalla stampa “non tecnico”, se non generalista.
Ossia, a motivo forse della sua non sufficiente percezione della gravità della situazione, o meglio della sua non capacità o preparazione a rilevarne l’inesorabile peso, quel benedetto discorso sarebbe stato solo politico. Punto e basta.
Quasi a dire un discorso inutile per le “nostre faccende da gestire”, inutile a fronte della situazione internazionale o del debito in cui si ritrova oggi il nostro Paese.
D’altra parte, non essendo in tempi paragonabili a quelli del film con Colin Firth, ci sarebbe ancora modo di attardarsi a parlare di tutto un po’ per la bellezza di 70 minuti, sì 70 lunghissimi minuti, ahimè tanti a confronto con il brevissimo ma intensissimo discorso di quel re pronunciato in soli ma tanto pregnanti 5.
Tutto questo per concludere che oggi bisognerebbe parlare poco e agire di più. Mettere in atto velocemente riforme d’effetto più che lasciarsi prendere dalla declinazione di dieci punti, per citare quelli del discorso della neo premier per la parte economica (identificati da Milano Finanza).
Insomma, tutto questo per concludere che oggi ci sarebbe davvero una situazione talmente stringente, in Italia come in tutto lo scenario internazionale, da non potersi permettere di trovarsi in una situazione molto diversa da quella dei tempi di Giorgio VI.
Senza esagerare, ovviamente. Ma è facile trovarsi uniti nella considerazione che certe lungaggini di discorsi oggi rischino di ottenere come unica reazione quella di uno scoraggiamento per l’attesa esagerata, esasperata, di fatti che inizino a cambiare qualcosa, di azioni giuste, di mosse che facciano la differenza.
La consulenza è (anche) un discorso
Agire piuttosto che parlare, dunque. E se si parla, meglio parlare poco. E soprattutto, se lo si fa, che si parli di azioni che si stanno già intraprendendo per cambiare le cose.
Ecco una grande menzogna. Quella di pensare che le parole, che il discorso insomma, perda tanto più il proprio valore quanto più la situazione diventa stringente e l’attesa di cambiamento insostenibile. Esattamente una delle menzogne, forse la più pericolosa, di cui l’investitore si fa forte in momenti come questi per tentare di azzerare il valore della consulenza finanziaria.
Che per sua natura deve, ripeto, deve anche essere un discorso. Un discorso congruo, che sia in grado di ispirare oltre che dettagliare una vera e propria visione. Non sto parlando di capacità di previsione, perché il consulente finanziario non può e non deve prevedere cosa accadrà sul mercato.
Scusate, ma neppure le più importanti case di gestione di investimenti sono in grado di farlo. Invece, il consulente deve essere in grado di fare il suo discorso e di farlo anche correttamente, tracciando una visione di quella che potrà essere la dinamica del portafoglio se impostata con un preciso metodo di lavoro. Soprattutto in tempi come questi.
Non mi attardo qui sul mio metodo di lavoro, del mio personale discorso, che è materia di consulenza. Voglio invece insistere sulla radicale differenza che, se non identificata, getta polvere negli occhi dell’investitore impedendogli di riconoscere quanto sia fondamentale che il consulente finanziario pronunci il suo discorso e descriva la sua visione per orientare e dare senso alle azioni intraprese e cui dare seguito nel portafoglio.
Quello che spesso non si riconosce infatti è quanto sia diverso ascoltare soluzioni e ascoltare visioni di portafoglio. Si pensa che il bravo consulente sia chi presenta strumenti finanziari identificati come “la soluzione finale”.
E infatti succede spesso di ritrovarsi di fronte clienti che abbandonano queste soluzioni che avevano creduto essere miracolose, per appellarsi a chi descriva come sia veramente la situazione, cosa si debba fare, ma ancor prima, come si debba ragionare.
Una macchina da guerra
Ecco qui. Volete un esempio? Un cliente mi ha scritto dopo aver visto il mio video di venerdì (se avete poco più di un minuto guardatelo). Trovava che nella gestione del suo portafoglio «mancasse qualcosa», ovvero un polmone di liquidità di almeno 20/30%. Ma su come crearlo, riteneva non si dovesse vendere adesso «quando bisognerebbe comprare».
In realtà, il suo portafoglio è una macchina da guerra. E questo è uno dei clienti che mi è costato di più nella mia storia, anche per i discorsi che lui si ostinava a non ascoltare, chiedendomi solo soluzioni pronte all’uso.
Espressioni come «questo strumento non funziona!», oppure, «e ora cosa compriamo per risolvere?» hanno nel tempo lasciato spazio, in consulenza, a un discorso diverso, certo più difficilmente assimilabile a una proposta di acquisto, ma assolutamente identificabile con la descrizione di un piano, di un percorso da iniziare e da mantenere nel tempo.
Ebbene, dal momento in cui ha iniziato ad ascoltare il mio discorso, a capire che sarebbe stato sempre e per sempre più efficiente continuare a comprare azionario diversificato tramite PAC, dunque a piccoli stock, mediando sempre i prezzi, il suo portafoglio ha iniziato a funzionare, certo con i suoi alti e i suoi bassi, ma questi sempre più alti e meno bassi di come in certi momenti stesse andando il mercato.
Vedete? Mi sono un po’ sbilanciata su qualcosa dei miei discorsi in consulenza, pur non volendo… Ma la consulenza finanziaria dovrebbe sempre sbilanciarsi su una visione e su un metodo. E qui mi permetto di sbilanciarmi ulteriormente, questa volta su un contenuto, all’interno di una generale diversificazione che come ha evidenziato il mio cliente alla fine del suo messaggio citato ha permesso, dentro un metodo, di attutire la caduta del valore del suo portafoglio in questo periodo.
I 100 minuti di Xi Jinping
Perché se c’è un altro discorso che non è stato ascoltato adeguatamente è quello pronunciato da Xi Jinping, eletto per la terza volta premier cinese. Metto da parte il cosa evidenziato dalla stampa, puntando l’attenzione sulla reattività con cui ha reagito non solo la Borsa, ma ancora di più l’investitore nel suo piccolo, mio testimone in prima linea.
Togliamo la Cina dal portafoglio. I 100 minuti del discorso di Xi (battuta Meloni…) riassunti in una presa di posizione assoluta. E, soprattutto, senza approfondimenti di contenuto. Ecco, è proprio l’ascolto di questo tipo che fa male ai portafogli, quell’ascolto che invece di mediare, anche sui concetti espressi da Xi, invece di comprendere il contesto in cui quelle affermazioni hanno un senso, invece di accogliere nella sua completezza il discorso del premier cinese, ne prende spunto per una soluzione estrema, per un atto di forza, togliere da subito quel Paese dal portafoglio.
Come se in quel discorso al fondo non vi fossero, lì, motivi per esserci e rimanere proprio in quel Paese, per certi temi da quel discorso nominati e ben identificati, al centro di un programma.
Proprio quei temi (non fatemeli dire ora qui, andate a riprenderli) che invece da qui al prossimo, sempre fondamentale orizzonte temporale sono non solo da inserire, ma altresì da mantenere in quello che potremmo definire un corretto discorso di consulenza finanziaria, basato su un altrettanto corretto metodo di lavoro.
Alla prossima!