Zona Franca oggi incontra l’avvocato professor Stefano Loconte, Managing Partner Loconte & Partners, specializzato in Diritto societario, Diritto commerciale, Diritto tributario, Diritto Internazionale e nell’articolata disciplina dei contratti d’impresa. Professore straordinario di Diritto Tributario e titolare delle cattedre in Diritto Tributario, Diritto dei Trust e Finanza Islamica presso l’Università degli Studi LUM di Casamassima (BA), è inoltre ideatore e Direttore scientifico del Master in Wealth Management e Pianificazione Patrimoniale della Scuola di formazione Wolters Kluwer Ipsoa.
Professore, mi permetto con lei di usare un neologismo: esteromania. Vorrei infatti parlare della tendenza degli investitori a guardare all’estero come la soluzione di ogni male, in primis fiscale, quasi una terra promessa. Lei cosa ne pensa?
Ritengo che vi sia sempre stata sempre un’eccessiva attenzione, e quasi ossessione, a voler trasferire i propri beni all’estero.
Tuttavia, ad oggi, i Paesi esteri non garantiscono né assenza di imposizione fiscale, né privacy e segretezza, dal momento che vi sono specifici obblighi di monitoraggio fiscale e di scambio automatico di informazioni finanziarie tra Paesi.
Entriamo nel dettaglio. Una delle miopie più grandi dell’investitore è di non considerare di essere residente in Italia, ossia di pensare che qualora acquisterà beni all’estero, sarà al riparo dall’essere considerato solo italiano ai fini fiscali. Può aiutarci a capire meglio come stiano veramente le cose?
Questa convinzione è, purtroppo, del tutto errata. Infatti, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR n. 917/86), all’articolo 3, afferma proprio uno dei principi cardine del nostro sistema tributario, ossia il principio della Worldwide taxation, secondo il quale l’imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) si applica sul reddito complessivo.
Dunque, per i soggetti fiscalmente residenti in Italia, esso è costituito da tutti i redditi, ovunque essi siano percepiti.
Ad esempio, le persone fisiche residenti in Italia che detengono un bene immobile in Francia sono tenuti ad adempiere a specifici obblighi dichiarativi e fiscali in Italia.
Si parla sempre più spesso del possibile cambio di passo dell’imposizione fiscale sulle successioni e donazioni, considerandola la fine di un paradiso fiscale durato troppo. Perché, nonostante questa eventualità sia sempre più vicina, il cliente è riluttante a inserire la questione tra le sue priorità?
Come correttamente da lei anticipato, il nostro Paese è considerato un “paradiso fiscale” per quanto concerne l’imposta sulle successioni e donazioni.
Le aliquote e le franchigie attualmente vigenti consentono, infatti, di trasferire il patrimonio personale godendo di un’imposizione fiscale molto bassa, se paragonata a quella presente negli altri Stati dell’Unione Europea (in primis, Germania e Francia).
Per tale motivo, gli operatori del settore si aspettano l’introduzione di una riforma che porterebbe inevitabilmente all’innalzamento delle aliquote e all’abbassamento delle franchigie, così da avvicinare l’imposizione fiscale in materia di successioni e donazioni alla media europea.
Il popolo italiano, tuttavia, non è ancora particolarmente sensibile alla tematica della pianificazione patrimoniale e successoria, un po’ per retaggio culturale, un po’ per scaramanzia.
Ci sono clienti che hanno aperto addirittura fondi pensione all’estero, e alla domanda sul “dopo” non sanno rispondere. Lei cosa direbbe a questi clienti? Ha senso diversificare l’asset patrimoniale, addirittura con l’apertura di un fondo pensione all’estero, senza pensare alla devoluzione successoria?
Sicuramente è sempre opportuno diversificare i propri investimenti, tuttavia l’apertura di un fondo pensione all’estero non rappresenta necessariamente la scelta più vantaggiosa rispetto all’apertura di un fondo pensione complementare in Italia.
La detenzione di un fondo pensione all’estero, infatti, può far sorgere in capo al singolo individuo una serie di obblighi amministrativi e fiscali.
Si può oggi preferire un Paese dove avere patrimonio oppure il punto è farlo nella forma corretta? Esiste una forma corretta per avere patrimonio all’estero?
Gli investimenti all’estero rappresentano senz’altro un’opzione interessante per tutti coloro che intendono diversificare il portafoglio.
Tra gli strumenti più utili, e più utilizzati, ai fini di una buona pianificazione patrimoniale, vi sono le polizze assicurative unit linked e index linked, le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento.
Nonostante abbiano subito qualche battuta d’arresto negli anni scorsi, riscontrano oramai un grande successo tra la clientela private.
Nel mercato post Covid, che ormai caratterizza ogni sfaccettatura della dimensione personale e professionale dei clienti, quali sono le priorità da tenere presenti dal punto di vista patrimoniale, soprattutto se si hanno beni all’estero?
In un periodo come questo di forte incertezza, sia sanitaria che economica, il mio suggerimento è di iniziare a valutare attentamente quale sia la miglior soluzione di pianificazione patrimoniale, sia dal punto di vista legale che fiscale, per poter organizzare per tempo la propria successione.