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Crypto, una nuova dipendenza: il caso del Kazakistan (e non solo)

Oggi sembra quasi impossibile non cedere al tema delle crypto. Inesorabile correlazione o ormai ineludibile dipendenza? Il caso Kazakistan può insegnarci qualcosa. Ma non è l'unico.

Gennaio 12, 2022
crypto dipendenza Kazakistan
Tempo di lettura stimato: 4 minuti

In questi giorni di inizio anno, forse per troppo poco riposo e continuo accanimento sull’attualità, non ho potuto fare a meno di soffermarmi su due notizie. Una, forse, ha sollecitato di più l’attenzione di tutti, sebbene anche l’altra, a ben guardare, è da notare per quello che vorrei mettere a tema in questa sede.

5 gennaio: i tumulti in Kazakistan.

Prendo spunto da un articolo dell’Huffington Post, un po’ alternativo rispetto alle classiche testate: dietro le proteste in Kazakistan ci sono anche i bitcoin.

Superando il primo contraccolpo, reazione comprensibile a qualsivoglia discordia si accenda, qui ci si addentra in una spiegazione molto particolare dell’esasperata risonanza delle proteste scoppiate in questo lontanissimo e sempre più famoso – vedremo perché – Paese asiatico:

Le proteste che sono divampate in Kazakistan, scatenate dalla crisi dell’elettricità e del gas, sembra abbiano a che fare anche con un’attività finanziaria in cui il Paese è campione: l’estrazione di criptovalute, come Bitcoin ed Ethereum.

Quindi, alt.

Inizio di una nuova era, orientata a nuovi legami di senso. Non si parla più del tema dell’energia alla maniera cui da sempre noi vecchi, tradizionali lettori delle classiche e quasi prevedibili informazioni su eventi come questi siamo stati abituati, per non dire che a tale vecchia maniera nel tempo ci siamo quasi assuefatti.

Perché è sempre accaduto così, no?

Si parlava di energia come tema strettamente legato alle sue fonti, come petrolio, carbone, gas naturale etc. e quindi, tanto più soprattutto in tempi di Covid, ferveva la questione del prezzo di queste fonti. Banalizzo: si era pronti a un ulteriore balzo dello strettamente connesso prezzo dell’energia. Come dire, dalla materia al suo esito, in una ormai banale relazione di causa-effetto. In una inesorabile correlazione, vista sotto svariati punti di vista, finanziari ed economici.

Ma qui non si parla più solo di questa che oramai sembra quasi una correlazione vintage. No. Qui si dà il caso che il tema dell’energia abbia a che fare, anche lui peregrino!, con quell’ampio per non dire vorace (perché sembra davvero in grado di inglobare e divorare tutto) tema, ormai presente ovunque e in qualunque ambito. Prezzemolo? Forse. In ogni caso sembra che, quando si parla di finanza, in qualunque modo la si prenda, finisca sempre per aggiungersi a tavola. Quasi c’entrasse, sempre. Indovina chi viene a cena? La memoria del celeberrimo film con il da poco scomparso Sidney Poitier mi ha tradito! Si tratta di lei, ancora una volta, la criptovaluta. Perché? Leggiamo ancora nel pezzo citato:

Queste attività, l’insieme delle complesse procedure tecnologiche per creare le monete digitali, richiedono un massiccio dispendio di energia, e il Paese, ricco di idrocarburi, è stato, soprattutto nell’ultimo anno, la meta preferita di molte società di criptomining (…) Negli ultimi 12 mesi, sono circa 88.000 le società di questo tipo che si sono spostate dalle provincie cinesi al Kazakistan, cercando indipendenza da Pechino e sfruttando i vantaggi dell’ex repubblica sovietica, dato che tra i fattori principali che consentono la profittabilità delle attività estrattive di criptovalute c’è proprio il prezzo dell’energia.

Il Paese così è presto diventato il secondo al mondo per l’estrazione di Bitcoin.

Eccolo qui, il nuovo senso della notizia della crisi in Kazakistan: ed è proprio la nuova correlazione, quasi fosse questa, nuova e unica, in cui acquista significato finanziario parlare di energia e del suo prezzo, a determinare perciò la nuova temuta volatilità, quella del nuovo mercato finanziario emergente, il mercato delle cripto.

Ma se questo è forse il modo più scontato in cui la correlazione tra finanza e criptovaluta si è fatta avanti, rompendo schemi di interpretazione delle tradizionali analisi del mercato, ve ne è anche un altro che si fa spazio sempre di più nelle valutazioni più originarie della finanza, questa volta niente di meno che corporate.

Guardiamo cosa si legge il 10 gennaio sul Financial Times:

The co-founder of N26 admits that the German online bank rushed to be global too quickly and missed out on the cryptocurrency boom, as it battles to justify its status as one of Europe’s most highly valued fintechs.

Qui non si parla di analisi di mercato.

Si parla di valutazioni finanziarie all’origine di creazione ed espansione di business errate. Perché sembra che anche la fondamentale considerazione di come facciano a crescere le realtà finanziarie basata un tempo sull’inevitabile espansione della rete su altri paesi, se non continenti, ovvero sull’acquisizione delle cosiddette quote di mercato, non valga quasi più nulla. Oggi la crescita di una realtà finanziaria non si basa più su questo processo di espansione per diventare la più nota, no; questo modo di pensare è vintage, se non fallimentare.

La nota banca tedesca online che ha ambito ad ampliare la sua notorietà mettendo davanti a tutto l’espansione geografica, ha mancato il vero goal. Ecco di nuovo il vero tema correlato anche a questa sfumatura (la chiamo così) finanziaria: N26 ha mancato all’appuntamento con le criptovalute. Nel rincorrere il sogno di grandezza lo ha identificato troppo in fretta in un target vintage, passato di moda, credendo che per espandersi fosse più importante andare in America.

Ma il sogno americano oggi non ha più quel valore e quella forza, e N26, che ha dovuto chiudere la sua operatività proprio in America, se ne è accorta. Peccato non aver invece tenuto lo sguardo fisso sulla nuova America della finanza, la nuova protagonista di qualsiasi visione finanziaria: Lei, sua signoria la cripto.

In questi nuovi legami di senso che la finanza sta sempre più mostrando, viene da chiedersi se la finanza contaminata dalla cripto vada davvero identificata con la fintech, come le banche tradizionali amano disegnarla, quasi guardandola ancora da molto se non moltissimo lontano (non mi soffermo sulla stampa che ha citato Unicredit quasi fosse l’unica a puntare il dito sulle nuove monete), o se invece proprio in essi non sia da riconoscere nientemeno che una conferma di una progressiva e sfidante identità, tra finanza e “crypto finanza”.

L’apertura mentale mi contraddistingue da sempre, quindi lascio aperta la questione.

Alla prossima!

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Maria Anna Pinturo

Maria Anna Pinturo

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